di Ugo Brizzo
Non si ferma il trend del risparmio gestito, con un mese di marzo ancora una volta positivo sul versante della raccolta, in un contesto in cui la gran mole di liquidità a disposizione dei risparmiatori e l’andamento robusto dei mercati stanno facendo crescere l’appeal delle soluzioni d’investimento.
Nel complesso l’industria, secondo i consueti dati trasmessi da Assogestioni, ha messo a segno nel terzo mese afflussi per 8,95 miliardi di euro, in crescita marcata rispetto ai 2,1 miliardi registrati in febbraio. Va precisato, d’altro canto, che la grande differenza tra i due mesi è legata al fatto che in febbraio aveva pesato particolarmente il risultato negativo delle gestioni istituzionali (-572 milioni), non dovuto però a disinvestimenti. Nel complesso, nel primo trimestre la raccolta è stata positiva per 23,5 miliardi. Gran parte di questi flussi è arrivata dalle gestioni collettive, con 15,1 miliardi nel periodo e 7,8 soltanto in marzo. Scendendo più nel dettaglio, i fondi aperti hanno rappresentato nel terzo mese afflussi per 7,5 miliardi (14,1 da gennaio). Importante anche l’apporto delle gestioni di portafoglio: la raccolta di marzo è stata infatti positiva per 1,2 miliardi, portando il totale dell’anno a 8,5. Una parte consistente di questo valore, 6,5 miliardi, arriva dalle gestioni istituzionali. Nel complesso, crescono le masse in gestione dell’industria, passate dai 2.416 miliardi in febbraio ai 2.446 miliardi di marzo.
Aumenta in termini relativi, seppur di poco (dal 50,1 al 50,3%) l’apporto fornito al totale dalle gestioni collettive, mentre diminuisce (dal 49,9 al 49,7%) il peso delle gestioni di portafoglio. Nel complesso, queste ultime rappresentano un patrimonio complessivo di 1.215 miliardi, leggermente meno (1.230) delle gestioni collettive. Guardando poi ai fondi aperti, prima voce di raccolta tra tutte le tipologie di prodotti gestiti, emerge chiaramente rispetto a febbraio una diminuzione della raccolta in prodotti azionari, passata da 3,7 a 3 miliardi, cui fa da contraltare una robusta crescita registrata dai comparti obbligazionari, passata da 237 milioni di euro di deflussi a una raccolta positiva per 1,3 miliardi. Aumento sostanziale anche per i fondi di diritto estero, passati da 2,3 a 6,8 miliardi, per un controvalore complessivo da inizio anno di 14,6 miliardi. Stabile infine il peso relativo di tutte le sottocategorie di fondi aperti sul totale, con l’unica variazione parzialmente significativa che riguarda i prodotti azionari, passati dal 26,2 al 26,7%. Quanto alle singole realtà, Intesa Sanpaolo aggancia in vetta le Generali per patrimonio gestito. L’assicuratore triestino gestisce masse per 520,7 miliardi, ancora sopra Ca’ De Sass (520,5), ma il peso relativo delle due società sul totale dell’industria è identico, al 21,9%. (riproduzione riservata)
Private equity, trimestre record con 66 operazioni
di Marco Capponi
Il private equity italiano si configura ancora una volta come un settore quasi impermeabile alla crisi pandemica, e riesce a chiudere il primo trimestre con 66 nuovi investimenti. Solo a marzo i deal sono stati 26, il doppio rispetto a quelli registrati nel 2020, anche se il paragone non è ovviamente significativo per via dello scoppio, un anno fa, della fase più dura di emergenza epidemiologica. I dati emergono dalla mappa dell’Osservatorio Pem di Liuc-Università Cattaneo, che nei primi tre mesi dello scorso hanno aveva censito, di contro, 52 investimenti. «Malgrado la crisi», ha commentato Elio Milantoni, partner di Deloitte financial advisory services e m&a leader, «gli operatori del private equity hanno confermato il proprio supporto alle imprese del Paese, intensificando l’attività di ricerca e selezione delle pmi in cui investire». Sulla base dei deal realizzati l’osservatorio ha quantificato l’attività trimestrale nel suo indice, con un valore pari a 550, dato record per quanto riguarda la prima parte dell’anno solare (433 nel primo trimestre 2020, 300 nel 2019).
Restano dominanti le operazioni di buy-out, che si attestano al 62%, diminuendo però il loro peso relativo sul totale, mentre aumentano i deal in capitale per lo sviluppo (15%). Interessante poi notare la presenza di nove operazioni (14%) relative al comparto infrastrutturale, mappato da quest’anno come una categoria distinta, cruciale nei progetti di politica economica legati al Recovery Plan. Per quanto riguarda i settori, sono i prodotti per l’industria a farla da padrona: il 18% delle operazioni rientra in questo campo. La loro incidenza relativa è però in diminuzione: seguono appaiati al 14% terziario, Ict, cleantech e beni di consumo. Proprio in tale ambito rientra anche una delle più rilevanti operazioni di marzo, il turnaround da 50 milioni di Clessidra Sgr e Magnetar Capital per oltre il 50% di Acque Minerali d’Italia. A livello di target, infine, gli operatori del private equity continuano a guardare principalmente a piccole e medie imprese, anche se non mancano deal con enterprise value di rilievo, a conferma di un’attenzione notevole dedicata alle realtà italiane da parte dei grandi player internazionali. Oltre il 55% dei deal, infatti, è ascrivibili a loro. (riproduzione riservata)
Fonte: