GIURISPRUDENZA

Autore: Marco Rossetti
ASSINEWS 366 – Settembre 2024

La Corte di cassazione scioglie un ventennale equivoco su natura ed effetti della “Constatazione Amichevole di Incidente”. Le conseguenze sul lavoro degli intermediari.

1.Premessa
Tutti sanno cos’è il “modulo di Constatazione Amichevole di Incidente” (comunemente detto “CAI”): un foglio prestampato, di colore bianco, giallo e celeste, che i conducenti di veicoli coinvolti in un sinistro hanno facoltà di compilare per descrivere le cause e le modalità di quest’ultimo.

Un po’ meno sono coloro che conoscono gli effetti processuali della congiunta sottoscrizione di questo modulo (l’inversione dell’onere della prova in caso di giudizio).

Quasi nessuno, però, si è avveduto che da vent’anni in qua nella giurisprudenza di merito si era venuto creando un mostruoso equivoco, sorto da una frettolosa lettura di una decisione delle Sezioni Unite di molti anni fa: ovvero l’idea che, nel caso di lite tra il danneggiato e l’assicuratore della r.c.a., il modulo CAI prodotto in giudizio dal primo sia “liberamente valutabile” dal giudice. Il che val quanto dire che il giudice potrebbe fare di quel modulo quel che vuole, a discrezione.

Si trattava ovviamente di una interpretazione sbagliata della legge, che perveniva all’inammissibile effetto di abrogarla. La Corte di cassazione con una recente decisione ha ora messo fine a queste “interpretazioni libere”, chiarendo in termini definitivi cosa è il modulo CAI, quali sono i suoi effetti e quale uso se ne può fare in giudizio (Cass. civ., sez. III, ord. 3 giugno 2024 n. 15431).

2. Riassunto delle puntate precedenti
Il modulo di “Constatazione Amichevole di Incidente” (CAI) è previsto dall’art. 143 cod. ass. (d. lgs. 7.9.2005 n. 209). Il primo comma di tale norma stabilisce che l’assicurato contro i rischi della r.c.a., se coinvolto in un sinistro stradale, deve assolvere l’onere di avviso di cui all’art. 1915 c.c. (c.d. “denuncia di sinistro” al proprio assicuratore) avvalendosi di un modulo appositamente approvato dall’IVASS.

La previsione suddetta non è una novità del codice delle assicurazioni; essa infatti fu introdotta quasi mezzo secolo fa dal decreto c.d. di “miniriforma” dell’assicurazione r.c.a. (art. 5, secondo comma, del decreto-legge 23 dicembre 1976, n. 857, convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1977, n. 39).

Il secondo comma dell’art. 143 cod. ass. aggiunge che quando questo modulo sia sottoscritto da ambedue i conducenti “si presume, salvo prova contraria da parte dell’impresa di assicurazione, che il sinistro si sia verificato nelle circostanze, con le modalità e con le conseguenze risultanti dal modulo stesso”.

Lo scopo di tale previsione era il prevenire le liti giudiziarie, addossando all’assicuratore l’onere di provare che il sinistro non era avvenuto con le modalità (e le responsabilità) concordemente indicate dai conducenti.

Le cose, però, andarono diversamente da come il legislatore aveva preconizzato. Il modulo CAI, sorto per prevenire le liti, si trasformò in alcune parti d’Italia in un moltiplicatore del contenzioso. Attraverso esso, infatti, diveniva uno scherzo da ragazzi simulare sinistri mai avvenuti da parte di sottoscrittori compiacenti.

E per i sinistri con danni modesti o modestissimi (il 90% del totale) diveniva assai difficile per l’assicuratore svelare la falsità della dinamica per come dichiarata nel modulo CAI. Se infatti qualcuno attestasse falsamente nel modulo CAI “il mio veicolo è andato distrutto”, oppure “ho dovuto subire l’amputazione d’un arto”, il riscontro della veridicità sarebbe assai agevole.

Un danno grave, infatti, è ben difficilmente simulabile, mentre i pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali di lieve entità sono non di rado un ricettacolo di frodi. Fu così che una parte della giurisprudenza, a fronte di moduli CAI marchianamente contrastanti con gli indizi a disposizione, escogitò una soluzione che potremmo definire “ritorsivo-punitiva” in danno del truffatore.

Il ragionamento era questo: chi firma un modulo CAI dichiarandosi responsabile d’un sinistro, compie una confessione stragiudiziale, prevista dall’art. 2735 c.c.; la confessione vincola il confitente, ma non i terzi, tra i quali l’assicuratore del responsabile; ergo, dinanzi ad un modulo CAI sottoscritto da entrambi i conducenti, ma descrittivo d’una dinamica del sinistro incompatibile con gli elementi oggettivi a disposizione del giudicante, questi dovrà adottare una decisione differenziata per l’assicurato e per l’assicuratore, e cioè:

a) rigettare la domanda nei confronti dell’assicuratore, sul presupposto che la presunzione di cui all’art. 143, secondo comma, cod. ass., fosse stata vinta e superata dagli elementi indiziari raccolti in giudizio;

b) condannare il solo assicurato al risarcimento del danno, dal momento che avendo questi confessato alla controparte la propria colpa sottoscrivendo il modulo CAI, non poteva poi ritrattare la propria confessione, se nei casi estremi di confessione estorta con violenza o data per errore (art. 2732 c.c.);

c) negare all’assicurato, condannato in proprio a risarcire il terzo danneggiato, il diritto di essere manlevato e garantito dall’assicuratore, sul presupposto che il rigetto dell’azione diretta proposta dalla vittima contro l’assicuratore inibisse all’assicurato di invocare i benefìci assicurativi.

Quale “manifesto” di questo orientamento si veda, ex multis, Cass. civ., sez. III, 23.2.2004 n. 3544 (in Resp. civ. prev., 2006, II, 1875, con nota di Anzani, Il valore probatorio della constatazione amichevole nel giudizio promosso dal danneggiato contro l’assicuratore), secondo cui “la confessione resa dall’assicurato al danneggiato fa piena prova nei rapporti tra tali parti, ma non può essere posta a fondamento di una sentenza di condanna dell’assicuratore, nei confronti del quale la confessione è liberamente apprezzabile dal giudice”.

3. L’intervento delle Sezioni Unite
L’orientamento appena riassunto, per quanto finalizzato al lodevole intento di reprimere le frodi, aveva generato un grave problema dogmatico, ed un serio inconveniente pratico. Il problema dogmatico era come spiegare lo strano caso di due debitori solidali (l’assicurato e l’assicuratore, coobbligati nei confronti del terzo danneggiato), la cui obbligazione aveva il medesimo fondamento fattuale (un sinistro causato da colpa dell’assicurato), rispetto ai quali tale fondamento fattuale veniva negato per l’uno, ed affermato per l’altro.

L’inconveniente pratico era la sostanziale abrogazione dell’art. 143 cod. ass. (ovvero, in precedenza, l’art. 5 d.l. 857/76). La questione fu dunque rimessa alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, le quali a composizione dei contrasti stabilirono la seguente regola: il giudizio promosso dal danneggiato nei confronti dell’assicuratore della r.c.a. e del responsabile civile (che, si rammenti, è litisconsorte necessario) coinvolge inscindibilmente sia il rapporto di danno, originato dal fatto illecito dell’assicurato, sia il rapporto assicurativo scaturente dal contratto.

Di conseguenza tale giudizio deve concludersi con una decisione uniforme per tutti i soggetti che vi partecipano: e dunque anche a fronte di dichiarazioni confessorie rese dal responsabile del danno, deve escludersi che “si possa pervenire ad un differenziato giudizio di responsabilità in base alle suddette dichiarazioni, in ordine ai rapporti tra responsabile e danneggiato, da un lato, e danneggiato ed assicuratore dall’altro.

Conseguentemente, va ritenuto che la dichiarazione confessoria, contenuta nel modulo di constatazione amichevole del sinistro (…), resa dal responsabile del danno proprietario del veicolo assicurato e – come detto – litisconsorte necessario, non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del solo confitente, ma deve essere liberamente apprezzata dal giudice, dovendo trovare applicazione la norma di cui all’art. 2733, terzo comma, cod. civ., secondo la quale, in caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è, per l’appunto, liberamente apprezzata dal giudice” (Cass. civ., sez. un., 5.5.2006 n. 10311; quella appena trascritta è la massima ufficiale).

3.1. Poiché è malvezzo degli interpreti studiare (si fa per dire) la giurisprudenza di legittimità sulle massime, invece che sulle motivazioni, qualcuno pensò di estrapolare un solo passaggio della massima appena trascritta (quello in cui si affermava “il modulo CAI non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del solo confitente, ma deve essere liberamente apprezzata dal giudice”), per elevarlo a dignità di principio universale, e trarne la conclusione che il modulo CAI non fosse altro che uno chiffon de papier: se il giudice intendeva avvalersene come fonte di prova, bene, altrimenti poteva buttarlo via senza problemi. Si trattava di una interpretazione frettolosa e sbagliata della sentenza 10311/06. Frettolosa, perché pre scindeva dalla quaestio iuris sottoposta alle Sezioni Unite.

Queste non erano state chiamate a stabilire quale fosse l’efficacia probatoria del modulo CAI, ma erano state chiamate a risolvere una questione ben diversa: e cioè se fossero possibili pronunce differenziate nei confronti dell’assicurato e dell’assicuratore, convenuti entrambi in un giudizio di risarcimento del danno da sinistro stradale. Prova ne sia che il principio affermato dalle SS.UU. (non sono possibili condanne differenziate) trova applicazione sia quando a fondamento della pretesa il danneggiato invochi un modulo CAI; sia quando invochi qualunque altra fonte di prova, qualunque indizio, o qualunque confessione giudiziale o stragiudiziale dell’assicurato, anche se resa con forme diverse dal modulo CAI.

Il corretto principio affermato dalle SS.UU. fu che una confessione dell’assicurato non può mai comportare la condanna solo per lui e non per l’assicuratore: insomma, le responsabilità dell’uno e dell’altro simul stabunt, simul cadunt.

I corollari di quella ormai lontana pronuncia del 2006 dunque erano (o avrebbero dovuto essere):

a) a fondamento della domanda il terzo danneggiato allega prove ritenute convincenti: va pronunciata condanna nei confronti dell’assicurato e dell’assicuratore;

b) a fondamento della domanda il terzo danneggiato allega un modulo CAI “sospetto”, perché contrastato da altri elementi di prova od indizi di segno contrario: va rigettata la domanda nei confronti tanto dell’assicurato, quanto dell’assicuratore;

c) a fondamento della domanda il terzo danneggiato allega un modulo CAI di cui l’assicuratore non riesce a dimostrare l’inattendibilità: va pronunciata condanna solidale nei confronti dell’assicurato e dell’assicuratore.

4. L’equivoco perpetuato
Come accennato, della sentenza delle Sezioni Unite 10311/06 divenne vulgata il passo della massima in cui si affermava che il modulo CAI “non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del solo confitente, ma deve essere liberamente apprezzata dal giudice”. Questo passaggio, estrapolato dal contesto, finì per far dire alle Sezioni Unite un principio sbagliato e pericoloso. Sbagliato, perché come si è accertato di dimostrare la questione sottoposta alle SS.UU. era l’efficacia della confessione nei giudizi litisconsortili, e non il valore probatorio del modulo CAI.

Pericoloso, perché quel principio finì come accennato per innescare l’opinione che il modulo CAI fosse sempre “liberamente valutabile” dal giudice: ed in tal modo si finì per abrogare di fatto, in via interpretativa, l’art. 143 cod. ass., il quale come si disse nell’esordio del presente scritto stabiliva una regola ben diversa, e cioè che le modalità del sinistro per come descritte nel modulo CAI fanno presumere, fino a prova contraria, che i fatti siano andati come dichiarato dalle parti.

5. Un intervento chiar ificatore
A rimettere le cose a posto è intervenuta la recente decisione già ricordata (Cass. civ., sez. III, ord. 3 giugno 2024 n. 15431). Nel caso deciso da questa ordinanza era accaduto che la vittima di un sinistro stradale aveva convenuto in giudizio l’assicurato e l’assicuratore, chiedendone la condanna in solido al risarcimento del danno e allegando a dimostrazione della fondatezza della propria pretesa un modulo CAI sottoscritto da ambo i conducenti.

Il giudice di merito aveva tuttavia rigettato la domanda, ritenendo che la produzione del solo modulo CAI non era sufficiente a dimostrare la responsabilità del convenuto, perché quel modulo “non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del confitente, dovendo essere la dichiarazione ivi contenuta liberamente valutata dal giudice, come confessione proveniente da uno solo dei litisconsorti necessari”.

La Corte di cassazione ha ritenuto erronea questa affermazione, sulla base d’una motivazione articolata in tre passaggi. Il primo passaggio motivazionale è la ricognizione della norma di legge: e questa legge è l’art. 143, comma 2, del d.lgs. n. 209 del 2005, il quale “è chiaro nell’affermare che la C.A.I. sottoscritta da entrambi i conducenti determina una presunzione, salvo prova contraria da parte dell’impresa di assicurazione, che il sinistro si sia svolto con le modalità e le conseguenze indicate su quel modulo”.

Il secondo passaggio è che tale previsione impone all’assicuratore convenuto dimostrare la falsità del modulo CAI, e non all’attore dimostrare la verità del modulo CAI. Prova che l’assicuratore potrà fornire anche con indizi o presunzioni semplici (art. 2727 c.c.), ma che in ogni caso non può essere ribaltata sull’attore. Il terzo e decisivo passaggio è consistito nello svelare il ventennale misunderstanding ingenerato dalla frettolosa lettura di Cass. S.U. 10311/06, ovvero, se si preferisce, nell’interpretare “autenticamente” questa decisione. Si legge infatti nella motivazione di Cass. 15431/24 che quest’ultima pronuncia fu determinata, in realtà, dalla necessità di risolvere una serie di problemi diversi da quello dell’efficacia probatoria del modulo CAI; ed in particolare i problemi sorti dal fatto che, all’epoca, una parte della giurisprudenza di merito era orientata – in presenza di una prova contraria resa dalla società assicuratrice rispetto a quanto risultava dal modello CID – a condannare al risarcimento il solo danneggiante e non l’assicuratore.

Ciò spiega la particolare attenzione dimostrata dalle Sezioni Unite, in più passaggi della motivazione, all’unicità del rapporto dedotto in giudizio e alla necessità di un accertamento il quale “non può che essere unico e uniforme per tutti e tre i soggetti coinvolti nel processo, non potendosi nel medesimo giudizio affermare, con riferimento alla domanda proposta dal danneggiato nei confronti dell’assicuratore, che il rapporto assicurativo e la responsabilità dell’assicurato esistano nel rapporto tra due delle parti e non per l’altra, e ciò non soltanto in base al principio di non contraddizione, ma soprattutto in base alla struttura dell’azione così come disciplinata dalla L. n. 990 del 1969, artt. 18 e 23, se si ha presente che l’obbligazione dell’assicuratore di pagare direttamente l’indennità al danneggiato, non nasce se non esiste il rapporto assicurativo e se non è accertata la responsabilità dell’assicurato”.

L’affermazione sul valore confessorio della CAI come atto liberamente apprezzabile dal giudice in quanto confessione proveniente da un litisconsorte necessario si inscrive, quindi, nel contesto particolare della sentenza del 2006, intesa a chiarire l’impossibilità di un esito decisorio diverso per la domanda rivolta contro l’assicuratore e contro il danneggiante.

Ne consegue che il principio del libero apprezzamento non è in contrasto con le suindicate norme di legge che conferiscono al modello CAI, firmato da entrambi i conducenti, il valore di una presunzione iuris tantum che l’assicuratore è ammesso a superare. 5.1. La decisione del giugno di quest’anno, dunque, “rimette le cose a posto” rispetto ad orientamenti basati su letture frettolose della giurisprudenza di legittimità. Ne resta ribadita la regola per cui il danneggiato da un sinistro stradale, il quale possegga un modulo CAI sottoscritto da ambo i conducenti e completo in ogni sua parte, nel giudizio contro l’assicuratore non ha altro da provare che l’entità del danno. Sarà onere dell’assicuratore, per contro, dimostrare l’inattendibilità in tutto od in parte del modulo CAI.

Questa dimostrazione, come accennato, potrà essere anche data attraverso presunzioni semplici ex art. 2727 c.c.: così, ad es., l’incoerenza tra i danni riportati dai due veicoli che si assumono coinvolti nel sinistro è un fatto noto, dal quale risalire al fatto ignorato della falsità delle dichiarazioni contenute nel modulo CAI. Deve, per contro, escludersi che a fronte d’una contestazione del modulo CAI da parte dell’assicuratore, ma “svestita” di qualsiasi elemento probatorio od indiziario, il giudice possa ritenere inutilizzabile il modulo CAI e rigettare la domanda.

6. E lintermediario?
Che c’entra l’intermediario col modulo CAI? C’entra. Stabilisce l’art. 9, comma 1, del d.p.r. 18.7.2006 n. 254, che nei casi in cui trovi applicazione la procedura c.d. di risarcimento diretto (art. 149 cod. ass.), “l’impresa [assicuratrice] (…) fornisce al danneggiato ogni assistenza informativa e tecnica utile per consentire la migliore prestazione del servizio e la piena realizzazione del diritto al risarcimento del danno. Tali obblighi comprendono, in particolare, oltre a quanto stabilito espressamente dal contratto, il supporto tecnico nella compilazione della richiesta di risarcimento, anche ai fini della quantificazione dei danni alle cose e ai veicoli, il suo controllo e l’eventuale integrazione, l’illustrazione e la precisazione dei criteri di responsabilità di cui all’allegato A”.

Vero è che si tratta d’una norma che, se la desuetudine fosse fonte del diritto, sarebbe da tempo abrogata. Tuttavia la norma esiste e ne dobbiamo discorrere. Fornire al danneggiato “ogni assistenza informativa e tecnica utile per consentire (…) la piena re alizzazione del diritto al risarcimento del danno” è una previsione di sconfinata latitudine. Vi potrà rientrare anche l’assistenza nella compilazione del modulo CAI, e l’informazione sulla sua importanza e sui suoi effetti? Non c’è dubbio alcuno. Un modulo CAI incompleto perde l’efficacia probatoria privilegiata di cui all’art. 143 cod. ass., e reca un potenziale pregiudizio al danneggiato (che nel caso di risarcimento diretto è anche l’assicurato), se non disponesse di altre fonti di prova.

Dunque il primo passaggio è: l’assistenza di cui all’art. 9, comma 1, d.p.r. 254/06 include l’assistenza nella compilazione del modulo CAI. Il secondo passaggio sarà: l’assicuratore potrà fornire la suddetta assistenza tramite i suoi intermediari? Accipicchia, se può.

E non c’è neanche bisogno di scomodare la farraginosa disciplina di settore: l’art. 1753 c.c. dichiara infatti applicabili agli agenti di assicurazione gli artt. 1742-1752 c.c. sul contratto di agenzia in generale, e gli artt. 1745-1746 c.c. attribuiscono all’agente il potere di “ricevere le dichiarazioni che riguardano l’esecuzione del contratto concluso per il suo tramite”, e compiere le operazioni intese a tutelare l’interesse del preponente. Né si può dubitare, spero, che l’assistenza al danneggiato-assicurato, ex art. 9, comma 1, d.p.r. 254/06 tuteli l’interesse anche dell’assicuratore: la legge prevede infatti che la assistenza di cui si discorre debba essere prestata “nell’adempimento degli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede”.

Il ragionamento da fare, dunque, sarà: tiene una condotta scorretta l’assicuratore che non presta al danneggiato la suddetta assistenza informativa e tecnica”; la condotta scorretta è un inadempimento del contratto; l’inadempimento del contratto espone l’assicuratore alle domande di risoluzione, inadempimento e/o risarcimento; ergo, se i suddetti obblighi vengano delegati dall’assicuratore all’intermediario, e quest’ultimo li assolvesse in modo negligente, si renderebbe per ciò solo inadempiente al contratto di agenzia.


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