di Marcello Bussi
Sarà un caso, ma ieri il bitcoin ha superato per la prima volta nei suoi 12 anni di vita quota 20 mila dollari proprio il giorno dopo l’annuncio dell’ingresso di Banca Generali nel capitale di Conio, società di San Francisco fondata dagli italianissimi Christian Miccoli (ex numero uno di Ing Italia e di CheBanca!) e Vincenzo Di Nicola, che offre servizi per l’acquisto e la custodia di bitcoin. Che il Leone di Trieste, simbolo della sicurezza del risparmiatore, sia entrato, seppure con una piccola somma (inferiore ai 14 milioni di dollari) significa che perfino la finanza tradizionale non considera più la capostipite delle criptovalute come un asset inaffidabile. Ed è proprio questo che può fare la differenza con il 2017: quello fu l’anno in cui il bitcoin esplose, passando dai 999 dollari del 1 gennaio ai quasi 20 mila del 17 dicembre. Una cavalcata folle che aveva attirato l’attenzione di media e autorità.
Tre anni fa la bolla era scoppiata con un grande boato. Un mese dopo il record a metà gennaio 2018, il bitcoin era già sceso del 50%. Per precipitare fino a 3.200 dollari nel dicembre dello stesso anno. A quell’epoca erano in molti a darlo per spacciato. E invece, nel silenzio generale, il bitcoin ha ricominciato a salire fino al nuovo record di 20.878 dollari. Ma è possibile che si ripeta il crollo del 2018? Molti lo sperano. La differenza sta, appunto, nelle Generali, qui usate simbolicamente per rappresentare gli investitori istituzionali e la finanza tradizionale. Il boom del 2017 venne trainato da nerd che sapevano molto di informatica e zero di finanza, da giovani attirati dalle novità e dalla voglia di fare soldi in fretta, gente con pochi dollari, pesci piccoli insomma, a parte i primi possessori di bitcoin, la squadra di coloro che lo hanno inventato. Gli investitori istituzionali non c’erano. O meglio, a un certo punto entrarono in gioco con il lancio del future sul bitcoin sul Cme, il mercato di riferimento di Chicago. Fatto passare per un riconoscimento formale del bitcoin in realtà si rivelò un trucchetto per cercare di distruggerlo. E ci mancò poco che l’obiettivo venisse raggiunto. Se il bitcoin non è sceso a zero è merito degli hodlers (i bitcoiner dicono così, non è un refuso), ovvero chi ha acquistato bitcoin non per fare speculazione nel breve periodo ma per investire nel lungo. Saranno pazzi, ma costoro credono davvero che il bitcoin sia l’alternativa decentralizzata alle banche centrali, che possa esistere e prosperare una valuta priva di un governo alle spalle, in grado di diventare addirittura una riserva di valore, l’oro digitale. Di fatto gli istituzionali sono entrati nel mondo del bitcoin. L’esempio più eclatante è quello della società Microstrategy, che all’inizio dell’anno ha comprato bitcoin per 450 milioni di dollari. E poi c’è PayPal, che dall’anno prossimo consentirà di usare il bitcoin per fare acquisti nei 26 milioni di negozi online convenzionati. E la scorsa settimana una compagnia assicurativa del Massachusetts fondata 169 anni fa, MutualLife, ha comprato bitcoin per 100 milioni di dollari. Certo, è solo lo 0,04% dei suoi investimenti. Ma se tutti gli istituzionali facessero così… (riproduzione riservata)
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