Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali
«Le Generali manterranno la proprietà degli asset, decideranno come investire e a chi dare il mandato di gestione. Quindi il tema di perdita di sovranità degli investimenti non esiste». In più, la scala raggiunta con la nuova società (una nuova entità con quote paritarie) permetterà al Leone di creare una «piattaforma di distribuzione unica con clienti istituzionali in tutto il mondo» e in grado di «offrire servizi di asset management a 4.000 piccole e medie compagnie di assicurazione europee». Così Philippe Donnet, amministratore delegato delle Generali, ha voluto ribadire in un’intervista al quotidiano La Verità l’inconsistenza delle critiche rivolte all’operazione di joint venture con la francese Natixis da Francesco Gaetano Caltagirone, socio con il 7% della compagnia, che nell’assemblea di giovedì 24 si presenterà con una lista di minoranza a sei nomi per il prossimo consiglio e che ha criticato anche la mancata scelta di un gestore italiano come partner. «In Italia non c’è stata un’opportunità paragonabile. Non c’è una società che ha 1.300 miliardi di masse e che accetti una joint venture» con co-controllo e «che possa garantire un salto dimensionale di livello globale», ha precisato Donnet.
Il carrello della spesa diventa un campo minato a causa dei dazi del presidente Usa Donald Trump. Materie prime coloniali come caffè, cacao e zucchero rischiano di diventare il nuovo campo di battaglia commerciale. Che aroma amaro per i consumatori Usa: gli Stati Uniti importano quasi un quinto del caffè verde mondiale. I principali fornitori? Brasile (32%), Colombia (20%) e Vietnam (8%). I nuovi dazi voluti dal presidente Usa: 10% la tariffa base (è entrata in vigore sabato 5 aprile; quelli reciproci sono slittati di 90 giorni) su Brasile, Colombia e Vietnam cambiano le carte in tavola. Come osserva Areté, «l’impatto diretto sarà un effetto inflattivo sui prezzi interni Usa, mentre i prezzi internazionali stanno già scontando la possibile contrazione della domanda». Tradotto: da un lato caffè più caro negli Stati Uniti, dall’altro una pressione ribassista sui prezzi internazionali.
Imprese di giovane costituzione (meno di cinque anni di vita); soprattutto concentrate a Nord-Ovest (Lombardia al vertice); appartenenti ai settori delle costruzioni e dell’industria; tra le società di capitali e nei servizi. Sono queste le realtà tra le quali si concentra il più alto numero di fallimenti. Un fenomeno in netta ripresa, nell’ultimo biennio, dopo anni in cui i numeri erano calati (il picco a giugno 2020), per effetto delle moratorie sui prestiti. Alla fine dello scorso anno l’incremento registrato è stato del +17,2% rispetto al +9,8% di fine 2023, ovvero da 7.848 a 9.194 fallimenti in termini assoluti. I motivi? Il boom dei costi, soprattutto energetici, e degli oneri sui debiti, a cui deve aggiungersi una congiuntura economica in peggioramento. E ad aumentare non sono solo le procedure concorsuali fallimentari (ossia fino al II trimestre 2022 fallimenti e concordati fallimentari, dal II trimestre 2022 liquidazioni giudiziali e liquidazioni controllate), ma tutte le modalità aziendali di uscita dal mercato (cioè dalle liquidazioni volontarie allo scioglimento senza liquidazione) passando anche per i nuovi strumenti di composizione delle crisi d’impresa, introdotti nel 2022 dal Codice della crisi d’impresa e d’insolvenza (procedimenti unitari, misure cautelari e protettive, concordati preventivi, accordi di ristrutturazione dei debiti, piani di ristrutturazione, liquidazioni coatte amministrative, amministrazioni giudiziale). L’allarme arriva dai dati aggiornati dell’Osservatorio procedure e liquidazioni di Cerved
La guerra commerciale innescata dai nuovi dazi applicati dagli Usa colpisce la crescita delle economie mondiali, europea in particolare, provocando una frenata nell’aumento del Pil. E soprattutto causerà un aumento delle insolvenze aziendali globali del +7% nel 2025, tendenza che proseguirà nel 2026 con un +5%, rispetto al +3% atteso prima delle recenti evoluzioni politiche. A delineare lo scenario sono i dati contenuti nella ricerca condotta da Allianz Trade che ha analizzato, in dettaglio, le conseguenze sul commercio internazionale della politica varata recentemente dal presidente Trump.
Giovani favoriti sulla previdenza integrativa. Se investono in una pensione di scorta, infatti, sui relativi contributi possono fruire di una superdeduzione fiscale. Il diritto al bonus extra, però, spetta soltanto ai “giovani lavoratori”, cioè a quanti si sono iscritti all’Inps o a un’altra forma di previdenza obbligatoria dopo il 31 dicembre 2006 (ossia a chi ha cominciato a lavorare dal 1° gennaio 2007). La precisazione è arrivata dall’Agenzia delle entrate (risoluzione n. 25/2025, si veda ItaliaOggi dell’11 aprile 2025), la quale ha aggiunto, inoltre, che non influisce, ai fini del diritto alla superdeduzione, l’epoca in cui è stata fatta l’iscrizione alla previdenza integrativa e per iniziativa di chi. Pertanto, l’idea della pensione di scorta può esserci stata anche prima del 1° gennaio 2007 e può essere stata anche dei genitori del figlio minorenne.
Fisco super generoso sulle prestazioni dei fondi pensione erogate ai giovani. Quanto deriva dai contributi versati dal 1° gennaio 2007, infatti, è soggetto a una ritenuta a titolo d’imposta del 15%. La percentuale, tuttavia, si riduce ulteriormente in funzione dell’anzianità d’iscrizione al sistema “previdenza integrativa”: se questa è superiore a 15 anni, l’aliquota diminuisce di uno 0,30% per ogni anno ulteriore d’iscrizione alla previdenza integrativa fino a una riduzione di 6 punti percentuali. Dopo 35 anni di partecipazione al fondo pensione, insomma, l’aliquota sarà pari al 9%. Per quantificate quest’anzianità di partecipazione si tiene conto di tutti i periodi di iscrizione alla previdenza integrativa, anche quelli pregressi e/o presso forme pensionistiche diverse da quella che eroga la prestazione da tassare. Lo ha precisato l’Agenzia delle entrate nella risoluzione n. 29/2025. Previdenza integrativa o complementare… a che cosa?Si chiama “previdenza integrativa o complementare” perché, quale termine di paragone, ha la previdenza obbligatoria che comporta il dovere versare contributi all’Inps o altri enti pubblici (appunto di previdenza obbligatoria), quali sono, ad esempio, le casse professionali
Italia in prima fila nel contrasto alla circolazione di prodotti pericolosi. Le autorità di vigilanza della Penisola, attraverso il “Safety Gate europeo”, hanno notificato il numero più alto di beni potenzialmente dannosi per la salute dei consumatori rispetto a tutti gli altri Paesi dell’Ue: ben 1.089 su un totale di 4.137. Un valore, quest’ultimo, che segna il record storico in termini di notifiche dal lancio del sistema nel 2003 e che risulta quasi doppio in relazione alle notifiche di appena un anno fa (2.117). Un valore record a cui hanno contribuito, con un impegno ben inferiore all’Italia, anche Paesi come la Germania che ha emesso 471 allerte nel corso del 2024 contro le 315 della Francia e le 386 della Svezia. Ben più contenuto il contributo fornito da Paesi come la Spagna (appena 22 alert), l’Austia (39), il Portogallo (27) o la Grecia che chiude la classifica con un misero 4.
Le abitudini di mobilità degli italiani stanno attraversando una fase di cambiamento. Complici l’aumento dei costi, una nuova attenzione all’impatto ambientale e le trasformazioni nel contesto familiare e lavorativo, sempre più persone scelgono di camminare, utilizzare la bicicletta o affidarsi al trasporto pubblico per i propri spostamenti quotidiani: anche se l’auto privata resta il mezzo più diffuso e utilizzato, cresce la disponibilità a ridurne l’uso o a sostituirla in futuro con soluzioni più sostenibili. Le abitudini di mobilità. Secondo il Mobility Barometer di Europ Assistance, ricerca realizzata in collaborazione con Ipsos e condotta online tra il 17 dicembre 2024 e il 13 gennaio 2025 su un campione di 9.000 persone in 9 paesi europei, il 96% del campione italiano dichiara di scegliere di camminare per i propri spostamenti quotidiani; segue nelle preferenze l’auto privata (93%, con il 97% che ne possiede almeno una, i valori più alti in Europa), anche se il 37% dichiara di essere disposto a rinunciarci in futuro.
Quando si parla di salute, il genere fa la differenza. Non solo per questioni biologiche, ma anche per fattori culturali, sociali ed economici. Eppure, per troppo tempo la medicina si è concentrata su un modello unico, costruito su misura dell’uomo. Oggi, la medicina di genere non è più un tema di nicchia: è una priorità. Differenze nei sintomi, nelle diagnosi, nella risposta ai farmaci e nell’adesione ai programmi di prevenzione richiedono strategie nuove, capaci di garantire a tutti cure più eque ed efficaci. Una sfida che riguarda anche la sostenibilità economica dei sistemi sanitari. Oggi, quindi, anche grazie a un crescente impegno scientifico e istituzionale, la medicina di genere non può più essere un tema di nicchia, ma una priorità, con l’obiettivo di garantire a tutti i pazienti cure più efficaci, personalizzate ed eque, ma anche promuovere una prevenzione di genere, con programmi mirati che tengano conto delle differenze nei fattori di rischio, negli stili di vita e nell’adesione agli screening.
Nessuna richiesta di maggiori informazioni da Ivass sulla governance della futura joint venture con Natixis, su cui in ogni caso è stato stipulato un accordo non vincolante. Una M&A che continuerà a prendere in considerazione «solo operazioni che garantiscano la creazione di valore». E nessuna azione di concerto con qualsivoglia socio che abbia incluso nella propria lista uno più amministratori in carica. Sono queste alcune delle risposte più significative fornite da Generali alle domande scritte poste dai soci in vista dell’assemblea del prossimo 24 aprile, assise che tornerà in presenza, a Trieste, dopo la lunga parentesi da remoto (come per molti altri big di Piazza Affari) in scia alle restrizioni per Covid.