Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali

 

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Intesa Sanpaolo batte le stime sui conti del 2024 e si pone come «spettatore» del risiko bancario. La banca resterà «lontana dalla confusione che c’è sul mercato italiano», ha dichiarato il ceo Carlo Messina, assicurando che non entrerà in campo nelle partite in corso tra Mps, Mediobanca, Generali, Unicredit, Banco Bpm e Anima: «Vogliamo essere lontani dalla confusione che c’è sul mercato; neanche io ci capisco più tanto», ha scherzato nella conferenza stampa dopo i conti 2024 chiusi con il «miglior risultato di sempre: 8,7 miliardi di utili, +12,2%», salutati dal mercato con un +1,9% del titolo a 4,25 euro.
I francesi del Groupe des Banques Populaires et des Caisses d’Epargne (Bpce) avranno nel primo biennio 2026-2027 un dividendo preferenziale di 250 milioni mentre per Generali l’impatto positivo sull’utile netto del gruppo ci sarà solo dal 2028, pari secondo le attese ad oltre 50 milioni fino al 2030, per salire oltre i 125 milioni negli anni successivi. Ieri il gruppo assicurativo guidato dal ceo Philippe Donnet ha reso noti i dettagli del memorandum d’intesa (Mou) firmato con la seconda banca di Francia lo scorso 21 gennaio per dare vita al primo gestore d’Europa in termini di ricavi (4,1 miliardi) con 1.900 miliardi di masse e primo al mondo per asset assicurativi. Generali Investments Holding, come noto, apporterebbe oltre 600 miliardi in asset, mentre il contributo di Bpce, tramite Nim, sarebbe di 1.300 miliardi. E questo spiega il dividendo preferenziale assegnato nei primi due anni ai francesi. L’intenzione di Generali, in altri termini, sarebbe di fare un sacrificio in termini di dividendi dall’asset management per i primi anni (l’utile netto rettificato pro-forma nel 2023 di Gih è stato di 300 milioni) per fare parte però, al 50%, di una società decisamente più grande, capace di attrarre nuove masse e di aumentare in prospettiva la redditività.
La maxi-tassa straordinaria sulle fusioni bancarie introdotta in Spagna dal governo Sanchez potrebbe erodere di circa il 20% gli 850 milioni di euro di sinergie che il Banco Bilbao Vizcaya Argentaria ( Bbva) ha promesso agli azionisti grazie alla fusione con il Banco Sabadell. Un prelievo che, secondo quanto riporta Expansión, se non ha scoraggiato l’istituto di Bilbao ha spinto il suo presidente Carlos Torres a studiare il posticipo dell’esecuzione della fusione per limitare l’impatto contabile della stretta fiscale sull’operazione. Non è un mistero che per i rischi di riduzione della concorrenza e gli impatti occupazionali nel mercato iberico del credito, l’esecutivo di Madrid sia contrario alle nozze fra il secondo e il quarto gruppo bancario spagnolo per capitalizzazione.
Lo sviluppo della finanza islamica, che ad oggi ha un mercato di circa 4,5 trilioni di dollari l’anno nonché prospettive di crescita del 10-15% nei prossimi anni, «rappresenta un’occasione per l’Italia». Lo ha sottolineato il commissario Consob Federico Cornelli durante un convegno sul tema «Finanza oltre i confini – Islamic finance: un’opportunità strategica per attirare investimenti» organizzato da Banca Ubae alla Camera dei Deputati a Roma.Non solo infatti «la normativa europea non dà alcun rilievo all’aspetto religioso che eventualmente può connotare una data attività economica, non ponendo di fatto alcun ostacolo all’operatività di istituti finanziari islamici né alla raccolta del risparmio e alla commercializzazione di prodotti islamici», ma soprattutto «Euronext è in procinto di facilitare la quotazione di prodotti Shariah compliant anche sui mercati di Borsa Italiana», come già avviene per Euronext Dublino, che ha un ruolo chiave per la finanza islamica in Europa e ricopre la posizione di leader mondiale con il 38% di quota di mercato, fa notare Fitch.
La Commissione Europea ha avviato la «call for evidence» per raccogliere opinioni di consumatori e altre parti interessate, con l’obiettivo finale di fornire alle imprese europee finanziamenti aggiuntivi per 470 miliardi all’anno, come indicato nel piano 2024-2029 della presidente Ursula von der Leyen. La Siu vuole rendere più redditizi i risparmi dei cittadini e ampliare nello stesso tempo le opportunità di finanziamento per le aziende. Così si potrebbero sbloccare fondi per competitività, innovazione, transizione energetica, digitale e tecnologia.
Il conto delle sanzioni per chi non rispetta il Gdpr – il regolamento europeo sulla privacy – si è fermato a 1,2 miliardi di euro nel 2024. È quanto emerge dalla settima edizione del Gdpr Fines and Data Breach Survey, l’analisi annuale dello studio legale Dla Piper. E se in termini assoluti l’ammontare resta elevato, il dato è in netto calo: -33% rispetto al 2023, anno della maxi multa da oltre 1 miliardo di euro a Meta.

il tfr è meglio lasciarlo in azienda o avvalersi della previdenza integrativa? Come sappiamo il tfr corrisponde a una parte dello stipendio del dipendente accantonata dal datore di lavoro mensilmente e successivamente erogata al termine del rapporto di lavoro. Corrisponde a circa 1/13 dello stipendio annuo. La scelta sulla destinazione del proprio Tfr nei 6 mesi dall’inizio del rapporto di lavoro può verificarsi in maniera esplicita ma anche con modalità tacite alla previdenza integrativa. Con l’adesione tacita l’azienda con più di 50 dipendenti destina il Tfr in maturazione del dipendente in primo luogo alla forma pensionistica collettiva prevista. Ma in questa circostanza verrà versato solo l’importo del Tfr senza il contributo aggiuntivo contemplato in caso di scelta esplicita. Una cifra non indifferente a cui si rinuncia con questa modalità. Negli altri casi invece il tfr viene trasferito alla speciale forma pensionistica presso l’Inps. Lasciare il Tfr in azienda comporta l’applicazione di costi inferiori rispetto alla previdenza complementare. Mentre caso di ritiro, il Tfr lasciato in azienda viene liquidato al momento del pensionamento o in caso di cambio di posto di lavoro.

Lo scenario macroeconomico è sempre più incerto, la ricetta per Xavier Durand, ceo di Coface: «Adattarsi ai cambiamenti». Il consiglio arriva in apertura dei lavori della Conferenza Rischio Paese che ogni anno il player mondiale della gestione del rischio credito commerciale organizza a Parigi. Il Pil globale per quest’anno è previsto in leggero miglioramento del 2,7% (rispetto al +2,6% della precedente stima). Il 2025 dovrebbe confermare la divergenza fra l’economia degli Stati Uniti e quella dell’area euro. Coface vede invece l’Italia tra luci e ombre: il rischio di insolvenze delle nostre imprese si mantiene poco elevato, rating stabile dal gennaio 2023, mentre il Prodotto interno lordo è atteso in debole miglioramento dello 0,7% contro il +0,5% dell’anno scorso: una modesta ripresa trainata dai consumi delle famiglie, finora rimandati, che beneficeranno di un aumento dei redditi e di un mercato del lavoro resiliente. Il sostegno agli investimenti dei fondi europei sarà compensato dal graduale ritiro del superbonus; anche la ripresa industriale sarà soggetta alle tensioni commerciali con gli Usa. L’inflazione, è la previsione, dovrebbe rialzare la testa all’1,7%.

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Gli Italiani nel 2023, dicono i dati della tessera sanitaria, hanno speso 1,13 miliardi di euro per visite (costate 805 milioni), farmaci (290 milioni) e interventi chirurgici. Il dato è cresciuto del 77% rispetto ai 642 milioni sborsati nel 2016. Poi ci sono le spese per ilcibo che, secondo Assalco, l’associazione delle imprese per l’alimentazione e la cura degli animali da compagnia, sono arrivate addirittura sopra i 3 miliardi, con un aumento del 13% sul 2022. Si tratta di una crescita legata al rincaro dei prodotti, perché la quantità di cibo acquistato, circa 673 tonnellate, è rimasta più o meno la stessa. Si spende per farmaci che spesso sono molto più cari di quelli per gli umani, anche se nella maggior parte dei casi le molecole sono le stesse. Poi ci sono le risonanze e le tac che possono costare tra i 400 e i 700 euro, le ecografie all’addome da 100 euro e gli interventi chirurgici più o meno complessi. Per una protesi d’anca ci vogliono anche 2.500 euro.

Ben 312 anziani ogni 100 giovani. È quello che potrebbe accadere nel nostro Paese tra poco più di 50 anni, nel 2080, secondo una delle stime contenute nel recente aggiornamento del rapporto della Ragioneria generale dello Stato sulle tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico. Che sono state elaborate sulla base delle previsioni demografiche dell’Istat con base 2023. Un dato che da solo misura l’evoluzione quasi parallela dei rischi di restringimento del bacino domestico collegato al mercato del lavoro e di quelli riguardanti la sostenibilità del sistema previdenziale. Non a caso nella versione originaria del report della Rgs, quella dello scorso anno, si afferma che «la generazione del baby boom conseguirà nei prossimi dieci/quindici anni i requisiti per l’accesso al pensionamento, generando un’accelerazione della riduzione della popolazione in età di lavoro già a partire dal 2030 e un aumento dell’indice di dipendenza degli anziani senza precedenti per rapidità ed intensità di crescita»
Il 2 febbraio sono entrati in vigore i divieti previsti dal regolamento europeo sull’intelligenza artificiale (regolamento 2024/1689, detto “AI Act”), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale lo scorso 1° agosto. Si tratta del primo passo nell’attuazione graduale della disciplina. Il regolamento, rammentiamo, adotta un approccio all’intelligenza artificiale basato sul rischio, individuandone quattro livelli che possono comportare lesioni dei diritti umani o compromissione dei principi fondamentali dell’Unione europea. Si tratta del rischio inaccettabile (articolo 5), del rischio elevato o alto, per cui è prevista la valutazione di impatto di cui all’articolo 27, del rischio limitato, ossia relativo a sistemi che richiedono obblighi di trasparenza specifici, e del rischio minimo o nullo, riferito a sistemi che non presentano rischi significativi e per i quali non sono previsti obblighi aggiuntivi.
Il ministero dell’Interno cerca di arginare i ricorsi contro gli autovelox, otto mesi dopo che la Cassazione ha fatto deflagrare l’annosa questione della loro mancata omologazione. Ora una circolare ministeriale dà indicazioni su come impostare la difesa delle amministrazioni che utilizzano rilevatori di velocità. La tesi da sostenere si basa ancora una volta su una presunta equivalenza tra l’omologazione richiesta dalla legge e l’approvazione di cui invece sono muniti gli apparecchi. Ciò ricalca la linea storicamente portata avanti dal ministero delle Infrastrutture. Ma l’impressione è che giuridicamente il problema non sia ancora risolto.