Dario Ferrara
Il condannato ha più tempo per pagare alla parte civile il risarcimento cui è subordinata la condizionale. Se infatti il termine non risulta fissato nella sentenza, né indicato dal giudice dell’impugnazione o da quello dell’esecuzione, il d-day non coincide con il passaggio in giudicato della condanna, ma con il termine della sospensione, vale a dire i due o i cinque anni previsti dall’articolo 163 Cp a seconda se si tratta di condanna per un reato contravvenzionale o per un delitto. Lo stabiliscono le Sezioni unite penali della Cassazione con la sentenza 37503/22, pubblicata il 5 ottobre, che mette fine a un contrasto nella giurisprudenza di legittimità.
Istanza necessaria
È accolto il primo motivo del ricorso proposto dal condannato: sbaglia il giudice dell’esecuzione ad accogliere l’istanza di revoca della sospensione condizionale della pena avanzata dal pubblico ministero su sollecitazione della parte civile. Ciò perché nella sentenza ormai irrevocabile di primo grado manca la fissazione del termine ex articolo 165, sesto comma, Cp: il giudice considera il reo inadempiente ritenendo che la scadenza per provvedere al risarcimento coincida con la data di irrevocabilità della condanna. E lo decide sul rilievo che si tratterebbe di un’obbligazione pecuniaria immediatamente dal creditore, dunque dalla parte civile. La Suprema corte cassa senza rinvio: gli atti sono trasmessi al pm affinché chieda al giudice dell’esecuzione di fissare il termine per il pagamento.
Dato letterale
Non convince il collegio esteso l’interpretazione secondo cui, se il giudice della cognizione non fissa la scadenza per il pagamento del risarcimento, l’inadempimento si concretizzerebbe nel momento in cui passa in giudicato la sentenza che subordina la sospensione della pena al versamento della somma liquidata a titolo di danni per la parte civile: così facendo si svaluta la lettera della legge penale laddove richiede in modo esplicito che sia stabilito un termine diverso da quello iniziale entro cui il condannato deve onorare la prestazione.
Fatto illecito
Anche sul piano civilistico deve essere assicurato al debitore un termine congruo per adempiere: l’immediata esigibilità ex articolo 1183, primo comma, Cc non esclude che una scadenza, per quanto ridotta, debba essere concessa dal creditore, fermo restando il risarcimento del danno per il ritardo nell’adempimento; il tutto indipendentemente dalle eccezioni di cui al secondo comma della disposizione e dalla circostanza che non sia necessaria alcuna intimazione e messa in mora, dal momento che si tratta di un’obbligazione che deriva da un fatto illecito.
Dario Ferrara
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