IVASS ha realizzato nel 2023, un’indagine sulle polizze IBIPs che presentano caratteristiche di sostenibilità-ESG, al fine di verificarne la struttura e le modalità di presentazione al pubblico.

L’indagine ha coinvolto 18 compagnie di assicurazione, da cui sono state acquisite
una serie di informazioni quali-quantitative legate al tema della sostenibilità, che hanno consentito di ottenere una interessante fotografia di come il mercato italiano si sta muovendo nell’offerta di prodotti “sostenibili”, consentendo altresì di far emergere alcuni aspetti meritevoli di approfondimento.

L’offerta di prodotti sostenibili nel mercato italiano è piuttosto ampia e riguarda principalmente prodotti cd. multiramo, l’asset allocation degli investimenti è basata principalmente su fondi esterni (OICR) e, in generale, le compagnie hanno integrato le tematiche legate alla sostenibilità all’interno delle policies in materia di Governo e Controllo dei prodotti assicurativi – Product Oversight Governance (POG) – e nelle proprie politiche distributive.

L’indagine mirava anche ad intercettare possibili ipotesi del c.d. greenwashing, ovvero la pratica in cui le affermazioni, le dichiarazioni, le azioni o le comunicazioni relative alla sostenibilità non riflettono in modo chiaro ed equo il profilo di sostenibilità sottostante un’entità, una polizza o un servizio finanziario. Questa pratica può essere fuorviante per i
consumatori, gli investitori o altri partecipanti al mercato.

Gli esiti dell’analisi

Polizze

Come anticipato, dall’analisi emerge una prevalenza delle polizze multiramo, le quali rappresentano il 45% del campione, seguite dalle unit linked, 29%, e dalle polizze rivalutabili, 25%. Non risultano polizze nuove, create ad hoc, ma piuttosto inserimenti di asset ESG tra gli investimenti sottostanti alle polizze già in commercio; in alcuni casi le imprese hanno dichiarato espressamente che si tratta di un restyling.

Il 92% delle polizze segnalate sono classificate “light green”, ovvero polizze che “promuovono, tra le altre, caratteristiche ambientali o sociali nelle politiche di investimento”. La restante quota è relativa a polizze ex art. 6 SFDR, ossia che “includono i rischi di sostenibilità nelle scelte di investimento”.
Non sono state comunicate polizze classificate “dark green”, ossia polizze che “includono gli investimenti sostenibili come obiettivo della politica di investimento”.

Asset sottostanti e politiche di investimento

Le imprese hanno rivisto l’asset allocation degli investimenti delle polizze al fine di inserire asset conformi alla normativa ESG, prediligendo un’asset allocation basata principalmente su fondi esterni (OICR).

In particolare, le polizze risultano collegate ai seguenti asset:
– 3.141 fondi esterni, dei quali 2.041 classificati “light green” e 197 classificati “dark green”;
– 173 fondi interni, dei quali 72 classificati “light green”, 1 classificato “dark green”, 93 art. 6 e 7 non classificati;
– 26 gestioni separate, delle quali 13 classificate “light green”, 7 come art. 6 SFDR e 6 non classificate. Nessuna risulta classificata “dark green”.

Spesso, inoltre, per la selezione degli investimenti con caratteristiche di sostenibilità, le compagnie ricorrono a società esterne, ciascuna delle quali ha propri rating interni, costruiti per la valutazione degli asset in ottica ESG. Non risulta che sia stato costruito un rating secondo metriche condivise.

Inoltre, le valutazioni ESG variano anche rispetto alla tipologia del sottostante di volta in volta considerato:
– i fondi interni sono infatti valutati per mezzo di soglie minime di asset, a loro volta classificati come “light green” o “dark green”, oppure la selezione degli emittenti viene affidata ad un provider esterno (impiegando metriche non omogenee, dunque non confrontabili tra loro);
– le polizze collegate alle Gestioni Separate, talune volte vengono valutate attraverso un rating ESG – definito dalla stessa impresa o da un provider esterno – fissando un livello minimo di riferimento (ad esempio, una compagnia ha indicato una soglia minima del 70% come materialità per gli investimenti della GS), altre volte le compagnie si affidano a criteri di esclusione per “scartare” investimenti che riguardano ambiti specifici contrari ai criteri di sostenibilità.

Integrazione aspetti di sostenibilità nei processi POG

Salvo rari casi, le compagnie hanno integrato le tematiche legate alla sostenibilità all’interno delle policies POG e hanno adeguato la documentazione precontrattuale a quanto richiesto dalla normativa europea.

In alcuni casi, tuttavia, le polizze, seppur classificate come “light green”, non si rivolgono a un target di clientela con preferenze di sostenibilità né sono pubblicizzate come tali sui rispettivi siti internet.

Distribuzione

Anche le politiche distributive e di offerta risultano sostanzialmente in linea con il nuovo quadro normativo; sono state inoltre somministrate attività formative in favore dei distributori. Per cinque compagnie, l’adeguamento era ancora in corso.

Le compagnie che distribuiscono tramite canale tradizionale hanno fornito alla propria rete di vendita indicazioni, in linea di massima ben strutturate e complete, sulle novità normative in ambito di sostenibilità e sui conseguenti interventi di adeguamento dei propri sistemi e processi inerenti l’attività di consulenza e vendita.

Emergono, in alcuni casi, aspetti di attenzione nella valutazione di adeguatezza del
contratto. In particolare:

– per tre compagnie, è emerso che viene consentita l’offerta ai clienti di polizze, le quali possono non essere rispondenti, o completamente rispondenti, alle preferenze di sostenibilità manifestate dal potenziale cliente, senza peraltro che a ciò faccia seguito la richiesta al cliente di adattare le proprie preferenzedi sostenibilità;
– sono stati rilevati possibili profili di attenzione quando il processo di vendita è gestito interamente per via digitale, senza alcuna attività di consulenza: in tal caso, il rischio è che i clienti possano non pervenire ad una buona comprensione del concetto di “preferenze di sostenibilità” e della loro scelta in merito al se e in quale misura un determinato prodotto debba essere integrato nei loro investimenti. In un caso, ad esempio, il processo di vendita
digitale prevede una particolare evidenza grafica per la scelta del prodotto “sostenibile”, ma, in assenza di consulenza, il processo consente di andare avanti anche se viene selezionato un prodotto “non green”, senza che ciò dia luogo ad un aggiornamento delle preferenze.

In alcuni questionari D&N (Demand and Needs), le domande al cliente circa le proprie preferenze di sostenibilità e la sua eventuale richiesta di determinare una quota minima di investimenti in linea con la tassonomia UE o di investimenti di sostenibilità sono risultate non sufficientemente granulari da consentire una corretta profilazione del cliente ai fini della valutazione di adeguatezza della polizza.

Quando la distribuzione è affidata a intermediari bancari, le istruzioni sono fornite direttamente dal distributore bancario alla propria rete commerciale, seppure nell’ambito degli accordi distributivi in essere tra la Banca e la Compagnia. Le compagnie forniscono al distributore le informazioni in merito al target market della polizza, anche con riferimento alle esigenze di sostenibilità dei clienti. Tuttavia, in alcuni casi, i questionari adottati dalle banche distributrici non consentono di rilevare le preferenze di sostenibilità dei clienti.

Solo in un caso è emerso un rischio di potenziale greenwashing per il tenore della domanda posta al cliente, il quale ha facoltà di dichiararsi interessato “a tutte le tipologie di investimenti sostenibili e responsabili espresse in qualsiasi percentuale di quota parte e ambito (ambientale/sociale/gestione responsabile) ”, e, di conseguenza, al distributore è consentito proporre al cliente qualunque polizza presente a catalogo.

Inoltre, dal momento che il processo è gestito interamente dal distributore bancario, non risulta chiaro come, ai fini della valutazione di adeguatezza della polizza offerta, vengano prese in considerazione le preferenze di sostenibilità del cliente all’interno dell’algoritmo di profilazione dello stesso. In particolare, non viene descritta la procedura attraverso la quale l’algoritmo di profilazione della clientela operi nel caso in cui, in assenza di polizze “green” nell’offerta, il cliente abbia espresso la propria preferenza verso polizze “sostenibili”.

Ulteriori punti di attenzione

Dall’analisi non sono emersi casi evidenti di greenwashing dal lato dei prodotti, si è percepita viceversa una certa cautela da parte delle compagnie nella classificazione dei prodotti come “light green” o “dark green”, ciò potrebbe portare, in ipotesi, anche al verificarsi di un “rischio greenbleaching”.

Ulteriori punti di attenzione riguardano:
a) la disomogeneità nella classificazione come “light green” di polizze multi-option: alcune compagnie infatti classificano un IBIP “light green” quando almeno una delle opzioni di investimento sottostanti sia classificata “light green” o “dark green”, mentre altre compagnie non classificano “light green” IBIPs che pure offrono prodotti che presentano sottostanti con opzioni “light green” o “dark green”.
b) la documentazione precontrattuale e l’informativa SFDR: alcune polizze presentano una documentazione precontrattuale particolarmente corposa e non sono stati rinvenuti allegati SFDR a livello di polizza assicurativa. Ciò potrebbe rendere difficile per il cliente comprendere le caratteristiche di sostenibilità della polizza.