di Daniele Bussola
Polizze vita, ove non risulti diversamente dal contratto, a ciascuno dei beneficiari spetta una quota uguale anche se la designazione è a favore degli eredi. Lo ha affermato la Corte di cassazione a Sezioni unite civili con la sentenza n. 11421 del 30/4/2021, esprimendosi in conformità a quanto sostenuto con sentenza 9388/1994. In particolare, la Corte ha stabilito che la designazione generica degli eredi come beneficiari di un contratto di assicurazione sulla vita, in difetto di una inequivoca volontà del contraente in senso diverso, non comporta la ripartizione dell’indennizzo tra gli aventi diritto secondo le proporzioni della successione ereditaria, spettando a ciascuno dei creditori, in forza della eadem causa obligandi, una quota uguale dell’indennizzo assicurativo. La decisione mette la parola «fine» alle diverse e divergenti sentenze di primo grado nonché ai successivi ricorsi. Per anni è stato pacifico, o quasi, che la suddivisione tra beneficiari della prestazione caso morte di una polizza vita dovesse avvenire in parti uguali. Sia la dottrina dominante che la Cassazione, con le argomentazioni espresse nelle sentenze 9388/1994 e 4484/1996, hanno sostenuto che la prestazione caso morte dovesse essere divisa in parti uguali anche nei casi in cui in polizza fossero stati designati quali beneficiari caso morte «gli eredi» o «gli eredi legittimi». Come stabilito dall’articolo 1920 cc, nelle polizze vita quello di designazione dei beneficiari è un atto unilaterale a favore di terzi ed è un atto tra vivi. I beneficiari non acquisiscono il diritto al pagamento dell’indennità a titolo di legato o di quota ereditaria, ma iure proprio in base alla promessa fatta dall’assicuratore di pagare, ai soggetti designati dal contraente, un capitale al momento del verificarsi dell’evento assicurato. Inoltre, le designazioni fatte a favore degli «eredi legittimi», degli «eredi testamentari» o degli «eredi legittimi o testamentari» concretano mera indicazione del criterio da utilizzare per l’individuazione dei beneficiari, ovvero rappresentano solamente il metodo con cui individuare gli aventi diritto alla prestazione. I beneficiari vengono così individuati per relationem facendo riferimento al codice civile che è una fonte esterna al contratto. Pertanto, in caso di più beneficiari, anche identificati con gli eredi legittimi o testamentari, l’indennità veniva divisa, in mancanza di una espressa volontà da parte del contraente, in parti uguali essendo il rapporto regolato da una fonte contrattuale. Nel 2015 la Cassazione (sezione terza civile) con la sentenza n. 19210/2015, ha dato una nuova interpretazione in base alla quale la suddivisione tra gli eredi dovrebbe essere fatta, se non vi sono disposizioni da parte del contraente, utilizzando le quote stabilite nella successione legittima o testamentaria. La Corte sentenziò che l’uso del termine «erede» non poteva che richiamare la figura dell’erede in quanto tale e ciò imponeva di rifarsi alle regole della successione sia per quanto riguarda il modo in cui tale qualifica si acquisisce, sia per il valore attribuibile alla quota spettante. Tale sentenza valeva tuttavia solo nei confronti di quella determinata diatriba anche se in grado di influenzare comunque le sentenze di primo e secondo grado nelle altre controversie di simile contenuto. A complicare le cose sono arrivate altre due sentenze della Cassazione, la 26606/2016 (prima sezione civile) e la 33195/2019 (terza sezione civile), con le quali la Corte è tornata a sostenere che la ripartizione deve avvenire in parti uguali. La sezione terza civile aveva anche rimesso la questione alle sezioni unite affinché venisse risolto il contrasto giurisprudenziale.
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