Pagina a cura di Antonio Longo

L’84% delle imprese italiane si ritiene «molto» o «abbastanza» sostenibile, ma nel 93% dei casi si tratta di grandi aziende sopra i 250 dipendenti. Più di 9 imprese su 10 differenziano i rifiuti, 6 su 10 si impegnano nel risparmio energetico, quasi la metà in quello dell’acqua. La riciclabilità dei materiali e il risparmio di materie prime non rinnovabili sono i fattori predominanti in fase di sviluppo di un nuovo progetto o prodotto. A rilevarlo è la quarta edizione dell’osservatorio «Sostenibilità & Comunicazione», promosso da Mediatyche e Homina e curato da Format Research, secondo cui la rivoluzione della sostenibilità è, però, in gran parte rimandata a causa della pandemia. Secondo gli analisti, nonostante la consapevolezza della necessità di un salto di qualità ambientale, sociale ed economico sia sempre più diffusa tra gli imprenditori, i gap strutturali del sistema Italia continuano a persistere.
La crisi spinge le imprese verso le buone pratiche. L’emergenza sanitaria gioca, comunque, un ruolo centrale nei propositi di impegnarsi nella sostenibilità ambientale per quasi un’impresa su quattro. Il 31% delle imprese pensa che la crisi sanitaria abbia avuto un’influenza determinante nel proposito di impegnarsi di più nella sostenibilità sociale e anche per la sostenibilità economica la crisi sanitaria è stata determinante per il 30% delle imprese intervistate. L’85% delle imprese è molto o abbastanza d’accordo con l’idea che essere sostenibili è un fattore essenziale per la competitività. Due terzi delle imprese sono d’accordo con l’idea che essere sostenibili significa far parte di un processo in continua evoluzione. Infine, il 46% delle imprese è molto o abbastanza d’accordo con l’idea che ci sarà sempre meno spazio nel mercato per le imprese che non perseguono politiche di sostenibilità. I comparti in cui le aziende stanno investendo di più in sostenibilità sono la produzione (42%), l’amministrazione (31%) e le Hr (27%). Più della metà delle imprese che si definiscono «poco» o «per nulla sostenibili» stanno lavorando per raggiungere, in futuro, l’obiettivo della sostenibilità. In generale, quasi un’impresa su due incontra delle difficoltà nel proprio percorso verso la sostenibilità, le criticità principali riguardano la mancanza di budget (45,7%) e di competenze (37,3%).

Ma la crisi taglia il welfare aziendale. Benefit aggiuntivi per i dipendenti sono previsti da più della metà delle imprese del campione, con significative differenze tra settori e classi dimensionali. I premi di produzione sono il benefit più frequente (39%), seguono le assicurazioni mediche offerte dal 30% e l’adesione a piattaforme di welfare. Quattro imprese su 10 prevedono, inoltre, per i propri dipendenti programmi specifici di welfare. I programmi di welfare più diffusi sono quelli di inclusione per migliorare il clima aziendale (41%) e la mensa aziendale (20%). Ma l’attuale emergenza sanitaria ha determinato la sospensione del 12% degli asili aziendali e di quasi il 40% delle mense aziendali.

Crescono le imprese che redigono il bilancio ambientale o di sostenibilità. Il 16,3% del campione coinvolto nell’indagine (era il 10,2% nel 2019) redige il bilancio ambientale o di sostenibilità. Si tratta, in prevalenza, di imprese grandi, molte delle quali obbligate per legge, e quelle del settore finance. Quasi due imprese su tre riconoscono al bilancio di sostenibilità un importante ruolo nella costruzione della reputazione aziendale e quasi tre imprese su quattro giudicano l’adozione di politiche per la sostenibilità impattanti in termini di reputazione aziendale. Ma meno di un’azienda su 5 ha al suo interno un responsabile della sostenibilità (il dato arriva al 75% nelle imprese con oltre 250 addetti) mentre poco più di un’impresa su 10 trasforma in statistiche rendicontabili ciò che svolge per la sostenibilità: il 34% tra le imprese con più di 250 addetti e il 30% del settore finance. E ancora, numeri del report alla mano, l’impegno che le imprese si riconoscono circa la trasparenza dei risultati aziendali nei confronti del personale è scarso per il 65,9%, medio per il 18,9%, alto per il 15,3%. Negli ultimi due anni, in media, le imprese hanno destinato il 10% del budget di comunicazione per comunicare la sostenibilità, in lieve aumento la previsione per il prossimo biennio (quasi il 13%).

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Cambia anche la busta paga del manager

I consigli di amministrazione delle imprese pongono sempre maggiore attenzione nei confronti degli interventi in materia di ambiente, inclusione e diversità.
Eventi come la pandemia, l’incertezza economica e le disparità sociali stanno spingendo le aziende di tutto il mondo a rafforzare, o rivedere, le loro politiche ambientali, sociali e di governance.

È quanto emerge dalla ESG Board Survey condotta da Willis Towers Watson secondo cui quattro intervistati su cinque (78%) si stanno preparando a rivedere la modalità attraverso cui le politiche in materia e gli obiettivi a esse sottese saranno collegate ai piani di remunerazione dei propri manager.

Più di quattro su dieci (41%) prevedono di introdurre misure nei loro piani di incentivazione di lungo termine nei prossimi tre anni, mentre il 37% prevede di introdurre misure nei loro schemi di incentivazione annuale. Circa un terzo, inoltre, dichiara che aumenterà la rilevanza di tali misure nei sistemi di remunerazione di tutti i dipendenti.

«Alla luce dell’accresciuto interesse degli investitori istituzionali sul tema della sostenibilità, le aziende stanno rafforzando o rivedendo le proprie politiche e i programmi di medio e lungo termine», spiega Matteo Fiocchi, senior director di Willis Towers Watson, «dalla nostra ricerca e dalle nostre recenti esperienze emerge chiaramente che le aziende stanno lavorando per garantire un sempre maggiore allineamento tra i piani di remunerazione dei manager e gli obiettivi di sostenibilità di medio/lungo termine, in particolare per quanto riguarda il cambiamento climatico, le politiche di inclusione e diversità, e più in generale con riferimento alla più efficace governance del capitale umano». L’indagine ha anche identificato le sfide e le complessità che le aziende si trovano ad affrontare nell’introduzione di metriche nei piani di remunerazione.

Tra le maggiori difficoltà citate dagli intervistati vi sono la definizione di appropriati livelli di performance attesa (52%), l’identificazione degli indicatori di dettaglio (48%) e la loro definizione (47%).

Le aziende stanno, inoltre, adottando varie misure per rendere i propri programmi Hr più efficaci e integrati alle politiche in materia di sostenibilità. Quasi la metà (46%) dichiara di avere implementato strategie di ascolto per coinvolgere i propri dipendenti su tali tematiche, mentre tre aziende su dieci hanno creato un nuovo ruolo direttivo per sviluppare e gestire la strategia e hanno identificato nuove posizioni organizzative per supportare attivamente l’implementazione dei programmi e delle politiche.

Circa la metà degli intervistati sta pianificando di effettuare interventi di ampio respiro per garantire che le tematiche siano integrate nella cultura aziendale a tutti i livelli organizzativi. Un intervistato su cinque si aspetta che nei prossimi tre anni i consigli di amministrazione e i comitati remunerazione avranno un ruolo chiave nel supervisionare le politiche finalizzate a garantire il benessere di tutti i dipendenti e a preservare una generale equità retributiva in azienda. Nel complesso, mentre la maggior parte delle aziende sta lavorando nell’implementazione dei propri piani e programmi (84%) o ha identificato le proprie priorità (81%), meno della metà (48%) ha integrato i piani e gli obiettivi in tutti gli aspetti del proprio business-strategia, operations, prodotti e servizi offerti. Oltre la metà del campione (53%) sta rivedendo le proprie priorità e accelerando le tempistiche di realizzazione dei propri piani. Più di tre intervistati su quattro (78%) ritengono che le tematiche relative alla sostenibilità siano un fattore chiave per rafforzare i risultati finanziari del proprio business nel medio termine.

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