Teresa Campo
Tutti scontenti gli operatori legati al Superbonus 110%. E presto anche i proprietari degli immobili se, come si prefigura, dovranno passare dal «tutto gratis» a migliaia di euro di spese a carico. Colpa della limitazioni al numero di possibili cessioni del credito fiscale (solo due cessioni e solo verso istituti qualificati) e, a cascata, delle conseguenze che ciò comporta. «In primo luogo abbiamo già banche meno generose nell’acquisto dei crediti, con approcci che spaziano dalla pausa di riflessione in attesa di smaltire le operazioni già in essere prima di avviarne altre, per arrivare a percentuali di sconto inferiori», spiega Manuel Castoldi, presidente di Rete Irene, network di società con competenze diversificate per offrire un servizio completo alle famiglie: «La media in passato era di acquistare a 102-105 il credito del 110% mentre ora si scende anche sotto quota 100. E in molti casi si arriva anche a vere e proprie chiusure, come nel caso di alcuni istituti di credito cooperativo, più piccoli ma anche i più attivi nel settore perché vicini al territorio». Tutto questo, unito a fattori contingenti come l’aumento dei prezzi dei materiali, alla fine porta a un inevitabile allungamento dei tempi per i lavori in corso che dovrebbero beneficiare della maxi detrazione fiscale. Peccato però che le scadenze, pur prorogate, restino comunque troppo ravvicinate (31 dicembre 2022 per le case unifamilliari ma solo se al 30 giugno è stato completato almeno il 30% dei lavori, un anno in più per i condomìni), e che quindi in molti a quella data, rischino di trovarsi a metà del guado. Inevitabili le conseguenze: alcuni andranno avanti, nella speranza di riuscire a rispettare le tempistiche, altri dovranno accollarsi dei costi aggiuntivi, altri ancora rinunceranno ad avviare i progetti. «L’interesse verso il Superbonus dà già segnali di rallentamento: in calo le famiglie interessate, dai 9,4 milioni di novembre agli attuali 7,5 a causa della sfiducia sulle possibilità di proroga. Ma non solo, da inizio d’anno la crescita degli interventi è più lenta a causa delle incertezze e dell’impatto delle recenti normative sulla cessione del credito», conferma l’ultimo osservatorio di Nomisma sull’andamento degli interventi soggetti al Superbonus. «Cala infine anche la platea di domanda potenziale, che passa da 4,9 a 2,5 milioni». Il tutto a danno, oltre che dei proprietari di appartamenti e villette, della qualità energetica del patrimonio immobiliare tricolore (e in un momento in cui il risparmio di energia dovrebbe essere un must), delle tante piccole e medie imprese del settore, dei professionisti coinvolti, e in generale del pil dell’Italia. L’anno scorso il totale degli investimenti legati al Superbonus ammessi in detrazione ammontava a oltre 18 miliardi. «Il problema è che come sempre in Italia si fanno le regole e poi si cambiano in corsa, otto provvedimenti solo negli ultimi due mesi tra decreti ministeriali e circolari dell’Agenzia delle Entrate», lamenta ancora Castoldi. «E a farne le spese saranno soprattutto le piccole e medie imprese e i professionisti, consegnando di fatto il mercato alle grandi utility che operano come general contractor».
A tutto questo si aggiunge il tema di prezzi e massimali: tra boom della domanda, soprattutto di ponteggi e cappotti termici, ed exploit delle materie prime le spese per i materiali sono arrivati alle stelle», spiega Davide Guida, responsabile Progetto eco-sismabonus di Gabetti Lab. «I prezzi e massimali previsti dal ministero sono stati effettivamente aumentati, ma per forza di cose non abbastanza da coprire i nuovi costi di mercato, dovuti anche a fattori contingenti come il conflitto, alla domanda e anche a purtroppo a speculazioni di alcuni se non a pratiche illecite come cartelli di prezzo. Per questo non serve quindi aggiornarli di nuovo, anzi ritengo che sia il mercato a doversi adeguare. Serve piuttosto più tempo agli operatori, così da permettergli di aspettare che il mercato si stabilizzi, e non bloccare un mercato che ha già portato risultati importanti».
Proprio dei risultati parla l’ultima analisi dell’ufficio studi Gabetti-Gabetti Lab su un campione di 671 condomìni: la cessione ha riguardato il 98% degli importi lavori e un residuo a carico dei condomini pari a solo il 2%. Il 74% dei condomini del campione ha sostenuto una spesa da 0 al 4% e il 25% una spesa tra il 5% e il 29%. Ma soprattutto in media è di 3 il salto di classe energetica, con un abbattimento del fabbisogno energetico del 53% e un risparmio energetico del 46%, in particolare una riduzione dei costi annuali di utilizzo gas del 43%. Forti di questi risultati gli addetti ai lavori chiedono proroga delle scadenze e maggiore flessibilità nella cessione dei crediti. Di alcune di queste sì è già fatto carico il mondo politico. «Nel decreto Sostegni ter siamo riusciti a spostare dal 7 al 29 aprile le procedure per comunicare all’Agenzia delle Entrate l’accesso a sconto in fattura o cessione del credito», conferma Donatella Conzatti, segretaria della Commissione bilancio del Senato. «Ci siamo inoltre fatti carico, attraverso un ordine del giorno scritto vincolante per il governo della proroga per le case unifamiliari dal 30 giugno almeno al 30 settembre. Chiusura totale invece del governo su numeri e soggetti legati alla cessione dei crediti perché tocca anche questioni di antiriciclaggio». (riproduzione riservata)
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