Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali

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Il rischio numero uno per le imprese arriva dai sistemi informatici: gli attacchi dei cybercriminali che possono mettere fuori gioco i sistemi aziendali sono, infatti, in testa ai timori dei direttori finanziari. Sette Cfo su dieci giudicano la minaccia di importanza elevata (19%) o grave (51%). Non sono da meno i pericoli legati ai conflitti in terre vicine. E poi, ancora: sale l’allerta per il dilagare del protezionismo (alta per il 51% e molto alta secondo il 12%); per i picchi dell’inflazione (per il 53% il rischio è grave, per il 5% è molto grave). Tuttavia, questo scenario non smorza il cauto ottimismo, già emerso a metà anno, sulle prospettive di crescita. A disegnare la mappa dei principali rischi geopolitici secondo i direttori finanziari è Deloitte, nello studio, di cui ItaliaOggi Sette è in grado di anticipare lo spaccato italiano, intitolato “L’evoluzione del Cfo contemporaneo: più ampie responsabilità e competenze per gestire l’impatto della nuova realtà geopolitica”, condotto su 1.333 Cfo di 13 Paesi europei.
Nove attacchi informatici ogni giorno, in media: il doppio rispetto a cinque anni fa, quando erano 4,5 a livello globale. La media è salita a 273 episodi al mese: erano 230 lo scorso anno e 139 nel 2019. Si è arrivati, quindi, alla soglia di 1.637 attacchi noti e di particolare gravità nei primi sei mesi del 2024 (+23%). Un dato preoccupante, a detta degli esperti, rispetto allo stesso periodo del 2023, quando è stata registrata una crescita dell’11% anno su anno. Come se non bastasse, si tratta di attacchi sempre più gravi, anno dopo anno. Vittima numero uno: il settore della sanità. L’allarme arriva dall’edizione di fine anno del rapporto Clusit, Associazione italiana per la sicurezza informatica, presentato in occasione del Security summit streaming edition, appuntamento sulla cybersicurezza, che riunisce esperti del settore, aziende e professionisti.
Cresce la fiducia degli italiani nei confronti dell’open banking, ossia il sistema bancario dei dati aperti nell’ambito del quale le informazioni finanziarie, previo consenso espresso da parte del cliente, vengono condivise tra le banche e con società esterne al fine di sviluppare prodotti e servizi innovativi. Nel primo semestre del 2024, infatti, ha toccato quota 49,2%, con un incremento del +1,7% rispetto al medesimo periodo del 2023, la platea di consumatori digitali che utilizzano soluzioni di open banking in Italia, con un incremento significativo da parte degli appartenenti alle generazioni “meno giovani”, ossia le fasce d’età della Generazione X (+4,8 punti percentuali), i nati tra il 1965 e il 1980, e dei Baby Boomers (+6,5 punti percentuali), i nati tra il 1946 e il 1964. Peraltro, tra i consumatori digitali che utilizzano l’open banking si riducono i profili ad alto rischio, con un calo di 9 punti percentuali. A delineare il trend positivo sono i dati contenuti nello specifico focus curato da Crif, azienda specializzata in sistemi di informazioni creditizie e di business information, che analizza il profilo e le caratteristiche degli utenti, i loro bisogni, le attitudini creditizie e le abitudini di pagamento.

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Una pioggia di titoli di Stato nelle tasche degli italiani nel 2023, ben 114 miliardi di nuovi acquisti. E altri 42 miliardi nel primo semestre di quest’anno. Come potevano le banche e le reti di consulenti finanziari non considerarli nei loro piani di business? E così hanno deciso di andare all’attacco di quel nuovo bacino, inventando un nuovo servizio, ribattezzato da alcuni “consulenza evoluta”, che consiste nel farsi dare una commissione per dare consigli sulla gestione di quei titoli.

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Sono già 25 mila i posti di lavoro a rischio in Italia nel settore dell’auto e a breve, se non aumentano il livelli produttivi, diventeranno almeno 50 mila. Questa la cruda analisi di Alix Partners per il tavolo dell’automotive presso il ministero delle Imprese. È l’effetto combinato di due fattori: lo stop al motore a scoppio dal 2035 e la spietata concorrenza cinese. Circostanze che però si innestano in un Paese dove la produzione è in calo dagli anni 90, e che quest’anno registrerà il peggiore risultato dal 1956. Il ruolo chiave lo gioca Stellantis perché in Italia è l’unico grande produttore. E perché è difficile attirare nuove case in una fase in cui la domanda in Europa sta drammaticamente scendendo.  Intanto mentre in Europa si litigava sul passaggio all’elettrico, la Cina sovvenzionava le sue aziende, che ora sono una generazione più avanti in termini di tecnologia (tempo di ricarica delle batterie, infrastrutture di ricarica, software, user experience, tempo di sviluppo dei nuovi prodotti). La conseguenza è lo sbarco di auto elettriche made in China sul mercato europeo a costi competitivi (meno 20%). La reazione è stata quella dei dazi: dal 17 al 35% per i prossimi 5 anni.

Abbiamo assistito con piacere all’annuncio degli utili miliardari da parte delle banche nei primi tre trimestri del 2024. Qualcosa come 19,3 miliardi di euro per le sole prime cinque. Ma quanto il sistema del credito sta contribuendo, attraverso gli impieghi del denaro raccolto, a spingere il sistema economico? Nonostante la Bce abbia tagliato i tassi per tre volte di un quarto di punto da giugno, l’erogazione del credito avviene con difficoltà.
L’operazione annunciata giovedì scorso dal Banco Bpm sulla totalità del capitale dell’asset manager Anima ha infatti riportato tra le mani dell’amministratore delegato del gruppo milanese il pallino del proprio futuro. Tirato per la giacca da anni affinché si avvicinasse al Monte dei Paschi di Siena, Castagna ha posto fine agli indugi, veri o presunti, definendo una strategia d’attacco che lo pone al centro del crocevia del risiko. Il Banco Bpm inoltre controlla il 22,38 per cento di Anima (infatti l’offerta è sul restante 77,62 per cento del capitale) e di Anima è il primo cliente. Gli altri grandi soci sono Poste (11,95) che ha dichiarato la partecipazione non strategica e che potrebbe felicemente monetizzare la propria quota portando a casa circa 245 milioni; Fsi di Maurizio Tamagnini (9,77%) e Gamma di Francesco Gaetano Caltagirone (3,46%). C’è chi vede, in prospettiva, anche il Monte dei Paschi di Siena, di cui Anima ha oggi lo 0,9 per cento. E si rinfresca sempre l’opzione di Unipol al posto di Axa nella bancassurance di Mps. Tutto è possibile. Ma quel che conta, in questa fase, è che lui, il Giuseppe, sia tornato ad avere il pallino in mano e il terzo polo del risparmio ora è cosa del tutto sua, dopo i colossi Generali e Intesa.
L’industria del risparmio è probabilmente uno dei settori-cardine del Paese. Eppure l’attenzione verso questo comparto strategico, necessario alla crescita delle imprese ma anche alla capacità delle famiglie di programmare il proprio futuro, non è particolarmente elevata. Anzi, c’è molta disattenzione. Lo Stato, a parte qualche eccezione come il trattamento dei Pir (Piani individuali di risparmio) lo considera soltanto un campo remunerativo dal quale ricavare gettito, con prelievi che vanno dal 12,5 al 26%, o il serbatoio necessario per assicurarsi la sottoscrizione dei titoli del debito pubblico. Raccontano che quando arrivano al ministero dell’Economia e delle Finanze, la prima cosa che viene chiesta ai banchieri è quanti titoli di Stato abbiano in portafoglio. Una capacità, quella di risparmiare, che ha portato le famiglie a costruire una ricchezza finanziaria superiore alla cifra record di 5 mila miliardi.

Il danno morale da perdita del rapporto parentale subito dai figli di un paziente deceduto per responsabilità medica si considera presunto, in mancanza di prova contraria. Non può invece essere negato solo perché i figli sono in età «pienamente adulta» per la quale «non possono ritenersi presumibili né la perdurante dipendenza economica né la convivenza con i genitori» e loro non hanno provato «la natura e l’intensità della relazione con il padre». Lo ha chiarito la Cassazione che, con l’ordinanza 27142 del 21 ottobre scorso, ha bocciato la pronuncia della Corte d’appello che non aveva seguito questi principi e aveva negato il risarcimento ai figli.
Il contagio da virus Sar-Cov2 non si può equiparare a un infortunio e, quindi, chi ha contratto il virus non può ottenere l’indennizzo dalla compagnia assicurativa con cui ha stipulato una polizza infortuni. Lo ha affermato il Tribunale di Padova che, con la sentenza 1595/2024 del 16 ottobre 2024, si è inserito nell’orientamento prevalente assunto dalla giurisprudenza nel decidere le numerose cause di questo genere intentate negli ultimi anni. Sono frequenti, infatti, le pronunce che, al netto delle singole previsioni di polizza, hanno chiarito che il Covid – in termini assicurativi – è una malattia e non è, dunque, indennizzabile come infortunio. Tra queste, si segnalano le pronunce 719 e 653, entrambe del 20 giugno 2023, della Corte d’appello di Torino. Nello stesso senso si sono espresse la sentenza 351 del 23 marzo 2022 del Tribunale di Pescara e l’ordinanza del 20 luglio 2022 del Tribunale di Milano.