di Francesco Ninfole
La Commissione Europea tira dritto sul divieto di retrocessioni agli istituti. Una mossa che cambierebbe i modelli di business. Forti proteste sono arrivate dalla Germania e dal comparto finanziario. Intanto secondo l’Esma scendono i costi dei fondi | Scontro Ue sulle commissioni di banche e assicurazioni sui prodotti finanziari
Una delle principali battaglie nel settore finanziario nei prossimi mesi riguarderà con ogni probabilità gli inducement, ovvero le commissioni che vengono retrocesse dai produttori di uno strumento finanziario (per esempio i fondi) ai distributori che fanno anche la consulenza (come le banche). A breve la Commissione Europea presenterà la «Retail Investment Strategy» nella quale sarà affrontata la questione. Le proposte sugli inducement dovrebbero essere varate ad aprile. La direzione sembra segnata. Bruxelles è orientata a un divieto.
Come riportato su MF-Milano Finanza del 17 gennaio, Mairead McGuinness, commissaria Ue ai Servizi finanziari, ha risposto a un’interrogazione dell’europarlamentare tedesco Markus Ferber facendo capire la volontà di vietare gli inducement. La possibile misura ha però scatenato la reazione del ministro tedesco delle Finanze, Christian Lindner, che si è detto «molto preoccupato» per un divieto che colpirebbe in modo rilevante il sistema assicurativo del Paese. Anche le associazioni di categoria europee di banche, assicurazioni e fondi hanno criticato l’eventuale stop agli incentivi.
La posizione della Commissione
Nonostante le proteste, McGuinness è decisa ad andare avanti. «Gli incentivi possono portare a conflitti di interesse con un effetto negativo sulla qualità della consulenza sugli investimenti», ha detto il 24 gennaio in audizione al Parlamento Ue. «Agli investitori retail viene spesso consigliato di acquistare prodotti più costosi o che non sempre sono i più adatti alle loro esigenze. I prodotti a basso costo, come gli Exchange Traded Funds (Etf), non vengono quasi mai consigliati. E questo ha un impatto sui rendimenti netti che i consumatori possono aspettarsi».
Secondo Bruxelles, i prodotti in cui vengono pagati degli incentivi sono in media «più costosi del 35% per gli investitori retail» rispetto agli altri, nonostante le tutele previste dalla Mifid e dalle direttive Ue contro i conflitti di interesse. Per McGuinness l’esperienza dell’Olanda, che ha introdotto il divieto alcuni anni fa, «ha portato a uno spostamento verso prodotti meno costosi e più diversificati» e «non a una riduzione degli investimenti retail, anzi si è registrato un leggero aumento».
La commissaria ha precisato che «il mercato olandese non è rappresentativo del resto dell’Ue», ma ha detto che «occorre chiederci se i modelli basati sulle commissioni funzionino davvero nell’interesse degli investitori al dettaglio», dato che «la consulenza di parte non è utile». I piccoli risparmiatori, secondo Bruxelles, «trarrebbero beneficio da una consulenza indipendente e da prodotti a basso costo a cui attualmente hanno meno accesso. Questo va oltre la semplice richiesta di maggiore trasparenza. Per la maggior parte delle persone è difficile capire quanto si paga quando le commissioni sono anche solo parzialmente nascoste. Ed è difficile capire il valore relativo dei diversi prodotti quando qualcuno vende la sua opzione preferita». McGuinness perciò vuole «ridurre le possibili barriere alla consulenza a prezzi accessibili», anche se, ha rilevato, la questione è «divisiva, ci sono argomenti da entrambe le parti».
La replica della Germania e del settore finanziario
Le osservazioni della Commissione non sono condivise da tutti. Il ministro tedesco Lindner ha sottolineato che vietare le commissioni sulle vendite di prodotti finanziari sarebbe una «grave battuta d’arresto» per il mercato dei capitali dell’Ue e ostacolerebbe l’offerta di consulenza.
Giovanni Sabatini, direttore generale dell’Abi, ha menzionato il 18 gennaio su MF-Milano Finanza uno studio di Kpmg da cui emerge che i costi finali per i risparmiatori sarebbero equivalenti senza inducement. Secondo Sabatini «una eventuale decisione della Commissione Ue di vietare il modello basato sulle commissioni determinerebbe l’allontanamento dal mercato dei capitali dei piccoli risparmiatori, peggiorerebbe l’informazione complessiva sui prodotti finanziari e la qualità del servizio offerto dagli intermediari, nonché determinerebbe costi sproporzionati per una profonda ristrutturazione del settore dei servizi finanziari».
Anche a fronte di un significativo cambiamento dei modelli di business del comparto, secondo gli operatori sarebbe meglio aumentare gli obblighi informativi piuttosto che imporre un divieto. Si vedrà se in questi mesi Bruxelles riterrà opportuno ammorbidire le proposte.
Intanto calano i costi dei fondi
Il costo dei fondi Ucits in Europa è calato tra il 2017 e il 2021, secondo i dati appena pubblicati dall’Esma (si veda grafico in pagina). In media un investimento di 10 mila euro nel 2012 avrebbe avuto un valore di 18.500 euro nel 2021 (al netto di costi per 3 mila euro) e di 16.500 euro considerando anche l’inflazione nel periodo. Proprio l’aumento dei prezzi potrebbe aver cambiato lo scenario nel 2022. L’Esma ha segnalato anche i costi dei fondi sono stati superiori a quelli degli Etf che hanno così avuto nel periodo una migliore performance netta. (riproduzione riservata)
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