Andrea Pira
Sono circa 1.300 le operazioni sottoposte al vaglio del golden power nell’arco di nove anni. Il numero è riportato nella relazione che accompagna e spiega il decreto per la tutela dei settori produttivi strategici, meglio noto come decreto Priolo, dal nome della raffineria siciliana di proprietà del colosso russo Lukoil che il governo è stato costretto a salvaguardare, disponendo la possibilità di una amministrazione temporanea, per scongiurarne la chiusura dopo l’embargo sull’uso del petrolio russo.
Decreto, ora in discussone al Senato, che ha previsto anche un corollario alla normativa sui poteri speciali di cui dispone il governo per monitorare e guidare gli investimenti nei settori considerati strategici. Il dl, infatti, prevede una sorta di rete di protezione per le aziende bloccate dal golden power, che potranno avere un accesso prioritario a strumenti quali il Fondo per la tutela dei livelli occupazioni e il proseguimento dell’attività d’impresa gestito da Invitalia o, in alternativa, il Patrimonio rilancio Cdp, pensato per venire incontro ai problemi delle grandi aziende in difficoltà.
Ipotesi finora di cui non c’è stata necessità. Su 1.300 operazioni scrutinate, soltanto in sette casi il governo ha fatto ricorso al veto, mentre sono 35 quelle sulle quali si è deciso di procedere con prescrizioni, per circa un terzo legate allo sviluppo della tecnologia 5G.
Dei casi di stop, sei sono stati decisi sotto il governo presieduto da Mario Draghi e cinque di essi coinvolgono controparti cinesi. La sesta operazione bloccata riguarda Rosatom. Lo scorso giugno Palazzo Chigi aveva infatti fermato il passaggio della friulana Faber Industrie spa, attiva nella progettazione e produzione di bombole e sistemi per lo stoccaggio di gas ad alta pressione, a una sussidiaria del colosso nucleare russo.
«La geopolitica ha giocato un ruolo nelle valutazioni sull’apposizione dei veti», ricorda l’avvocato Michele Carpagnano, capo della practice competition e antitrust di Dentons e direttore e fondatore dell’Osservatorio Golden Power, che ritiene ci sia invece maggiore cautela nei casi di operazioni che coinvolgono controparti «realmente europee». Non, ad esempio, il caso dello stop al passaggio del produttore di sementi Verisem al gruppo svizzero Sygenta, che fa capo al gigante ChemChina. «Prima di queste decisioni dobbiamo invece ricordare il veto del 2017 posto al passaggio di Next Ast, società che si occupa di elettronica per la sicurezza di porti e aeroporti, a una controllata della francese Altran. Operazione che ricadeva nell’articolo 1 della norma» sulla tutela degli asset per sicurezza nazionale e della difesa. C’è stato inoltre un intervento ex post sul Alpi Aviation. I cinesi di Mars information technology avevano acquisito il 75% del produttore di droni. Il governo Draghi era intervenuto annullando atti e delibere, ricorda Carpagnano. L’azienda ha quindi dovuto affrontare l’inversione a U a proprie spese.
Per capire meglio come il governo intenda utilizzare gli strumenti previsti dall’articolo 2 del decreto Priolo bisognerà attendere il regolamento che dovrà essere varato con un decreto ministeriale ancora aldilà da venire. Dal testo si capirà se la possibilità di accedere al sostegno riguarderà anche le conseguenze dell’imposizione di prescrizioni o soltanto il ricorso ai veti. «La norma fa semplicemente riferimento a imprese destinatarie dell’esercizio di poteri speciali», sottolinea Carpagnano.
E pur vero, aggiunge il professore Giulio Napolitano, partner di Chiomenti, che finora non si riscontrano casi in cui le prescrizioni abbiamo fatto saltare l’investimento. Il governo, «ha imparato a fornire prescrizioni sempre più dettagliate e puntuali, pur nel rispetto della libertà degli investitori e degli imprenditori», sottolinea ancora.
Certo è che nei mesi passati non sono mancate sollecitazioni a disporre indennizzi. Il tema era stato sollevato da Lea Montorsi, componente del consiglio di amministrazione di Robox, società piemontese sulla quale il governo Draghi aveva esercitato potere di veto, bloccando l’accordo di licenza tecnica per permettere l’accesso ai codici sorgente al gruppo cinese Efort, già nel capitale aziendale al 40% e salito al 49%.
Le novità del decreto Priolo sono l’ultima evoluzione in ordine di tempo di una normativa mutata nel corso degli anni, cui la crisi pandemica ha impresso una accelerazione, assieme alla definizione di un regolamento europeo, espandendone l’ambito di applicazione.
Oltre a difesa, energia, telecomunicazioni e trasporti, lo scudo copre anche agroalimentare, farmaceutico, finanza. In base alle nuove regole anche gli investitori comunitari che intendano rilevare il controllo (di fatto o di diritto) di aziende dell’energia, dei trasporti, delle tlc, della salute, dell’agroalimentare oppure nel credito e nelle assicurazioni dovranno richiedere autorizzazione. Resta poi la necessità di notifica per le operazioni che riguardano la difesa, con una soglia di capitale fissata al 3%, mentre per gli altri settori strategici, in operazioni che riguardano soggetti extra-Ue la soglia è del 10%.
Il continuo aggiornamento del piano ha quindi provocato un aumento delle notifiche inviate a Palazzo Chigi. Nel 2021 furono 496. Per fare un raffronto, nel 2014 il numero era appena di otto e ancora nel 2019 si fermava a 83.
Per il 2022 i numeri potrebbero essere in linea con quelli dell’anno precedente. «L’introduzione del prenotifica, che permette di sondare il governo in anticipo, per capire se l’operazione ricada nella normativa, dovrebbe aver ridotto il numero delle notifiche», sottolinea ancora Carpagnano. Secondo alcuni conteggi informali a Palazzo Chigi sarebbero già arrivate circa 60 prenotifiche.
«È aumentata la consapevolezza di una verifica preliminare. Almeno la metà delle operazioni richiede una verifica, aggiunge ancora Napolitano, «l’istituto delle prenotifica semplifica e aiuta a fare chiarezza prima della stipula degli accordi. Si tratta di una due diligence aggiuntiva, non molto diversa quanto a oneri rispetto a quella che le imprese devono fare normalmente». Quanto ai tempi lunghi per le aziende: «Finora abbiamo potuto verificare che la presidenza del Consiglio ha saputo reggere il carico e rispettare le tempistiche di legge che sono stringenti e più brevi di quelle di molti altri Paesi. Non c’è stato nessun caso di silenzio assenso e si è sempre provveduto a dare risposte». (riproduzione riservata)
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