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Il Futuro del Mercato Assicurativo Italiano

Una delle domande più frequenti che in questo periodo mi rivolgono gli amici broker appassionati di tecnologia suona più o meno così: “Cos’è successo recentemente che ha determinato un salto così significativo nell’intelligenza artificiale? Si può identificare un ‘punto di svolta’? Ovvero, un evento, una persona o un gruppo di persone a cui possiamo attribuire il merito di questo incredibile progresso?”

La mia risposta è, semplicemente: “Sì, esiste.”. Ed ora, a beneficio dei tre o quattro lettori tecnofili e curiosi, proverò a raccontarvela ‘dall’interno’.

Tutto ebbe inizio nel 2017 all’interno di Google – precisamente nei Building 1965 e 1945 di Mountain View. Furono otto i ricercatori coinvolti, tra cui il leggendario Noam Shazeer (il ‘mago del software’), e Llion Jones, l’ideatore del titolo del paper “Attention Is All You Need”, presentato nel dicembre di quell’anno al Neural Information Processing System, il principale convegno annuale sull’intelligenza artificiale.

Quello che avvenne dopo la presentazione è uno di quegli intrecci che sembrano usciti da un romanzo di fantascienza, ma che dimostrano come l’intelligenza artificiale, a volte, si sviluppi in modi tanto casuali quanto affascinanti.

Mentre Google si lasciava sfuggire dalle mani un’opportunità rivoluzionaria, nel mondo accademico e tra le startup stava esplodendo una vera e propria febbre di innovazione. Molti avevano colto il potenziale di “Attention Is All You Need”, e così, tra chi leggeva il documento come una semplice ricerca teorica e chi lo vedeva come la chiave per sbloccare nuove frontiere, si andava formando un’onda di cambiamento: ricercatori e imprenditori iniziarono a esplorare nuovi approcci che portassero l’intelligenza artificiale oltre i limiti dei modelli tradizionali.

Allo stesso tempo, OpenAI era già in fermento. Ilya Sutskever e il suo team avevano riconosciuto che, se applicata nel modo giusto, la tecnica del ‘transformer’ descritta nel paper avrebbe potuto rivoluzionare il modo in cui l’intelligenza artificiale processa il linguaggio. Non più dipendente dalle strutture lineari e limitate dei modelli precedenti, questa nuova architettura avrebbe permesso all’AI di ‘capire’ il contesto in maniera più efficiente e dinamica, aprendo le porte a interazioni più naturali e complesse tra macchine e umani.

È qui che la storia prende una piega affascinante. Mentre il team di OpenAI sviluppava i primi prototipi basati su queste idee, una delle sfide più grandi era convincere gli investitori e i partner che ciò che stavano facendo non era solo una nuova moda tecnologica, ma l’inizio di una vera e propria rivoluzione.

Eppure, il successo non si fece attendere. Dopo vari tentativi, i primi modelli conversazionali – che sarebbero poi diventati la base di ChatGPT! – cominciarono a sorprendere tutti con la loro capacità di generare testo e rispondere a domande in modi che sembravano quasi… umani. Ma c’era di più.

La vera svolta non fu solo nella tecnologia stessa, ma anche nell’accesso che veniva dato ad essa. OpenAI prese una decisione audace: rilasciare questi modelli al pubblico, permettendo a chiunque – dai ricercatori agli sviluppatori di app, fino agli utenti comuni – di sperimentare direttamente le capacità della nuova intelligenza artificiale. In breve tempo, le applicazioni si moltiplicarono, da chatbot sofisticati a strumenti creativi per la scrittura e la programmazione. Un intero ecosistema di idee innovative cominciò a fiorire attorno a ciò che era nato come una singola intuizione nel paper di Google del 2017.

Nel frattempo, gli ex-ricercatori di Google, ormai fondatori delle proprie aziende, si stavano muovendo a una velocità impressionante. Storie di successi fulminei e investimenti milionari si rincorrevano. È difficile non immaginare i dirigenti di Google, osservando queste aziende decollare, pensare a ciò che sarebbe potuto essere se avessero dato ascolto a quei visionari all’interno della loro stessa organizzazione.

Alla fine, questa storia ci insegna qualcosa di molto importante sull’innovazione tecnologica: non basta avere grandi idee, bisogna avere anche il coraggio di credere in esse e la capacità di cogliere il momento giusto.

In questo caso, il salto evolutivo dell’intelligenza artificiale non è stato merito di una sola persona o di una singola azienda, ma di un concatenarsi di intuizioni, decisioni coraggiose e, forse, un pizzico di serendipità. Ed è così che siamo arrivati dove siamo oggi: in un’epoca in cui l’intelligenza artificiale è più accessibile, più potente e, in un certo senso, più ‘umana’ di quanto avessimo mai immaginato.

Ma chi può dire dove ci porterà domani? Se c’è una cosa che abbiamo imparato da questa storia, è che il futuro può sorprenderci nei modi più inaspettati. La vera rivoluzione, forse, è appena cominciata.

gabriele.rossi@diagramma.it