di Nicola Berti
Pier Carlo Padoan e Andrea Orcel salgono in plancia di comando a UniCredit; Cariparma Crédit Agricole accelera al rilancio l’Opa sul Credito Valtellinese. Il lockdown invernale del riassetto bancario italiano sembra finito. Fermo restando che neppure lo scoppio della pandemia era riuscito a fermare le grandi manovre in corso.
L’Opa di Intesa Sanpaolo su Ubi fu lanciata pochi giorni prima dell’arrivo ufficiale del Covid in Italia e, per alcuni versi, è stata agevolata dalla brusca frenata dell’economia. La resistenza del gruppo bergamasco-bresciano, sarebbe stata forse più dura da vincere se l’improvviso buio recessivo non avesse avvolto anche il sistema bancario: rendendo più logica ogni iniziativa di consolidamento in un settore già acciaccato.
Dodici mesi dopo, all’uscita da due nuovi lockdown, il sistema nazionale dei grandi intermediari (banche e assicurazioni) sembra voler riaprire a non meno di centinaia di migliaia di piccoli imprenditori. E l’ansia impaziente dei secondi preme direttamente sul sistema finanziario: per il quale la grave crisi dell’economia sta già pesando sui bilanci con meno ricavi e più costi (soprattutto in termini di crediti insoluti). E pesano di più (all’occhio di governo, Bce, Bankitalia e Ivass) le instabilità di gruppi già oggetto di salvataggi pubblici (Mps e Popolare di Bari) o semipubblici come Carige: che sembra tornare in «zona rossa» dopo il tendenziale disimpegno del polo ex cooperativo trentino Cassa Centrale Banca.
Su uno scacchiere essenzialmente nazionale (il Governo Draghi ha già mostrato di non avere esitazioni a usare i golden power su aziende-Paese) i cantieri aperti restano in ogni caso molti. Cariparma-Creval è certamente al momento il più significativo, ma anche, apparentemente, il più vicino alla conclusione: anche se il rilancio del prezzo d’offerta da parte di Crédit Agricole (seguito al malumore di una fetta non trascurabile dei fondo azionisti) segnala una situazione che non sembra circoscritta.
La voce dei grandi investitori istituzionali si è fatta sentire anche all’assemblea UniCredit: dove l’affluenza è stata alta (60% del capitale, ormai quasi tutto distribuito fra grandi fondi), non c’è stata unanimità (ma il 75%) sulla lista che ha installato l’ex ministro Padoan alla presidenza e Andrea Orcel come nuovo amministratore delegato; e – soprattutto – quasi metà dei presenti ha disapprovato il compenso riconosciuto al nuovo Ceo.
Il quale, tuttavia, da oggi ha la possibilità di dimostrare il suo valore, facendo prevedibilmente entrare UniCredit – («campione italiano» assieme a Intesa Sanpaolo) in una partita da cui finora l’ex Ceo francese Jean Pierre Mustier l’aveva tenuta fuori.
Il warning lanciato dal parterre assembleare è sembrato comunque indirizzato più a Padoan che a Orcel: ancora troppo sospettato, l’ex titolare del Mef nei governi Renzi e Gentiloni, di essere stato inviato dalla politica per salvare Mps spese di UniCredit e dei suoi soci. Quel Monte che lo stesso Padoan, cinque anni fa, ha salvato con 5 miliardi pubblici.
L’arrivo di Orcel sembra avere però in parte rinfrancato gli investitori: investment banker di mercato, l’ex top manager di Ubs difficilmente sembra poter accettare un salvataggio «para-pubblico» imposto dalle autorità. Più facile immaginare che (da banchiere d’affari molto collaudato proprio nel M&A di banche e assicurazioni) possa mettersi alla prova su operazioni che proiettino UniCredit su più terreni.
Un’operazione a tre fra UniCredit, Mps e BancoBpm è molto gettonata nel gossip di Piazza Affari: che ancora non ha chiaro se Bper (cresciuta con sportelli Ubi e Intesa e oggi saldamente controllata da Unipol) possa essere o no interessata a un’aggregazione «alla pari» con il gruppo milanese guidato dal Ceo Giuseppe Castagna.
Nell’effervescenza di una probabile vigilia non si attenuano tuttavia le voci di un big deal, che vede la «nuova UniCredit» affiancare il suo socio storico Leonardo Del Vecchio in un’offensiva finale su Mediobanca e quindi su Generali. Se il patron di Luxottica è già il primo azionista di Mediobanca, sulle Generali è sempre più forte la presa dello stesso Del Vecchio e di Francesco Gaetano Caltagirone, a fianco di Mediobanca. Il Leone di Trieste (sotto la guida del Ceo francese Philppe Donnet) è da anni immobile sullo scacchiere competitivo: ed è questo che attira l’attenzione di Del Vecchio e Caltagirone.
Mentre lo stesso disinteresse mostrato l’anno scorso dal Governo Conte-2 sull’Opa Intesa-Ubi potrebbe essere replicato dall’esecutivo Draghi, ma con ben altra postura: quella di un tacito assenso a un riassetto che consolidi grandi istituzioni finanziarie italiane sotto il controllo di investitori italiani.
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