Mentre si discute del varo di un nuovo silenzio-assenso, la tutela del risparmio previdenziale passa anche da una maggiore attenzione ai costi. Che al termine della carriera lavorativa possono incidere fino al 40%
di Paola Valentini
Nemmeno il sistema previdenziale è indenne dalle difficoltà della crisi causata dalla pandemia. E una strada per il rilancio del settore, come è emerso anche dall’ultimo convegno di Intinerari Previdenziali, passa anche attraverso un nuovo semestre di silenzio assenso per incentivare le adesioni. Il tavolo aperto da governo e sindacati sulle pensioni prima della seconda ondata ha già iniziato a discutere sull’apertura di una finestra di adesione automatica (sul modello di quella del 2007) per aumentare il risparmio previdenziale degli italiani (si veda altro servizio a pag. 41). E in questo contento c’è un tema che in prospettiva diventa cruciale ed è quello dell’educazione finanziaria. Trascurare la necessità di costruire una pensione di scorta in un sistema come quello italiano, ormai retributivo e in presenza di un requisito di vecchiaia che ha raggiunto i 67 anni, può costare caro.
E peserà ancora di più se non si presta attenzione a una variabile rilevante nella scelta del fondo pensione: le commissioni. Come spiega il portale sull’educazione finanziaria istituito da Mef e Ministero dell’istruzione: tra le principali valutazioni da fare, accanto all’importo da versare e alla verifica di un fondo di riferimento che dà diritto al contributo del datore di lavoro, bisogna conoscere «i costi applicati dal fondo pensione, in quanto possono incidere in modo significativo sull’importo della pensione futura. Valutarli e confrontarli è un’operazione importante, perché essi hanno un impatto significativo sulla prestazione».
Le spese sono riportate nella Scheda dei costi consegnata al momento dell’adesione che contiene il dettaglio delle singole voci (costi di adesione e costi annuali per le attività amministrative e di gestione) oltre che l’Isc (Indicatore sintetico dei costi) che esprime quanto tali costi incidono percentualmente sulla posizione individuale. Si basa proprio sull’Isc l’analisi effettuata da Propensione sul maggior valore per il risparmiatore che può produrre un fondo meno caro. «L’obiettivo è far capire che la variabile costo è tra le più importanti nella scelta del fondo pensione perché nel lungo periodo incide molto sul risultato finale ed è un elemento certo a differenza dei sperati rendimenti che non si possono prevedere», dice Francesca Persiani, insurance advisor, legale e compliance di Propensione.it. Che sulla base delle note informative di tutti i fondi pensione aperti e pip (piani individuali pensionistici) presenti oggi sul mercato ha selezionato, nell’orizzonte a 35 anni, gli Isc di cinque linee, da quello più basso fino al più elevato passando per tre livelli intermedi. L’intervallo è ampio perché si passa da un Isc dello 0,86% fino al 3,07%. «Ovviamente l’Isc dipende dal tipo di linea scelta dal punto di vista dell’asset allocation e in generale i valori più elevati si trovano nelle linee azionarie, ma anche all’interno delle singole categorie gli Isc possono variare di molto», afferma Persiani.
La simulazione è stata condotta su un aderente di 32 anni con un orizzonte di risparmio di 35 anni, pensionamento a 67 anni e per versamenti annui di 1.000, 5.164 (l’importo massimo deducibile) e 7.000 euro annui. Come si evince dall’elaborazione (tabella in pagina), grazie alla sottoscrizione del fondo più conveniente (Isc a 35 anni dello 0,86%) è possibile ottenere quasi il 40% in più rispetto a quello più costoso (Isc a 35 anni del 3,07%) a fronte dello stesso investimento. Nell’ipotesi in cui versi 1.000 euro all’anno, dopo 35 anni si ritroverà un capitale di 61.460 euro (+37,16%) anziché di 44.809 euro. Questo si traduce in una rendita vitalizia annua di 2.607 euro, ossia ben 700 euro in più rispetto alla conversione del capitale accumulato nel fondo più costoso.
La differenza diventa più marcata in caso di versamenti maggiori. «Anche la Rita (Rendita integrativa temporanea anticipata, ndr), ovvero l’anticipo che si può chiedere al fondo quando mancano cinque anni o dieci anni al requisito di vecchiaia dei 67 anni, cambia molto in base ai costi, come emerge dall’analisi effettuata sugli stessi profili di Isc considerati per stimare la prestazione finale», prosegue Persiani, «la stessa Covip afferma che un Isc del 2% invece che dell’1% può ridurre il capitale dopo 35 anni di circa il 18%». «In Propensione.it il risparmiatore può effettuare simulazioni e nel caso avesse già aderito a un fondo pensione, comprese le forme negoziali, può confrontare il relativo andamento con quello delle migliori soluzioni ad oggi selezionate in termini di costi, performance e solidità, fino a 12 prodotti. A questo punto l’utente ha due possibilità: sottoscrivere o trasferire la posizione nel fondo scelto direttamente online sul portale, oppure contattare uno dei consulenti», prosegue Persiani. D’altra parte «il lockdown sta attirando l’attenzione sia di fondi pensione sia dei risparmiatori verso soluzioni digitali», conclude Persiani. (riproduzione riservata)
In dieci anni le spese sono scese poco
Il mercato di fondi pensione è caratterizzato da un elevato livello di trasparenza essendo obbligatoria l’esposizione, nella Scheda dei costi, dell’Isc (Indicatore Sintetico di costo), il parametro che segnala in modo immediato l’incidenza percentuale degli oneri sostenuti annualmente da un iscritto sulla propria posizione. E’ calcolato secondo una metodologia definita dalla Covip in maniera tale da rendere confrontabili le diverse soluzioni previdenziali. Le stime sono effettuate ipotizzando il versamento di un contributo annuo di 2.500 euro e un rendimento annuo del 4%. L’Isc è determinato considerando diversi periodi di partecipazione (2, 5, 10 e 35 anni): tende dunque a ridursi all’aumentare dell’orizzonte per effetto della ripartizione delle spese fisse su un montante in via di accumulazione. Secondo i dati della commissione di vigilanza i negoziali si caratterizzano per costi più ridotti, passando da un Isc medio dell’1,07% su due anni allo 0,26% su 35 anni. Per fondi pensione aperti e piani individuali pensionistici (pip), l’Isc passa, rispettivamente, dal 2,33% all’1,23% e dal 3,86 all’1,83%. E dipende anche dalla linea, assumendo valori più elevati per quelle a contenuto azionario In ogni caso, in tutte le opzioni, i prodotti offerti dai pip restano i più costosi. L’onerosità delle diverse soluzioni riflette la loro natura. I negoziali sono infatti organizzazioni senza scopo di lucro in cui soltanto i costi amministrativi e finanziari sostenuti dal fondo si riflettono sul valore della posizione degli iscritti. Nelle forme di mercato, invece, le spese vengono determinate in via preventiva dalla società istitutrice e servono a remunerare l’impresa oltre che a coprire gli oneri sostenuti; tra questi ultimi, una quota cospicua è rappresentata da quelli relativi al collocamento dei prodotti, con livelli che dipendono dal canale. Tali fattori contribuiscono a determinare valori dell’Isc più elevati nei fondi aperti e soprattutto nei pip, sottolinea Covip. In particolare i pip, che si configurano come soluzioni di tipo assicurativo (distribuite in maniera consistente da agenzie e consulenti) a differenza dei fondi pensione aperti, spesso abbinano al percorso previdenziale principale coperture accessorie che arricchiscono l’utilità, ma con un possibile riflesso sulla struttura dei costi. Quanta alla tendenza Covip sottolinea che nell’ultimo decennio non sembra essersi verificato un calo. Più nello specifico i negoziali, che nel 2008 si collocavano su livelli competitivi, hanno costi medi che a fine 2019 registrano un’ulteriore, anche se modesta, riduzione. In particolare, l’Isc a 10 anni subisce un calo dallo 0,45 allo 0,4%. Invece l’Isc degli aperti aumenta dall’1,27 all’1,35%. I pip che avevano costi medi che già si posizionavano su valori più elevati denotano un Isc a 10 anni che è passato dal 2,18 al 2,20%. (riproduzione riservata)
Fonte: