di Carlo Giuro
Nel sistema previdenziale italiano esiste un meccanismo (denominato perequazione) che adegua l’importo della pensione pubblica all’aumento del costo della vita. Più nello specifico è previsto che al 1° gennaio di ogni anno i trattamenti previdenziali siano rivalutati sulla base del tasso di inflazione dell’anno precedente nella misura stabilita dal Mef prendendo a riferimento le rilevazioni dell’Istat sull’andamento dell’inflazione e di quello presumibile fino a fine anno. Sulla base del consuntivo possono poi essere fatti dei conguagli. Andando alle ultime disposizioni, con provvedimento dello scorso 17 novembre, la rivalutazione è stata determinata in misura pari a +1,7% dal 1° gennaio 2022. Ma da quest’anno è cambiato il meccanismo di determinazione dell’importo che rappresenta il recupero inflattivo. Una delle principali novità previdenziali dell’anno è infatti rappresentata dal ritorno ai criteri di calcolo della perequazione in vigore fino al 2011, ovvero il cosiddetto metodo «Scaglioni Prodi», che prevede un meccanismo simil Irpef con tre aliquote di rivalutazione (100%, 90%, 75%) a seconda dello scaglione della pensione, al posto del metodo «Fasce Conte» introdotto in via sperimentale per tre anni nel 2019 e articolato in sei fasce cui vengono applicate percentuali secche di rivalutazione dal 100% al 40% sull’intero valore della pensione. Gli scaglioni Prodi sono più favorevoli per i pensionati (ma non per lo Stato), in quanto il meccanismo applica progressivamente la diminuzione dell’aliquota di rivalutazione per l’inflazione.
Il metodo per fasce è invece più penalizzante per le pensioni medie e alte, perché la minor aliquota di rivalutazione viene applicata sull’intera pensione. In sostanza da quest’anno l’indice di rivalutazione automatica delle pensioni è fissato nella misura del 100% per le pensioni di importo fino a quattro volte il trattamento minimo Inps (quest’ultimo è pari a 523,83 euro), del 90% o per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici comprese tra quattro e cinque volte il minimo Inps e del 75% oltre la soglia delle cinque volte. Il meccanismo perequativo dovrebbero oggetto di attenzione nel tavolo di confronto tra Governo e Sindacati finalizzato a delineare un riordino strutturale delle pensioni. Per quel che riguarda la previdenza complementare è utile ricordare che il rischio inflazione è uno dei fattori di scenario che verranno considerati nei prossimi stress test dell’Eiopa sui fondi pensione occupazionali che avranno luogo nel corso dell’anno. Inoltre il ritorno dell’inflazione accelera la necessità di una riflessione ampia sul futuro delle linee garantite.Va infatti ricordato che la normativa prevede per i fondi pensione l’obbligo di dotarsi di un linea che garantisca la restituzione del capitale tendendo ad un rendimento comparabile alla rivalutazione legale del tfr (1,5% fisso più il 75% dell’inflazione) per recepire flussi di Tfr in modo tacito (è una delle tre opzioni di destinazione del Tfr previste dal meccanismo del silenzio assenso insieme al conferimento esplicito e alla scelta di non versarlo alla previdenza complementare). Il rialzo dell’inflazione diviene allora una nuova sfida per la gestione finanziaria delle linee garantite già in sofferenza per i tassi bassi che hanno ridotto il rendimento delle obbligazioni, l’asset class principale di queste linee. Tanto che negli ultimi anni i fondi hanno dovuto affrontare una scarsa partecipazione alle gare per la selezione dei gestori dei comparti garantiti. (riproduzione riservata)
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