Pagamenti via smartphone, trasferimenti digitali di denaro o anche l’acquisto online di una polizza assicurativa: sempre più italiani hanno queste abitudini di consumo. Eppure il settore del fintech e dell’insurtech (quindi delle evoluzioni digitali di finanza e assicurazioni) deve ancora spiccare il volo, secondo la ricerca presentata ieri dall’Osservatorio Fintech & Insurtech della School of Management del Politecnico di Milano. Infatti, di questo comparto fanno parte 564 realtà (di cui il 53% startup, il 24% pmi innovative, il 21% scaleup, ossia startup che hanno raggiunto una certa massa critica, e il restante 2% di natura aziendale). Arrivano a raccogliere 2 miliardi di euro (con un valore medio di 3,6 milioni) ma oltre il 50% di queste società non raccoglie nessun capitale (escluso quello sociale). Il rischio, quindi, è che il comparto con il suo valore aggiunto d’innovazione corra a due velocità.
Fintech e insurtech puntano da tempo sulla collaborazione tra più attori anche se, a giudizio del Politecnico di Milano, sono ancora pochi gli attori tradizionali che investono in fintech. Non solo, spesso sono quelli già storicamente attivi. A conferma, il Fintech index italiano (calcolato sulle attività di investimento e collaborazione delle grandi aziende con startup e pmi innovative) si ferma sotto il 6, a quota 5,7 su 10.
«Il valore dei capitali raccolti è significativo, ma l’accesso ai fondi è ancora limitato e la provenienza dei capitali è prevalentemente locale», ha dichiarato Laura Grassi, direttrice dell’Osservatorio Fintech & Insurtech, «segno che venture capital e fondi esteri non hanno ancora riconosciuto un alto potenziale a queste realtà o non hanno trovato il modo per intercettarle. Inoltre, emerge un’alta concentrazione delle quote azionarie in posizioni di controllo. Invece, è importante apportare conoscenze e competenze, oltre ai capitali».
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