Entrano in vigore il 19 maggio le norme sulle azioni collettive. Mentre l’Ue riscrive tutto
di Roberto Miliacca
Mercoledì 19 maggio entra in vigore la legge n. 31 del 2019 che riforma l’istituto della class action, istituto in precedenza dal Codice del consumo (dlgs n. 206 del 2005). È stato il decreto-legge n. 149 del 2020, c.d. Ristori-bis, a posticiparne l’entrata in vigore al 19 maggio 2021, proprio per venire incontro alle necessità di approfondimento legate alle novità della materia, che ora è disciplinata dal codice di procedura civile. La riforma prevede l’estensione dell’ambito di applicazione dell’azione di classe, che sarà sempre esperibile da tutti coloro che avanzino pretese risarcitorie in relazione a lesione di «diritti individuali omogenei»; e l’ampliamento degli strumenti di tutela, con la previsione, sempre nel codice di procedura civile, accanto all’azione di classe, di un’azione inibitoria collettiva verso gli autori di condotte pregiudizievoli di una pluralità di individui. Nel frattempo anche l’Europa si è mossa per rendere omogenea, nel Vecchio continente, la normativa a tutela dei consumatori, specie per poter regolamentare le emergenze, anche sanzionatorie, che sono emerse dall’uso delle piattaforme di e-commerce. Il Parlamento Ue e il Consiglio europeo hanno adottato una serie di provvedimenti, il cosiddetto New Deal for Consumers, che modificano varie direttive esistenti per cercare di assicurare una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’Ue relative alla protezione dei consumatori. Questa settimana su Affari Legali ci siamo confrontati con alcuni degli avvocati che si occupano del settore, per capire quali rischi e quali opportunità nascano dal nuovo meccanismo di class action e quale coordinamento vada fatto con le norme Ue, che dovranno essere recepite entro il 28 novembre 2021.
Consumatori, l’Ue riscrive le norme per dare più tutele
Pagine a cura di Federico Unnia
Più tutele per il consumatore. Nel quadro del pacchetto di riforme proposte dalla Commissione europea nel 2018 in materia di tutela del consumatore (New Deal for Consumers), il Parlamento Europeo e il Consiglio hanno adottato una serie di provvedimenti che modificano varie direttive precedenti al fine di assicurare una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’Ue relative alla protezione dei consumatori. Tra cui nuove norme sulle azioni collettive. E tenendo conto dei commerci ormai digitali. Novità che creano attenzione sulle possibili conseguenze presso gli avvocati specializzati in diritto della concorrenza
«Si tratta di iniziative che bilanciano le istanze di consumer protection ed esigenze imprenditoriali. Per la Direttiva 2020/1828 in materia di azioni rappresentative, molto dipenderà da come queste previsioni verranno recepite dai legislatori nazionali. Per l’Italia occorrerà verificare come queste previsioni potranno coniugarsi con la riforma dell’azione di classe e dell’azione collettiva inibitoria (legge 31/2019) che entrerà in vigore a maggio» spiega Ugo Ruffolo, professore universitario ed avvocato (autore di Class action ed azione collettiva inibitoria, appena edito da Giuffrè Francis Lefebvre, ndr). «Sicuramente meritorio è il tentativo della recente direttiva 2019/2161 di semplificare e rendere maggiormente omogeneo il sistema sanzionatorio, che la stratificazione dei diversi provvedimenti normativi ha notevolmente complicato. Quanto alla direttiva in materia di azioni rappresentative, lascia agli Stati membri definire il riparto di competenze tra organi giurisdizionali ed amministrativi. Sarebbe stato opportuno tentare di affrontare la annosa tematica della individuazione del foro competente per azioni promosse in relazione ad illeciti di natura cross-border», chiosa.
Per Carlo Ginevra co-managing partner e Valeria Giugliano associate di Mondini Bonora Ginevra Studio Legale, «un rischio maggiore rispetto al passato si attesta sul piano economico: dal punto di vista sanzionatorio nei casi di infrazioni di dimensioni cross-border (articolo 21 del regolamento Ue 2017/2394) la direttiva fissa l’importo minimo della sanzione irrogabile da parte dell’autorità competente – affinché risulti davvero deterrente – nel 4% del fatturato annuale dell’impresa nello Stato Membro interessato. Gli Stati membri sono liberi di mantenere o di introdurre sanzioni di importo maggiore, basate sul fatturato mondiale dell’impresa; o di estendere tale misura anche ad altre infrazioni non contemplate dall’art. 21 citato. È prevista una maggiore collaborazione fra le autorità nazionali in caso di violazioni transfrontaliere. Nell’ambito del pacchetto, la Direttiva (Ue) 2020/1828 intende garantire che in tutti gli ordinamenti degli stati membri sia disponibile una procedura di «azione rappresentativa» a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, in relazione a violazioni di disposizioni di diritto dell’Unione individuate dalla Direttiva (product liability; data protection; geoblocking e le disposizioni in materia di comunicazioni elettroniche). Sarà necessario verificare come sarà operato in Italia il coordinamento tra la direttiva e la nuova normativa italiana in materia di class action e azione collettiva inibitoria, introdotta dalla l. 31/2019, che entrerà in vigore il 19 maggio 2021».
Più prudente Enrico Fabrizi, partner responsabile del dipartimento di diritto della concorrenza di Osborne Clarke, secondo il quale «è ancora presto per esprimere un giudizio in merito alla direttiva n. 2020/1828, il cui effettivo impatto dipenderà da come in concreto sarà recepita nel nostro ordinamento e da come gli strumenti da essa previsti troveranno attuazione nel giudizio civile. Sarà interessante capire che spazio potrà avere un provvedimento volto a obbligare il professionista a riparare o sostituire il prodotto non conforme al contratto; provvedimento che potrebbe anche rivelarsi molto più oneroso per il professionista del mero risarcimento monetario. Interessante sarà l’attuazione della disposizione sull’indipendenza degli enti legittimati, che potrebbe escludere la possibilità per gli stessi di farsi finanziare da fondi specializzati, realtà ben radicate in altri paesi e capaci di stimolare lo sviluppo del private enforcement. Una disciplina che favorisca le azioni risarcitorie collettive va accolta con favore anche per la sua idoneità a riequilibrare i rapporti concorrenziali tra imprese che rispettano le norme e imprese meno compliant. L’entrata in vigore della legge n. 31/2019, prima, e il recepimento della direttiva, poi, potrebbero portare all’affermarsi delle azioni di classe da parte dei consumatori. Per le imprese si concretizzerebbe il rischio, oggi remoto, di essere destinatarie di azioni potenzialmente molto onerose. Nel futuro, più enti legittimati di diversi stati membri potrebbero coordinarsi e promuovere un’azione rappresentativa in uno stato membro. Significative sono anche le disposizioni secondo cui i provvedimenti risarcitori debbano contenere una descrizione del gruppo di consumatori che ha il diritto di beneficiare di tali rimedi, senza che sia necessario intentare un’azione distinta, il cui fine ultimo è in linea con la struttura dell’azione di classe di cui alla legge n. 31/2019».
«Un giudizio indubbiamente positivo», commenta Fausto Caronna, senior attorney di Cleary Gottlieb. «La direttiva sull’inibitoria collettiva assegnerà, con ogni probabilità, un ruolo centrale alle associazioni dei consumatori. È auspicabile che questa occasione funga da stimolo per una piena maturazione del mondo associativo, chiamato a svolgere, in maniera equilibrata, un compito fondamentale nella tutela dei consumatori. Un ricorso generalizzato allo strumento delle azioni risarcitorie, con i loro relativi rimedi (riparazione, restituzione del prezzo), comporterebbe un’esplosione dei costi per le aziende; anche la sola gestione della fase pre-contenziosa drenerebbe risorse interne delle aziende e ne appesantirebbe il funzionamento. Tutto ciò avrebbe inevitabili ricadute negative sul livello dei prezzi dei beni di consumo nel medio/lungo periodo. È importante che, in sede di recepimento, il legislatore nazionale disegni un sistema equilibrato. La scelta dell’Unione europea di individuare come area prioritaria di intervento i presidi per garantire l’effettività del diritto dei consumatori va nella giusta direzione. Si tratta di una tappa intermedia, occorrerà prevedere forme di intervento diretto a livello europeo. D’altronde, lo prefigura la stessa direttiva sulle azioni rappresentative, che chiede alla Commissione di valutare l’utilità dell’istituzione di un Mediatore europeo».
E i consumatori? «L’approvazione della direttiva sulle azioni rappresentative risarcitorie e inibitorie è un importante passo in avanti. L’Ue riconosce che ogni Stato membro deve necessariamente avere un’azione risarcitoria collettiva a tutela dei consumatori», dice Paolo Fiorio, responsabile Servizio legale nazionale del Movimento Consumatori. «Penso che il tema dei rischi per le imprese sia stato strumentalizzato nel corso degli anni. L’azione di classe è un’opportunità per le imprese corrette quando consente di sanzionare i concorrenti che, proprio grazie agli illeciti di massa, ottengono vantaggi indebiti o evitano costi altrimenti necessari. È uno strumento indispensabile per assicurare una concorrenza vera e leale. L’unico rischio vero riguarda i trasgressori che saranno esposti ad un maggiore rischio di risarcire i danni provocati. Sia la legge italiana sia la direttiva hanno poi adeguati strumenti, quali il filtro di ammissibilità, per stroncare sul nascere azioni pretestuose o infondate. Crediamo che l’approvazione della direttiva, da un lato, non debba bloccare l’entrata in vigore della nuova azione di classe generalista italiana, ma nel contempo dovrebbe essere l’occasione per ripensare alcune scelte non adeguatamente meditate come la riforma dell’azione inibitoria che nei vent’anni di sua applicazione ha sempre funzionato in maniera efficiente. Oggi la direttiva ci impone di dare centralità alle organizzazioni riconosciute dei consumatori e di assicurare l’estrema rapidità dei giudizi cautelari e sommari. Per le azioni inibitorie è necessario ritornare alla sola legittimazione delle associazioni, anche non consumeriste, portatrici degli interessi collettivi e prevedere le azioni cautelari come normali strumenti per la cessazione degli illeciti. L’attuale legittimazione individuale è poco coerente con gli interessi collettivi tutelati e presenta forti rischi di azioni inadeguate».
Per Massimo Tavella, fondatore di Tavella Studio di Avvocati, «le novità introdotte pongono rimedio alle disparità di trattamento irragionevoli che ancora esistevano in relazione al rapporto di consumo sui mercati digitali, rispetto al tradizionale scambio di beni e servizi nei locali commerciali. Si pensi all’applicazione delle norme a tutela dei consumatori anche nei casi di contratti di fornitura di contenuto digitale a titolo gratuito, ma in cambio della comunicazione di dati personali, che oggi va per la maggiore. Interessante è l’introduzione di azioni rappresentative transfrontaliere a tutela degli interessi comuni di consumatori cittadini di diversi Stati membri, che sposta sempre più il baricentro del mercato dei servizi legali dal singolo stato membro all’Unione. Le imprese che gestiscono piattaforme di e-commerce o offrono contenuti o servizi digitali ai consumatori europei – anche avendo sede al di fuori dell’Ue – sono interessate dalla direttiva. Dovranno dunque necessariamente farsi trovare pronte adeguando procedure, termini e condizioni e policy commerciali. Le sanzioni saranno simili a quelle previste dal Gdpr, per un importo massimo almeno pari al 4% del fatturato annuo del professionista nello stato o negli stati Ue interessati, nell’esercizio finanziario o sino a 2 milioni di euro in mancanza di informazioni sul fatturato, fatta salva la possibilità per ciascun stato membro di introdurre sanzioni più elevate. L’intervento riformatorio è sicuramente positivo ma era anche in parte doveroso considerato che per il mercato italiano molte delle misure introdotte costituiscono una prassi già adoperata dall’Agcm, che da qualche anno ha intrapreso un’opera di riavvicinamento tra la regolamentazione dei beni tradizionali e quella dei servizi o contenuti digitali. Non dimentichiamo poi che, indirettamente, la tutela dei consumatori ha anche importanti ricadute a livello concorrenziale, potendo premiare le aziende più virtuose».
«Un aspetto centrale è la dimensione potenzialmente europea delle azioni rappresentative. Oggi le azioni collettive sono disciplinate a livello nazionale in modo non organico e possono essere promosse dai consumatori del singolo Stato membro. In futuro, queste azioni potranno avere una dimensione europea con importanti conseguenze per le imprese, poiché si assume che il loro numero crescerà», spiega Francesca Sutti, partner di WLex Studio Legale. «Un altro aspetto problematico è il finanziamenti delle azioni da parte di soggetti terzi, di cui dovrà essere garantita nei fatti la trasparenza. Ma la Direttiva non è solo fonte di rischi, uno degli obiettivi, infatti, è quello di evitare l’abuso del contenzioso e per perseguirlo è stato introdotto il principio «chi perde paga». La parte sconfitta dovrà pagare le spese del procedimento. La nuova direttiva non esclude la possibilità di un conflitto tra giurisdizioni in quanto enti legittimati di diverse nazionalità possono incardinare procedimenti dinanzi alle singole autorità nazionali. Non sono evitate sovrapposizioni con il rischio quindi, di decisioni non uniformi. La direttiva lascia agli stati membri un ampio margine di manovra nel suo recepimento a livello nazionale, con il rischio che quegli stati che adotteranno una normativa più favorevole al consumatore, attrarranno un maggior numero di procedimenti (c.d. forum shopping) ciò in quanto gli enti legittimati non sono vincolati a rivolgersi allo stato che gli ha autorizzati».
Per Alessandro Boso Caretta, partner del dipartimento litigation & regulatory di Dla Piper, «uno dei punti più critici è l’ampio margine di discrezionalità lasciato agli stati membri dalla direttiva Ue 2020/1828 che consente di mantenere differenze molto significative nelle discipline nazionali, tanto a livello di norme sostanziali, quanto a livello di norme procedurali e processuali. Il ridotto livello di armonizzazione riguarda anche punti chiave, come la scelta tra meccanismi di opt-in o di opt-out per l’adesione all’azione rappresentativa degli interessi collettivi, o l’esibizione e la valutazione delle prove. Permane il rischio di forti asimmetrie tra le discipline nazionali, con ripercussioni negative per il mercato unico. In Dla Piper abbiamo costituito un gruppo di lavoro multidisciplinare e cross-border composto da decine di professionisti con l’obiettivo di mettere a fattore comune le esperienze maturate e gli sviluppi previsti, in modo da aiutare le imprese a comprendere l’impatto delle nuove normative e guidarle nelle azioni necessarie per la valutazione dei rischi, la compliance, e la difesa in giudizio. Il gruppo di professionisti comprende anche esperti di giurisdizioni extra-Ue (come Usa, Canada, Australia) che, sia pur sulla base di sistemi giuridici profondamente diversi, hanno una più lunga tradizione in materia di azioni collettive, la cui esperienza è estremamente utile per anticipare e dare risposte a problemi che, verosimilmente, si presenteranno anche in Europa».
«I rischi maggiori per le imprese saranno collegati alle azioni risarcitorie collettive, che l’Ue promuove come principale strumento di tutela dei consumatori danneggiati», dice Daniele Geronzi, partner di Legance Avvocati Associati. «La nuova disciplina italiana – messa a punto peraltro prima dell’approvazione della direttiva sui ricorsi collettivi n. 9223/20/Ue – prevede un’importante estensione della portata dello strumento, sia da un punto di vista oggettivo (viene estesa la categoria dei diritti tutelabili), che soggettivo (lo strumento sarà a beneficio di qualsivoglia operatore, non solo dei consumatori/utenti finali). Ciò dovrebbe favorirne l’impiego, con la conseguenza che le imprese dovranno, da una parte, adeguarsi a strategie di marketing, vendita e produzione che rispettino la nuova normativa Ue. Dall’altra, dovranno tutelarsi da un punto di vista contabile, in ragione della costante esposizione ad azioni risarcitorie milionarie che caratterizzerà il futuro prossimo. Assisteremo, probabilmente, alla diffusione di accantonamenti a bilancio per i rischi correlati alle azioni risarcitorie collettive».
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