Pagina a cura di Antonio Longo
Cresce il divario, in piena emergenza Coronavirus, tra le aziende «mature» che, ormai da tempo, hanno intrapreso un percorso in cui la gestione e l’analisi dei big data costituiscono fattori chiave su cui si fonda il core business e le aziende più tradizionali, ossia quelle che hanno soltanto in parte, o non ancora, avviato attività legate all’analisi dei dati. A delineare tale scenario sono i risultati dell’indagine condotta dall’Osservatorio Big Data & Business Analytics della School Management del Politecnico di Milano, che fotografa un mercato in crescita ma con un delta minore rispetto agli anni scorsi.
«La pandemia ha portato a ripensare alcune attività di analisi dei dati, ponendo maggior attenzione all’efficienza, alla presenza di competenze interne e alla governance dei dati e della data science», evidenzia Alessandro Piva, responsabile della ricerca dell’osservatorio, «il Covid è stato uno stress test: mentre le aziende più immature hanno visto una riduzione dell’interesse al tema, quelle orientate all’approccio data – driven hanno saputo reinventarsi».
La gestione dei dati da parte delle grandi imprese «mature». L’emergenza Covid-19 ha confermato l’importanza di valorizzare i dati, sia per adottare decisioni rapidamente sia per garantire continuità di business nei momenti di crisi. Ma, inevitabilmente, ha costretto molte imprese a rivedere i propri piani di investimento in materia di big data. Come si rileva dagli esiti della ricerca, il divario fra imprese mature, che hanno razionalizzato gli investimenti riuscendo a reinventare o accelerare la strategia data – driven, e quelle più tradizionali, che hanno interrotto o posticipato gli investimenti, si è ampliato. Il risultato è stato un rallentamento della crescita del mercato che, nel 2020, in Italia raggiunge 1,815 miliardi di euro, mostrando «solo» un +6% rispetto allo scorso anno, dopo il +23% registrato nel 2018 e il +26% nel 2019. «Nel 2020, nell’emergenza sanitaria, il tema della valorizzazione dei dati è avvertito dalle aziende italiane come di fondamentale rilevanza», sottolinea Carlo Vercellis, responsabile scientifico dell’osservatorio, «ma la crescita del mercato rallenta rispetto al passato, perché molte organizzazioni hanno ripensato i piani di investimento. In realtà, si assiste a un ampliamento del gap tra le aziende mature nella gestione e analisi dei dati e quelle in ritardo. In un contesto di grande incertezza, infatti, quelle mature hanno mostrato maggiore capacità di fornire risposte ai nuovi interrogativi, aumentando le risorse di data science, ripensando modelli predittivi e di ottimizzazione. Quelle con un approccio tradizionale, limitato a classiche attività di business intelligence hanno interrotto o posticipato gli investimenti, con conseguenze determinanti sulla loro capacità di competere in un mercato sempre più data – driven oriented».
Dalla lettura del report emerge che il 96% delle grandi aziende ha già iniziative per valorizzare i dati, il 42% è definibile maturo in ambito advanced analytics. In dettaglio, il 26% ha progetti operativi e grande richiesta di competenze di data science nelle diverse funzioni, il 16% ha avviato diverse sperimentazioni negli ultimi tre anni. Nel corso del corrente anno, il 70% delle grandi imprese ha, comunque, lavorato per migliorare i propri dati e la capacità di valorizzarli, il 26% prevede di farlo entro la fine dell’anno, concentrandosi soprattutto sulla qualità dei dati (82%), sugli investimenti tecnologici per integrarli (78%), su progetti di Advanced Analytics (61%), su una migliore capacità di project management in quest’ambito (55%) e sugli investimenti in software di Data Visualization (54%). Le aziende mature hanno tra le prime priorità l’inserimento di nuove competenze (58% di risposte). Da sottolineare che al cospetto dell’emergenza in corso solo il 14% delle imprese mature ha posto la valorizzazione dei dati in secondo piano in questi mesi, mentre lo ha fatto il 45% delle immature, anzi il 43% ha intensificato il lavoro di data science e il 31% ha avuto benefici in termini di cambiamento culturale data – driven; tali percentuali si fermano, rispettivamente, al 30 e al 17% fra le imprese immature.
Le aziende «immature». Sul fronte delle aziende «immature», invece, emergono diverse realtà. In alcuni contesti sono state discusse idee progettuali sul tema e sono presenti le competenze professionali adatte per avviare dei progetti (19%), altre imprese hanno soltanto iniziato ad avvicinarsi al mondo analytics e in organico possiedono figure con abilità di reporting e visualization (27%), infine vi sono realtà aziendale ancora poco consapevoli delle opportunità degli advanced analytics, senza profili specializzati né sperimentazioni avviate negli ultimi tre anni (12%). La qualità dei dati è rilevante per ogni tipologia di azienda, ma le immature pongono al primo posto la necessità di integrare dati da fonti diverse (92%). Le aziende immature non hanno tra le priorità l’inserimento di nuove competenze, ciò avviene solo nell’8% dei casi.
L’emergenza ha influito sullo sviluppo dei progetti delle pmi. L’emergenza sanitaria ha certamente ridotto risorse e competenze nelle pmi ma non ne ha interrotto il percorso di avvicinamento ai big data analytics avviato nel 2019. Infatti, gli esperti dell’osservatorio sottolineano che, nel 2020, una pmi su due ha investito in ambito analisi dei dati, o prevede di farlo entro la fine dell’anno, e l’8% ha dovuto bloccare investimenti già programmati a seguito dell’emergenza. Fra le medie imprese ha investito il 61 e solo l’1% ha fermato gli investimenti. Secondo il 22% delle piccole e medie imprese, il Covid ha avuto risvolti positivi per la valorizzazione dei dati perché è aumentata la consapevolezza di quanto sia rilevante (18%) e ha portato le risorse interne a dedicare più tempo a gestione e analisi dei dati (4%). Da evidenziare che soltanto una pmi su quattro non ha investito né avviato progetti di Analytics (32%), contro il 38% dello scorso anno. Il 6% non ha ancora in corso nessuna attività di analisi dati ma ha effettuato investimenti abilitanti, come l’integrazione delle fonti di dati. Il 24% svolge attività di analisi descrittiva (+6%) e un terzo di queste usa software di data visualization dedicati. Sostanzialmente stabile la percentuale di aziende che svolge anche analisi predittive (+38%). Considerando il 62% di aziende che svolge analisi sui dati, soltanto il 38% svolge attività di integrazione di dati interni e il 28% acquista dati esterni.
I principali settori di intervento. Dall’indagine emerge che la maggior parte della spesa si concentra sui software (52%, +16% rispetto al 2019), in particolare per artificial intelligence e le data science platform. Seguono i servizi, che rappresentano il 28% del mercato, e le risorse infrastrutturali (20%, +7%), cioè i sistemi di abilitazione agli analytics in grado di fornire capacità di calcolo e di storage. Il budget analytics in cloud cresce del +24% e questa componente arriva a pesare il 19% della spesa (+2% rispetto al 2019). Le banche sono il primo settore per quota di mercato (28%), seguite da manifattura (24%), telco e media (14%), servizi (8%), gdo e retail (7,5%), assicurazioni (7%), utility (6.5%), p.a. e sanità (5%).
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