di Francesco Bertolino
Nella transizione elettrica la filiera italiana dell’auto rischia di perdere 9,2 miliardi di euro. Secondo il Global Automotive Outlook di AlixPartners, il 50% dell’export nazionale di componenti è legato a motori termici, benzina e diesel, destinati a un lento ma inesorabile abbandono. Per volontà propria, delle autorità e del mercato le case investiranno 330 miliardi di dollari in elettrificazione nei prossimi cinque anni, il doppio di quanto stanziato dall’industria dell’auto sugli altri fronti. Le nuove richieste di Stellantis & co. porranno una sfida finanziaria non da poco ai fornitori, già alle prese con la crescente concorrenza da parte degli stessi costruttori committenti che di qui al 2025 riporteranno in casa 30 miliardi di produzioni oggi affidate all’esterno. Per la sostenibilità economica dell’indotto sarà quindi cruciale la costruzione di una gigafactory in Italia che il governo auspica possa avere come principale sponsor Stellantis, magari insieme ad altri attori industriali nazionali. Come sottolineato dal managing director e co-leader europeo del team Automotive and Industrial di AlixPartners, Dario Duse, la prossimità delle fabbriche di batterie ai luoghi di produzione sarà peraltro importante anche per i costruttori sia per motivi di costo e logistica sia per ragioni strategiche dato che il «motore elettrico» rappresenterà il 50% del valore totale dei componenti auto, ossia circa 60 miliardi. La conversione verde dell’auto richiederà comunque più tempo di quanto si potrebbe desumere dagli ambiziosi e un po’ autocelebrativi obiettivi fissati dalle case. Nel 2030, stima AlixPartners, la quota di mercato globale delle vetture elettrificate (pure o ibride alla spina) salirà al 28% dall’attuale 4%. La penetrazione sarà veloce in Europa (42% delle vendite nel 2030) e in Cina (36%), più lenta negli Stati Uniti (29%) e riguarderà anzitutto l’alta gamma. Nel segmento E delle berline premium, per esempio, l’elettrico supererà diesel e benzina per volumi produttivi già nel 2023. Non potrebbe del resto essere altrimenti dal momento che le batterie costano ancora fra gli 8.000 e gli 11.000 dollari in più rispetto ai tradizionali motori termici, divario ancora troppo ampio per un’adozione di massa delle vetture elettriche. A tal fine, peraltro, sarà necessario lo sviluppo di una rete di infrastrutture di ricarica capillare che entro il 2030 esigerà un esborso di 300 miliardi da parte di governi e costruttori. Infine, nota Paolo Pucino, director di AlixPartners e coordinatore dello studio, «serviranno notevoli investimenti e sforzi per convertire a elettrico circa il 25% delle fabbriche europee». Ciò metterà ulteriore pressione sui margini in un momento di già scarsa profittabilità per l’industria dell’auto. A maggio 2021 i costi delle materie prime hanno toccato il recordo di 3.636 dollari a veicolo (+90%) e la crescita dei volumi non riuscirà a compensare gli investimenti sostenuti dai costruttori per la trasformazione elettrica e tecnologica. «Il mercato globale sta progressivamente riprendendo e ritornerà ai volumi del 2017 nel 2025», sottolinea Duse, ma Europa e Italia impiegheranno più tempo a riprendersi dal coronavirus come dimostra il calo del 25% delle immatricolazioni nel Vecchio Continente quest’anno rispetto al 2019. Dalla crisi, però, l’industria dell’auto è uscita finanziariamente più forte. «Costruttori e fornitori, in particolare europei», conclude Duse, «sono riusciti a chiudere il 2020 contenendo i danni e anzi migliorando l’indebitamento netto che è complessivamente sceso di 14 e 6 miliardi di dollari rispettivamente, il che è di per sé un risultato». (riproduzione riservata)
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