di Luigi Chiarello
Sette mesi dopo la sua definizione entra finalmente in funzione il Fondo Rilancio startup: uno strumento di venture capital gestito da Cassa depositi e prestiti (che fa capo al ministero dell’economia per l’83% circa e a diverse fondazioni bancarie per il 16%), messo in campo dal governo per rafforzare, con iniezioni di capitale, le imprese innovative. E sostenere i loro progetti di rilancio, attraverso co-investimenti messi in campo anche da investitori qualificati e regolamentati.
A supporto di tutto questo, una dote di risorse pubbliche, pari a 200 milioni di euro, appositamente stanziata dallo stato: prima attraverso l’articolo 38, comma 3, del decreto legge «Rilancio» (n. 34/2020 convertito con modificazioni dalla legge n. 77/2020), poi, attraverso la sua messa a terra, definita mediante un decreto del ministero dello sviluppo economico del primo ottobre 2020. Andiamo con ordine.
A gestire il Fondo rilancio startup sarà il Fondo Nazionale Innovazione, sgr dedita al venture capital di Cdp. Ma quali sono i criteri che il Fondo Rilancio utilizzerà per muovere i suoi investimenti?
Sono quattro e vengono elencati dalla stessa Cassa deposti e prestiti sul proprio sito dedicato:
1) il fondo investirà solo in startup e pmi innovative che hanno recentemente concluso, o che siano prossime alla conclusione, di un round d’investimento con investitori regolamentati e/o qualificati e che siano state segnalate dagli stessi investitori, tramite piattaforma ad hoc;
2) in ciascuna operazione, il fondo Rilancio investirà assieme ai proponenti l’operazione, in base a un rapporto di investimento pari al massimo a quattro volte l’ammontare investito dagli altri player qualificati e/o regolamentati;
Di più: in qualunque caso, il limite massimo d’investimento è fissato in un milione di euro per ciascuna operazione;
3) il fondo investirà, in via tendenziale, il 70% della sua dotazione patrimoniale in deal (accordi) in cui abbiano co-investito anche investitori qualificati. Cioè, banche, Sgr, Sicav, fondi pensione, , imprese di assicurazioni, società finanziarie, agenti di cambio e imprese di investimento.
Il restante 30% del suo budget sarà investito in accordi in cui abbiano co-investito investitori regolamentati;
4) Da ultimo, le società oggetto dell’investimento di Cdp devono essere startup o pmi innovative con sede legale in Italia e devono svolgere effettivamente la loro attività o sviluppare i loro programmi di sviluppo nel Belpaese.
Non basta. Tutte queste pmi devono superare la valutazione perchè hanno «concrete potenzialità di sviluppo».
Lo strumento. Cdp spiega chiaramente che il fondo Rilancio investirà solo in co-investimento con soggetti proponenti. Inoltre, precisa che le operazioni saranno effettuate solamente attraverso lo strumento finanziario denominato «convertendo»; si tratta di bond dalle caratteristiche comuni, ma con una particolarità: il prestito obbligazionario è a conversione obbligatoria, cioè dev’essere obbligatoriamente convertito dal compratore. E questo è noto fin dal momento della sua emissione. In pratica il bond, da capitale di debito si trasformerà in capitale di rischio, perché sarà trasformato in azioni.
Gli step successivi. Una volta effettuato l’investimento Cdp ha chiarito che «eventuali follow on», cioè possibili investimenti successivi nel capitale di rischio dell’impresa, potranno essere effettuati anche ricorrendo all’equity. In sostanza, facendo ricorso ad aumenti di capitale, mediante operazioni straordinarie effettuate tramite l’emissione di nuove azioni sul mercato. Oppure attraverso l’aumento del valore nominale dei titoli in circolazione.
Su tutto questo la mission dichiarata dal nuovo strumento. Che, testualmente, è: «Sostenere lo sviluppo e supportare progetti di rilancio di attività di startup e pmi innovative, con l’obiettivo di dare un forte impulso all’ecosistema imprenditoriale».
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