Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali

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tutti gli edifici, dal 2050, non dovranno immettere anidride carbonica nell’aria. Ma già dal 2040 sarà vietato installare nuove caldaie a gas. Tutti gli edifici di nuova costruzione, invece, dovranno essere a emissioni zero a partire dal 2030 e quelli pubblici dal 2028. Tuttavia, è data mano libera a ciascuno Stato per delineare i piani di ristrutturazione degli edifici residenziali. È quanto prevede la cosiddetta direttiva Case Green (Energy performance of building directive, Epbd) approvata definitivamente martedì 12 marzo dal parlamento europeo con 370 voti favorevoli, 199 voti contrari e 46 astensioni. Dopo un anno di trattative, la plenaria di Strasburgo ha siglato il testo definitivo che sarà approvato dall’Ecofin, il consiglio dei ministri dell’economia e delle finanze dell’Unione europea, nella riunione in programma il 12 aprile, prima di essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea. Il nuovo testo revisiona la precedente direttiva sulla prestazione energetica nell’edilizia con lo scopo di ridurre progressivamente le emissioni di gas serra e i consumi energetici nel settore edilizio entro il 2030 e arrivare alla neutralità climatica entro il 2050.
Irisparmiatori vincono, ma non stravincono, gli arbitrati finanziari: nel 2023 l’Arbitro delle controversie finanziarie (Acf) ha accolto il 56,8% dei ricorsi, i quali complessivamente calano di numero (sono circa la metà rispetto al 2017, primo anno di attività dell’Acf). È quanto emerge dalla Relazione per il 2023 dell’Acf, dalla quale risulta che nel corso di quell’anno sono state adottate 879 decisioni e che, con quelle favorevoli al risparmiatore, sono stati riconosciuti risarcimenti per un totale di 13,3 milioni di euro. E con un 95,5% degli adempimenti spontanei da parte di banche e intermediari (al netto delle controversie seriali). Ricorsi. Nel corso del 2023 l’Acf ha ricevuto 963 ricorsi: circa la metà di quelli presentati nel 2017 (1839) e inferiori a quelli del 2022 (1116) e del 2021 (1582), ma anche degli anni precedenti. Si registra, dunque, un calo del numero dei procedimenti, rispetto ai primi anni di attività, in cui l’Acf è stato investito di controversie seriali relative a vicende di gravi dissesti bancari. Fuori da un contesto emergenziale, il numero di ricorsi si attesta su un livello di fisiologica litigiosità. Il numero complessivo dei ricorsi trasmessi dai risparmiatori nei primi sette anni di attività (2017/2023) raggiunge il numero di 10774.
La mobilità si sta evolvendo, facendo spazio a nuove abitudini e a modalità più sostenibili. Anche se l’auto rimane il mezzo più utilizzato, crescono gli spostamenti a piedi, quelli con mezzi di micromobilità e, in controtendenza rispetto al resto d’Europa, il car sharing. Secondo l’Auto & Mobility Barometer, condotto dal Gruppo Europ Assistance in collaborazione con Ipsos, l’Italia è tra i paesi con il maggior numero di auto di proprietà, con il 97% (il dato più alto in Europa) che ne possiede almeno una, seguita dalla Spagna e dal Portogallo (90%). D’altra parte, alla domanda se in futuro sarebbero disposti a considerare di rinunciare all’auto privata, quasi la metà (il 41%, molto al di sopra della media europea) ha dato una risposta affermativa. Anche se l’auto rimane il mezzo di trasporto più usato (94%), nella Penisola, come nel resto d’Europa, si sta assistendo a un’evoluzione delle abitudini in cui trovano spazio mezzi più sostenibili, con un trend di crescita costante negli ultimi cinque anni che sembra destinato a rafforzarsi ulteriormente. Il 43% dichiara, infatti, di spostarsi a piedi più frequentemente rispetto a cinque anni fa (+30%) e il 40% di avere intenzione di camminare di più nei prossimi 12 mesi. Il 48% sceglie di muoversi con la propria bicicletta, il 25% con quella elettrica, il 18% con il monopattino di proprietà e il 23% con biciclette o monopattini in sharing, con oltre il 35% del campione che afferma di avere incrementato l’uso di ciascuno di questi mezzi rispetto a 5 anni fa.
La polizza assicurativa a copertura del trattamento di fine mandato rappresenta un accantonamento finanziario e non un costo. In periodi di rendimenti finanziari crescenti le compagnie assicuratrici offrono alle aziende la possibilità di creare dei depositi a copertura delle future passività per la liquidazione della indennità di fine rapporto degli amministratori; i valori accantonati sono investiti in gestioni separate e saranno retrocessi al verificarsi dell’evento coperto.
Assimilazione difficoltosa tra il Tfm e il Tfr per lavoro dipendente. Il Tfm è una indennità alquanto diffusa nella pratica societaria che, ancorché svolga una funzione “affine” a quella del Tfr (regolato dall’articolo 2120 del cod. civ.), concerne un quantum da corrispondere agli amministratori a fine mandato. Ogni rapporto di amministrazione è, tuttavia, autonomo e distinto da quello precedente in quanto si fonda su un atto di volontà (delibera di nomina), che si perfeziona con l’accettazione dell’incarico. L’autonomia di ogni rapporto, quindi, comporta l’esigibilità dell’indennità al termine di ogni incarico, salvo diverso accordo (norma Aidc n. 125/1995). È, pertanto, lasciata alla libera contrattazione delle parti la possibilità di corrispondere agli amministratori, al termine del loro mandato, una indennità quale compenso “aggiuntivo” a quanto stabilito dallo statuto o dall’assemblea dei soci.
Per il trattamento di fine mandato deducibilità ancorata alla data certa. Infatti, per effetto del combinato disposto degli articoli 105 e 17 del Tuir, gli accantonamenti al trattamento di fine rapporto sono deducibili per competenza solo se il diritto all’indennità risulta da atto avente “data certa” anteriore all’inizio del rapporto. Questa la tematica su cui si concentrano i maggiori malumori interpretativi. Sul punto, il Fisco ha assunto una posizione alquanto rigida: con la risoluzione 211/E/2008, infatti, l’Agenzia delle entrate sostiene che la deducibilità dell’accantonamento Tfm è legata alle condizioni di cui all’articolo 17, comma 1, lett. c) del Tuir. In mancanza di tale requisito viene meno la deducibilità per competenza e, pertanto, l’onere sostenuto dalla società può essere dedotto solo nell’anno di effettiva erogazione (criterio di cassa). Principio, questo, ribadito nell’ordinanza n. 19368/2018 secondo cui, in assenza di data certa, l’onere sostenuto dalla società risulta deducibile nell’esercizio di erogazione dell’indennità di fine mandato.

 

L’esperienza degli Stati Uniti ha creato molti problemi ma il fenomeno si sta espandendo, con l’obiettivo di conquistare la generazione Z, nativa digitale. Un mercato ricco, tanto che le stesse società di intermediazione corteggiano questi nuovi protagonisti nonostante l’allarme dei regolatori
Prese in contropiede dal fenomeno nuovo dei fininfluencer, le autorità di regolamentazione dei mercati finanziari cominciano a prendere iniziative sui consigli agli investimenti veicolati attraverso internet e social media. Però l’Esma, l’autorità europea, ha di recente lanciato un allarme avvertendo non soltanto i finfluencer ma anche tutti coloro che, professionalmente o da semplici cittadini, si lanciano in raccomandazioni riguardanti possibili investimenti. Ebbene, ha ricordato l’Esma a tutti questi soggetti che se non si adeguano alle linee guida dell’autorità (la cui vigilanza spetta in Italia alla Consob) potrebbero incorrere in severe multe e sanzioni. Da 500 mila a un milione e mezzo di euro per le persone fisiche, da 5 a 15 milioni per le persone giuridiche.
Sui fondali centinaia di incidenti danneggiano reti cruciali per energia e Internet. Difese deboli contro i sabotaggi. Sui fondali sommersi corrono centinaia di reti che l’uomo ha posato paziente dal 1857: ieri per il telegrafo, oggi per condividere di tutto, dall’energia ai dati. E oltre 100 reti di cavi – lunghe 1,3 milioni di chilometri – sono classificate come “cruciali” (nel 2024) perché veicolano la gran parte del traffico di Internet: fino al 95% lungo alcune direttrici. Nel 2017, quando era un semplice parlamentare, Rishi Sunak stimava che «il 97% delle comunicazioni e 10 mila miliardi di transazioni finanziarie quotidiane» corrono lungo i cavi sottomarini: «Indispensabili e insicuri», avvertiva l’attuale premier britannico con il suo studio di 7 anni fa.
Un “dinosauro” che dopo essersi risvegliato, si sta lentamente adeguando alla modernità. A fotografare il mutato scenario è Filippo Renga, direttore dell’Osservatorio Fintech e Insurtech del Politecnico di Milano, la cui nuova edizione dell’analisi – realizzata sul 72,5% dell’intero mercato – verrà presentata integralmente il prossimo 12 aprile a Milano, nell’evento Ai e Insurtech: nuove frontiere e opportunità per un’industria assicurativa che guarda al futuro, organizzato da Italian Insurtech Association, l’associazione cheriunisce le imprese attive nel settore assicurativo. «Il settore assicurativo è in ritardo rispetto ad altri, per esempio l’affine settore bancario, in termini di digitalizzazione e implementazione di tecnologie – spiega Renga – Ultimamente però il mercato sta dimostrando una certa vivacità: nel 2023 è cresciuto nettamente lo sviluppo di progetti insurtech interni alle compagnie assicurative: 84 rispetto ai 55 del 2022, con un aumento del 52,7%, per un valore di 45 milioni di euro (rispetto ai 23,7 milioni del 2022,ndr). Inoltre, sono state stabilite 45 partnership tra compagnie assicurative e startup o pmi innovative insurtech, rispetto alle 27 del 2022». Un passo in avanti significativo: «Non ci saremmo aspettati una crescita tanto rilevante ma in Italia conferma il direttore dell’Ossservatorio – c’è ancora molta strada da fare: l’insurtech è una grande opportunità in grado di dare efficienza, efficacia e sicurezza al settore».
Uno dei pilastri del progetto Ue denominato Mercato unico dei capitali è la cosiddetta Retail investment strategy, che consiste in un pacchetto legislativo sugli investimenti al dettaglio che pone al centro gli interessi dei consumatori, cioè i piccoli risparmiatori. L’obiettivo della normativa adottata da Bruxelles lo scorso maggio è quello di mettere gli investitori retail nella condizione di “poter prendere decisioni in linea con le proprie esigenze e preferenze, garantendo così che siano trattati equamente e adeguatamente protetti, in modo da aumentare la fiducia negli investimenti per il loro futuro e dar loro la possibilità di sfruttare appieno i vantaggi dell’unione dei mercati dei capitali dell’Ue”. Fra le misure previste dal pacchetto ci sono un miglioramento della trasparenza degli investimenti e delle informazioni fornite alrisparmiatore, la tutela contro le operazioni di marketing fuorviante, la gestione dei conflitti di interesse nella distribuzione dei prodotti di investimento vietando gli incentivi alle vendite che si limitano all’esecuzione dell’ordine, la riduzione degli oneri amministrativi e il rafforzamento della cooperazione fra Stati in materia di vigilanza per rendere più facile per le autorità nazionali competenti e per le autorità europee di vigilanza garantire la corretta ed efficace applicazione delle norme in tutta l’Ue e combattere insieme le frodi e le pratiche irregolari.
I mercati privati continuano a esercitare il loro fascino, le modalità per investirvi sono diverse e variano in funzione delle risorse a disposizione. Fondi di private equity, di venture capital e di private debt, altri fondi alternativi e “club deal” sono appannaggio di chi dispone di patrimoni molto consistenti, chi ha meno mezzi può utilizzare i Pir e gli Eltif. I Pir non sono strumenti finanziari a sé stanti, ma contenitori fiscali che prevedono l’esenzione dall’imposta di successione e dalla tassazione dei redditi di natura finanziaria a patto che una quota del portafoglio sia investita, per un periodo non inferiore ai cinque anni, in azioni e obbligazioni di medie e piccole imprese e la forma più comunemente adoperata per i Pir è quella del fondo comune di investimento. I Pir sono stati oggetto di numerosi cambiamenti normativi, non sempre felici; nella loro terza versione devono investire almeno il 17,5% del portafoglio in titoli a media o piccola capitalizzazione e almeno il 3,5% esclusivamente in small cap; il limite massimo di investimento è fissato in 40 mila euro all’anno e 200 mila euro complessivi.
Il grande successo delle reti di distribuzione in Italia trova spiegazione nella ricerca di “solidità e affidabilità” da parte dell’investitore. È questo quanto emerge dalla ricerca “Il valore del brand delle reti di consulenza finanziaria” prodotta da Finer per Assoreti, l’associazione delle società per la consulenza agli investimenti, ricerca che verrà presentata in occasione del Salone del Risparmio. Ben l’88% degli intervistati (1.000 investitori finali segmentati in base ai differenti livelli di patrimonializzazione: mass market, affluent e private) ha infatti espresso il proprio apprezzamento per questi valori, a conferma dell’importanza attribuita dai risparmiatori italiani alla sicurezza delle loro scelte di investimento.
Le riforme che si sono succedute nel corso degli anni non basteranno, almeno nel medio- lungo periodo. Già oggi la spesa pensionistica italiana è tra le più alte al mondo, pari a oltre il 15% del Pil e nel 2040, dovrebbe salire di altri tre punti. Questo mentre in Germania è attesa in progresso dal 10 al 12% e in Francia dovrebbe rimanere ferma al 15%. Più di altri, paghiamo l’incidenza delle pensioni calcolate con il metodo retributivo (in base cioè ai versamenti limitati agli ultimi anni di carriera), che peseranno sui conti dell’Inps ancora per decenni. Il tutto a fronte di un’economia che cresce a stento, anche a causa dell’enorme debito pubblico (139,8% a fine 2023, con l’Ocseche stima un’impennata fino al 180% nel 20240), che succhia risorse altrimenti destinabili alla riduzione delle imposte o al finanziamento dello sviluppo.
Retribuzioni più basse a parità di mansioni e anzianità. Minori possibilità di carriera, soprattutto a causa degli squilibri di coppia nella gestione degli impegni familiari. Maggiore ricorso al part-time (spesso involontario) e carriere discontinue, soprattutto in caso di maternità. Questo insieme di fattori penalizzanti per le donne si ripercuotono sugli assegni pensionistici, con quelli in rosa che ammontano in media a 1.242 euro al mese contro i 1.714 euro degli uomini. I dati, che arrivano dall’ultimo Osservatorio Inps, confermano un gap che nel corso degli anni si è mantenuto sostanzialmente stabile tra poco meno e poco più del 30%. Con il risultato che le donne sono state il 51,7% dei pensionati italiani, ma percepiscono solo il 44% dell’importo lordo complessivamente erogato per le pensioni.

La vendita sul mercato del 12,5 per cento del Monte dei Paschi di Siena lo scorso 26 marzo – operazione che L’Economia del Corriere della Sera aveva anticipato su queste pagine nell’edizione del 4 marzo – accelera l’uscita definitiva del governo italiano dal capitale della banca senese. Da mesi sono tre i player che vengono indicati come possibili catalizzatori di energie: Bper, Banco Bpm e Unicredit. Il Banco Bpm si è sempre chiamato fuori ed è legittimo rispettare la sua vocazione ad un futuro stand alone. Anche Ubi, negli anni scorsi, ha a lungo rivendicato il proprio diritto a un futuro solitario, salvo poi trovarsi, una mattina, sul lato degli acquisiti anziché degli acquirenti. Bper, che ha nel capitale la forza finanziaria del gruppo assicurativo Unipol, socio importante anche della Popolare di Sondrio, si appresta a rinnovare il board e da più parti è indicata come possibile play maker, anche se fin qui l’interesse della compagnia nei confronti delle reti bancarie è stato fin qui industriale, per completare la catena distributiva dei propri prodotti. Ma il futuro potrebbe essere diverso e un gruppo forte nella banca-assicurazione oggi in Italia non c’è. Ce ne sono in Francia e altrove, ma in Italia i due mestieri sono sempre stati separati, mentre le opportunità di offerta alla clientela di prodotti bancari e assicurativi assieme merita di essere esplorata, specie alla luce delle crescenti esigenze della clientela in tema di protezione, sanità e previdenza.
Le nuove risorse in attività finanziarie dal 2020 ad oggi hanno raggiunto i 270 mld. Superando di gran lunga il periodo 2014-19. Il patrimonio degli italiani ammonta a 11 mila mld tra mattone e altri asset. E’ molto concentrato come in Francia, ma meno di quanto accade in Germania
“Cinque anni fa gli aspiranti acquirenti di titoli del debito pubblico nazionale erano il 16,5%, oggi sono il 41,3%” spiega De Rita del Censis, che insieme ad Assogestioni ha pubblicato un rapporto per analizzare i comportamenti finanziari dei cittadini. Il risparmio è diventata la principale forma di riassicurazione, ma si comincia anche a capire che la liquidità non è proprio  la scelta più efficiente in un periodo di alta inflazione
Inflazione più alta e transizione demografica che mette a rischio il welfare. Le scelte da fare nell’evento organizzato da L’Economia l’11 aprile al Salone del Rismarmio