GLI EFFETTI DEL DIVIETO DI ALTRE CESSIONI INTRODOTTO DALL’ARTICOLO 28 DEL DECRETO LEGGE N. 4/2022
di Luca Nisco
Limitazione ad una sola cessione nella circolazione dei crediti derivanti da interventi edilizi ed energetici e rischio di sopravvivenza degli accordi in essere tra committenti, fornitori, principali operatori di mercato e banche cessionarie. Sono gli effetti principali delle previsioni contenute nell’art. 28 del dl n. 4/2022 (c.d. decreto «Sostegni ter»), in vigore dal 27 gennaio. Con tale intervento, finalizzato a porre un freno alle truffe e ai tentativi di riciclaggio emersi recentemente a seguito delle attività di controllo dell’amministrazione finanziaria, il governo cancella nei fatti l’intero mercato secondario e mette gli operatori di fronte a valutazioni e scelte anche particolarmente complesse.
Per chiarezza, la novella normativa nulla muta quanto alla possibilità di una prima (che diviene però unica) cessione diretta dei crediti da parte dei committenti/aventi diritto alla detrazione in favore di soggetti terzi; allo stesso modo, è confermata la possibilità per i fornitori di praticare lo sconto in fattura ai propri committenti per poi cedere il credito così maturato a soggetti terzi (va ricordato che il meccanismo dello sconto in fattura non rappresenta una ipotesi di cessione del credito, il quale sorge direttamente in capo al fornitore che ha praticato lo sconto, restando così irrilevante ai fini del computo del numero di cessioni).
Ciò su cui la stretta operata dal governo influisce in maniera determinante è la posizione dei primi cessionari dei crediti, essenzialmente grandi operatori di mercato (e.g. Esco e general contractors), banche e intermediari finanziari, i quali si ritrovano ora nella sopravvenuta impossibilità di cedere a loro volta i crediti acquistati, pena la nullità dei contratti stipulati.
È inequivocabile che ciò comporta una fortissima compressione della liquidità disponibile sul mercato nonché un prevedibile ribasso dei prezzi di acquisto, non più sostenibili ai valori sino ad ora registrati in quanto non più rispondenti a logiche di mercato.
Per evitare un effetto ancor più dirompente sui contratti in essere e sugli interventi in corso di realizzazione, l’art. 28 prevede di fatto un differimento temporale al 7 febbraio 2022 della piena entrata a regime delle nuove norme.
A tale data, infatti, qualora l’avente diritto abbia già esercitato una delle opzioni normativamente previste in alternativa all’utilizzo in forma diretta della detrazione (cessione del credito o sconto in fattura) mediante invio della comunicazione all’Agenzia delle entrate, il credito correlato potrà formare oggetto «esclusivamente di una ulteriore cessione ad altri soggetti».
Tale norma, definibile «svuotacassetti», appare in sostanza volta a consentire ai soggetti che già posseggano ovvero si trovino a possedere dei crediti le cui comunicazioni risulteranno inviate entro il 6 febbraio incluso (i.e. antecedentemente al 7 febbraio) una sola ulteriore cessione, a prescindere dal numero di cessioni precedentemente intervenute, onde evitare di ritrovarsi con masse di crediti in molti casi largamente eccedenti la propria teorica tax capacity.
Ma tale situazione andrà inevitabilmente a sovrapporsi e intrecciarsi con i dubbi legati alla sorte da attribuire ai contratti quadro di acquisto dei crediti stipulati dai grandi operatori di mercato con le imprese delle varie filiere nonché con le banche e gli altri intermediari finanziari.
L’assetto di mercato venutosi a creare all’indomani del decreto Rilancio (Dl n. 34/2020), infatti, vede banche e intermediari finanziari quali terminali di una (talora anche lunga) sequenza di cessione dei crediti, la cui sorte è principalmente quella di essere utilizzati in compensazione entro il limite della propria tax capacity ma pur sempre con la ragionevole aspettativa di potersi rivolgere al mercato secondario per (i) cedere le eventuali eccedenze rispetto al proprio effettivo fabbisogno o (ii) cogliere opportunità di business ricavandone un plusvalore.Tale meccanismo non conosce(va) un limite massimo di cessioni teoricamente operabili dopo la prima e ha sino ad ora consentito di immettere sul mercato dei crediti di imposta enormi masse di liquidità, a tutto beneficio delle imprese appartenenti alle filiere dell’edilizia e dell’energia, anch’esse ragionevolmente certe di trovare un acquirente dei crediti originati dagli interventi realizzati o in corso di realizzazione, così finanziando di fatto l’intero comparto.
Sono pertanto stati sviluppati dei modelli di operatività che prevedono, da parte dei grandi player di mercato, la sistematica e rotativa compravendita di crediti di imposta nell’ambito di contratti quadro che contengono l’espresso impegno a compravendere tutti i crediti eventualmente generati in un determinato lasso temporale ed entro un ammontare massimo predeterminato.
Appare ora incerta la sorte che subiranno questi contratti (e, con essi, gli enormi lotti di crediti in corso di formazione per cui vi è già impegno formale a procedere all’acquisto, come nel caso di interventi in corso di esecuzione o da eseguirsi) i quali vedono esposte grandi realtà del mondo industriale e finanziario, dal momento che il comma 3 dell’art. 28 qualifica espressamente come nulli i contratti conclusi in violazione del divieto di (ulteriore) cessione.
Tali contratti, nella stragrande maggioranza dei casi, hanno infatti ad oggetto la compravendita di crediti di imposta la cui prima cessione è già intervenuta, ad opera dei committenti o dei fornitori che hanno praticato lo sconto in fattura.
A tal riguardo, non vi è dubbio che la norma che limita la circolazione dei crediti alla prima cessione può essere qualificata come norma imperativa, non derogabile dalle parti, volta a tutelare un interesse pubblico.
Allo stesso tempo, è da escludere che allo jus superveniens di cui all’art. 28 possa attribuirsi una qualsivoglia efficacia retroattiva, rendendo così certamente salve le cessioni intervenute prima della sua entrata in vigore, poiché non appare possibile argomentare per la nullità ex tunc di un contratto di cessione stipulato (e parzialmente eseguito) prima della entrata in vigore della norma introduttiva di un divieto.
Di contro, la norma imperativa neo-introdotta, come detto rappresentata dal divieto di ulteriore cessione dei crediti, potrebbe comportare la nullità, o meglio l’improduttività di ulteriori effetti, del contratto originario solo a partire dal momento della sua entrata in vigore, restando come detto fermi gli effetti già prodottisi.
Ciò non toglie che l’entrata in vigore del divieto di cessione, in quanto sopravvenuta rispetto alla stipula del contratto, potrebbe anche integrare un’ipotesi di impossibilità sopravvenuta dell’oggetto, con conseguente applicabilità dell’istituto della risoluzione di cui agli artt. 1463 e ss. cod. civ.
Vi è poi il caso delle società di factoring o di trading che, solitamente nell’ambito dei grandi gruppi, svolgono funzioni di fronting nell’acquisizione dei crediti, rendendosi cessionarie di ingenti masse di crediti certamente non assorbibili in funzione della loro tax capacity. Sino ad ora tali società erano certe di potere ciclicamente rivendere quanto acquistato alla propria capogruppo o ad altre società del gruppo, così marginalizzando sulle cessioni. Non essendo ciò più possibile (quantomeno a decorrere dal 7 febbraio) i contratti di acquisto in essere non risulteranno nei fatti più onorabili, con la necessità di risolverli o in alternativa cederli a società dotate della capacità di assorbire quei crediti per i quali esiste già l’impegno ad acquistare.
Pertanto, previo assenso delle controparti promittenti cedenti dei crediti (che potranno essere esclusivamente committenti dei lavori o fornitori che praticano sconti in fattura alla propria clientela) tali contratti potranno formare oggetto di cessione, fatti comunque salvi gli effetti già prodottisi tra le parti originarie, in maniera tale da consentire la prosecuzione del rapporto compatibilmente con la tax capacity del nuovo acquirente.
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