di Luca Gualtieri
Sì ad aggregazioni mirate con piccoli target, ma no a grandi fusioni. Soprattutto no a un’integrazione con Unicredit. Questo è il messaggio lanciato ieri dall’amministratore delegato Alberto Nagel nel corso della presentazione dei risultati dei nove mesi di Mediobanca. In un periodo molto caldo per Piazzetta Cuccia e per la sua partecipata Generali il banchiere è stato incalzato sulle tematiche di attualità e sulle suggestioni che da qualche mese si rincorrono nella city milanese. A tenere banco sono state soprattutto le traiettorie di quel consolidamento nel settore del credito che si ritiene possa coinvolgere anche la merchant bank. Particolarmente calda è l’ipotesi di un’integrazione tra Mediobanca e Unicredit evocata dalla presenza di Leonardo Del Vecchio nel capitale di entrambi gli istituti e dalla, presunta, volontà del nuovo ceo di Unicredit Andrea Orcel di scombinare la geografia della finanza italiana: sebbene «tutte le fantasie siano lecite dal punto di vista industriale, credo sia una combinazione che serva poco a entrambi», ha tagliato corto Nagel. «Penso che una combinazione tra una banca d’affari specializzata come siamo noi e una banca universale come Unicredit sia poco sensata e dia poco sia all’uno che all’altro», ha spiegato Nagel, che si è comunque speso positivamente per il nuovo ceo di piazza Gae Aulenti: «Sono contento che una persona col suo background possa lavorare per una banca italiana. Bisogna lasciare tempo ad Andrea per entrare nel ruolo di una banca complessa come Unicredit». Pur avendo escluso grandi operazioni di m&a, Nagel ha però aperto a deal mirati soprattutto nel settore del wealth management, oggi sempre più importante per Mediobanca. «Crediamo che nel wealth management ci siano opportunità di crescita organica e per linee esterne sia in Italia che all’estero», ha spiegato sottolineando poi che sul mercato ci sono «valori molto alti per i grandi deal e questo può rappresentare un ostacolo, ma per quelli più piccoli e più opportunistici i valori sono più convenienti».
Quanto all’evoluzione della governance di Mediobanca, il ceo si è soffermato sul recente ingresso nel capitale di Francesco Gaetano Caltagirone, che è anche secondo socio di Generali al 5,63%. «Sull’azionariato noi abbiamo contatti con tutti gli azionisti che entrano nel nostro capitale», ha tagliato corto Nagel.
Venendo ai risultati, i ricavi nei nove mesi sono saliti a 1,96 miliardi (+3% sullo stesso periodo del passato esercizio) e l’utile netto è balzato a 604 milioni (+9%), di cui 193 milioni nel terzo trimestre (dagli 85 milioni dei tre mesi gennaio-marzo 2020), quando i ricavi sono aumentati a 663 milioni (+14%). A fare da traino sono state le commissioni, balzate nei nove mesi al livello record di 571 milioni (+17%), sulla spinta di corporate & investment banking e wealth management. A livello patrimoniale il Cet1 è migliorato ancora al 16,3% dal 16,2% di dicembre e Mediobanca può confermare un payout pari al 70% dell’utile, sempre che la Bce non estenda oltre la scadenza del 30 settembre il divieto alle banche di distribuire dividendi. (riproduzione riservata)
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