di Emanuele Fisicaro
Se in capo al detentore di criptovalute sussistono elementi di prova relativi alla finalità di investimento, può ritenersi integrato il reato di abusivismo finanziario. È quanto stabilito dalla Corte di cassazione, sez. II penale, con la sentenza n. 44378/22 depositata il 7.12.2022 (si veda ItaliaOggi del 19/12/2022). Il caso riguardava un soggetto indagato per i reati di riciclaggio e abusivismo finanziario, per aver pubblicizzato in internet la vendita di bitcoin. Per delineare la fattispecie di reato di abusivismo finanziario, la Suprema Corte ha, in primo luogo, individuato la norma che contiene la definizione di moneta virtuale, operando una ricognizione delle disposizioni normative, nazionali e comunitarie, in materia, e rinvenendo tale definizione nell’art. 1 del d.lgs. 231/2007, come modificato dal D.Lgs. 4 ottobre 2019, n. 125, secondo cui la moneta virtuale è “la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.

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