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i Fabrizio Vedana
L’acquisto e la vendita di cripto-asset viene considerato semplice, un po’ come fare il trading on line ma per la maggioranza degli italiani i bitcoin restano soprattutto un mezzo di pagamento. Sono questi i risultati emersi dai sondaggi fatti in occasione del webinar «Criptovalute: inquadramento giuridico e fiscale. Dove depositarle e possibile ruolo della fiduciaria» svoltosi il 15 dicembre scorso e che ha visto la partecipazione in qualità di relatori, tra gli altri, di Ferdinando Maria Ametrano, co-founder e ceo di CheckSig, di Massimo Giuliano, membro del gruppo di esperti blockchain e distributed ledger technology del Mise e di Salvatore Tramontano, esperto di fiscalità e criptovalute.
I dati raccolti restituiscono una fotografia piuttosto inaspettata su come vengono percepite le criptovalute, ovvero più come mezzi di pagamento (così ha risposto il 53% degli intervistati) che come prodotto finanziario (secondo il 47% del campione). Può forse aver influito sul processo decisionale il fatto che sia la stessa Agenzia delle entrate italiana ad aver qualificato le cripto-asset come valute estere ai fini della loro indicazione nel quadro RW della dichiarazione dei redditi.
Il 24% degli intervistati ha dichiarato che non investirebbe neppure un euro in criptovalute mentre il 76% lo farebbe ma comunque in misura ridotta: il 28% non oltre il 2% del patrimonio, il 20% non oltre il 5% del patrimonio e il 28% non più del 10% del patrimonio. Indice, evidentemente, di un interesse in forte crescita verso questa nuova asset class da molti però ancora percepita come un «semplice» mezzo di pagamento.
Il webinar è stata anche un’importante occasione per ricordare che il Tar del Lazio, con la recente sentenza 1077/2020, ha confermato l’orientamento fatto proprio dall’Agenzia delle entrate relativamente all’obbligo di indicare la detenzione delle criptovalute nel quadro RW della dichiarazione dei redditi.
Restano, invece, ancora molti dubbi sulla tassazione dei redditi derivanti dalla cessione a pronti di criptovalute e, in particolare, sulla nozione di prelievo delle valute e sulle operazioni di switch da una criptovaluta a un’altra (per esempio da Bitcoin ad Ethereum).
Un focus è poi stato fatto sugli aspetti antiriciclaggio e, in particolare, sul possibile rischio di utilizzo delle valute virtuali come strumenti di riciclaggio di denaro di provenienza illecita.
Sul punto è stato ricordato che l’articolo 1, comma 2, lett. qq) del dlgs 231/07 (legge antiriciclaggio), come da ultimo modificato dal dlgs 125/2019, definisce valuta virtuale la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente.
Obiettivo della citata normativa è quello di contrastare condotte che possano essere funzionali al riciclaggio e/o al finanziamento del terrorismo.
Nell’alveo definitorio delle «valute virtuali» convivono numerose ed eterogenee fattispecie, molto raramente riconducibili alla funzionalità tipica di una valuta avente corso legale (cosiddetta «fiat»); mentre più spesso sono espressione o comunque sono utilizzate alla stregua di strumenti/servizi di pagamento, strumenti e/o prodotti finanziari, combinazioni ibride, anche capaci di sfuggire alla definizione tipica degli istituti riconosciuti dal nostro ordinamento, non solo in materia finanziaria.
In attesa di vedere emanata, nell’ambito del programma, denominato Digital Finance Package, una comune normativa comunitaria sulle criptovalute, nel corso del webinar è stata evidenziata l’urgenza di vedere adottati i regolamenti con i quali il Mef dovrà, in attuazione del citato dlgs 231/07, definire i requisiti e le modalità di iscrizione in appositi albi dei soggetti che svolgono servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale (cosiddetti exchanger) ovvero servizi di portafoglio digitale (cosiddetti e-portfolio manager).
Durante l’incontro è poi stata evidenziata la sempre maggiore attenzione che gli operatori bancari e finanziari (in primis le società fiduciarie) stanno riservando al mondo delle criptovalute; la loro diffusione sulla clientela privata richiede, infatti, la creazione di dipartimenti e di servizi dedicati per la gestione di complessi adempimenti fiscali e amministrativi e lo svolgimento del servizio di custodia anche e soprattutto in ottica ereditaria.
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