Marco Capponi
Gli italiani quando si tratta del loro denaro sono tradizionalmente prudenti. I dati Abi sui depositi bancari della clientela residente rappresentano ormai una conferma: i parcheggi hanno raggiunto e superato la cifra record di 1.800 miliardi di euro (depositi e obbligazioni sono sopra i 2.000 miliardi), che con le previsioni di inflazione attuali potrebbero perdere tra il 20% e il 25% del loro valore nei prossimi anni. Urge correre ai ripari per far sì che il materasso troppo gonfio non si trasformi presto in una cassaforte di carta straccia. E quindi, anche se a piccoli passi, le famiglie sono pronte a scoprire una nuova virtù (perlomeno finanziaria): quella del rischio. L’ultimo rapporto Acri-Ipsos sugli italiani e il risparmio, pubblicato alla vigilia della Giornata del Risparmio di giovedì 21 ottobre, ha mostrato che nel 2021 la quota di persone che investirebbero i propri risparmi in strumenti finanziari considerati più rischiosi è salita notevolmente, passando dal 9% dell’anno precedente al 14%. Tra gli intervistati che hanno affermato di aver risparmiato il valore ha toccato addirittura il 21% (dal 13% del 2020), sfiorando quel 22% di chi preferisce ancora liquidità e consumi (si veda la tabella in pagina).
Un’inaspettata virata verso la ricerca di rendimenti di lungo periodo? Non proprio, visto che, interrogati sugli strumenti finanziari effettivamente posseduti, gli italiani hanno confermato quanto più volte ribadito da Abi: il 90% del campione ha un conto corrente, mentre i detentori di azioni, fondi comuni d’investimento e fondi pensione languono rispettivamente al 9%, 11% e 23%. Valori, peraltro, tutti in flessione rispetto all’anno precedente. E se la quota di italiani investitori è leggermente aumentata, passando dal 35% al 37%, i paladini del risparmio liquido restano ancora stabilmente in cima alla graduatoria delle abitudini di impiego del patrimonio: il 61% del totale, quasi i due terzi della popolazione. A confermarlo sono intervenute anche le parole del governatore di Banca d’Italia, Ignazio Visco, che ha ricordato come dallo scoppio della pandemia i depositi di famiglie e imprese siano aumentati di oltre 200 miliardi, soprattutto in forma di «risparmio precauzionale», con depositi e circolante che valgono «un terzo del totale, valore elevato rispetto al confronto storico».
Eppure, complici i rendimenti obbligazionari ai minimi e il fantasma dei prezzi al consumo alle stelle, il concetto di rischio finanziario non è più un tabù impronunciabile: se non nei fatti, quanto meno nelle intenzioni. «Gli italiani sono un po’ costretti a reinventarsi investitori», commenta Massimo Arrighi, partner di Kearney ed ex ad di Banca Fideuram, «perché la situazione degli strumenti classici, a partire dai Btp, è tale da imporre altre vie». Il vero problema è però un altro: le famiglie stanno facendo questo spostamento verso il rischio in piena coscienza? «Ho dei dubbi», aggiunge l’esperto, «perché la cultura finanziaria non è particolarmente cresciuta, e le scelte sono per la maggior parte in mano agli intermediari».
Quanto agli strumenti di rischio, secondo Arrighi gli italiani che agiscono sul segmento retail, «un tempo Btp-people per eccellenza», si stanno orientando verso «fondi ed equivalenti di fondi che hanno la loro maggiore quota di allocazione nell’azionario». Spostando invece il focus sul mercato upper-affluent e private «stanno emergendo le asset class reali: private equity, real estate e debito diretto delle aziende». La perplessità che tiene molti potenziali investitori lontani da tali strumenti è tuttavia legata al tempo di permanenza: «i rendimenti di queste asset class sono interessanti, ma richiedono orizzonti di lungo periodo». Quello che ancora non è stato capito appieno è l’opportunità offerta «dal premio per l’illiquidità: se si rimane molto è per avere molta resa», aggiunge il consulente.
Appurato quindi che il rischio è ancora un terreno poco esplorato, i potenziali investitori dovrebbero capire quale debba essere la sua componente in portafoglio, anche in ottica di diversificazione. «Se si vuole avere una qualche opportunità concreta», evidenzia Arrighi, «la quota di rischio azionario deve essere almeno a doppia cifra». Per ammortizzarlo però «bisogna darsi un orizzonte temporale congruo: l’ideale sarebbe cinque anni, ma almeno due-tre sono indispensabili». Un tempo minore «equivale al gioco d’azzardo: è una scommessa pura». Affinché il cambio di passo avvenga definitivamente servono due ordini di fattori: primo, «affidarsi a guide sicure, i consulenti, che sappiano diversificare il rischio stesso in modo professionale». E secondo, forse ancora più importante, «che gli italiani investano in modo consapevole sulla loro formazione individuale, comprendendo l’impiego effettivo che stanno facendo del proprio denaro».
A fianco alla cattiva pratica dei conti correnti, «non una forma di risparmio», evidenzia Arrighi, «ma un parcheggio temporaneo», le autorità di politica economica e gli asset manager stanno cercando di incentivare «il risparmio buono, tutte quelle attività finanziarie che fanno bene al Paese». Tenendo conto del fatto che «non si può certo investire tutto in Italia, perché altrimenti il rischio diverrebbe eccessivo, il denaro deve entrare nel circolo dell’economia reale», tramite i consumi in primis, e poi in forma di investimenti nel tessuto produttivo nazionale. Tuttavia, «solo una piccola parte degli investimenti in fondi», ha precisato durante la Giornata del Risparmio il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, «finanzia imprese residenti: le azioni e obbligazioni nazionali rappresentano il 5% del complesso delle attività delle famiglie, a fronte dal 34% in Francia e del 14% in Germania». E osservando gli investimenti diretti in azioni e partecipazioni, quelli in titoli quotati sono appena il 2,4% della ricchezza finanziaria, la metà della media dell’Eurozona. Un tessuto produttivo fatto di piccole e medie imprese a gestione familiare e non quotate limita l’offerta di strumenti liquidi e negoziabili da parte delle società, ponendo un freno all’investimento. «Per indirizzare il risparmio verso il sostegno delle aziende residenti», ha rimarcato Visco, «è necessario agire sul fronte dell’offerta degli strumenti finanziari», che amplierebbero l’attrattività di fondi dall’estero beneficiando anche «degli sviluppi attesi sul fronte creazione di un autentico mercato unico dei capitali in Ue». Senza contare il ruolo giocato dalla borsa: alzarne la capitalizzazione tramite un numero sempre maggiore di ipo può finalmente innescare quel circolo virtuoso che, accompagnato dagli incentivi fiscali per chi investe, scongeli il risparmio e lo indirizzi verso la crescita del pil. (riproduzione riservata)
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