BDO ha pubblicato i dati relativi all’indagine annuale Global Risk Landscape 2020, che offre un quadro dei principali rischi derivanti da un danno reputazionale, secondo manager e imprenditori a livello globale e locale.

In un contesto fortemente influenzato dall’incertezza economica e dalla pandemia e con un calo della fiducia dei consumatori (per 2 manager su 3) rispetto a 5 anni fa, per i 500 intervistati (C-level), nei prossimi due anni, i fattori di rischio sono principalmente 3: l’assenza di un piano per il passaggio generazionale nelle imprese familiari (39%); il tasso di crescita dei processi di globalizzazione e i temi ad essa correlati emersi con grande forza durante la pandemia (35%); una cultura aziendale non al passo con la velocità del cambiamento (47%). Ilfattore umano, inoltre, riveste un ruolo fondamentale secondo gli intervistati: il 50% degli intervistati si dichiara “preoccupato” dai differenti modelli lavorativi cui aspirano le nuove generazioni e il 38% sottolinea una mancanza di diversity nelle proprie organizzazioni, situazione potenzialmente “esplosiva”.

Le conseguenze più temute?

Diminuzione del valore delle azioni (25%) e perdita di clienti (25%), oltre a danni sugli asset intangibili dell’azienda (motivazione e quindi produttività, scarsa capacità di trattenere i talenti e quindi calo di qualità di prodotti e servizi). Ma anche flessione economica(37%), minacce informatiche (34%) e chiusura/sospensione del business (28%) sono tra gli eventi avversi più temuti da manager e imprenditori.

La leadership conta ancora. Il 62% ritiene che la credibilità di un’azienda coincida con quella del suo capo, mentre l’85% ritiene che avere un manager esposto mediaticamente aumenta i rischi reputazionali.

Come gestire, o prevenire, i rischi di reputazione, e migliorare la resilienza delle aziende?

Dalla survey emergono indicazioni utili, come quella di nominare un Risk Manager nel board delle aziende.

In Europa, solamente il 22% degli intervistati ha dichiarato di aver un Risk Manager di livello-C, contro il 46% dell’area Asia-Pacifico.

Anche il cambio di strategia, passando da un approccio reattivo a quello proattivo, appare come una delle possibili soluzioni: il 58%ritiene, infatti, che prevenire sia più efficace che reagire, mentre il 18% è convinto che quello che conta sia l’azione di risposta alla crisi ciò.

In questo senso, il 45% dei manager considera la strategia della propria azienda come “proattiva” e il 35% “reattiva”; solamente 1 manager su 5 ha definito la propria organizzazione come “estremamente proattiva”.

REGIONE EMEA

Dei 500 manager C-level intervistati da BDO, 300 si trovano nell’area EMEA e meno della metà di loro (45%) ritiene le proprie aziende in grado di avere un approccio proattivo rispetto alle situazioni di crisi, mentre il 36% ammette di adottare un approccio reattivo, nonostante più della metà (57%) veda nella preparazione o mitigazione di una potenziale crisi come lo strumento più efficace per ridurre al minimo i danni.

Danni individuati principalmente nella perdita di valore delle azioni (25%) e perdita di clienti (25%).

In questo periodo particolarmente complicato, in cui lo scenario socio-economico è stato stravolto dal Covid-19, la minaccia principale è rappresentata dalla decrescita economica e da una serie di rapidi cambiamenti che hanno richiesto un rafforzamento delle infrastrutture e una riorganizzazione del lavoro, con la necessità forzata di rivedere la propria supply chain in breve tempo e di un ripensamento a lungo termine della propria strategia globale.

Come i loro colleghi del resto del mondo, in questo periodo particolarmente delicato, i manager dell’EMEA temono il rallentamento economico (37%) e i potenziali attacchi informatici alle proprie infrastrutture digitali (32%). Mentre, dopo essere stata un delle top priority negli anni scorsi, la questione ambientale scivola al terzo posto (31%).

In particolare, per quanto riguarda la tecnologia i manager intervistati individuano rischi come la violazione della privacy dei dati (29%) o la trasparenza rispetto all’utilizzo di tecnologie sempre più sofisticate come l’intelligenza artificiale per prendere decisioni (26%).

Non solo tecnologia, anche il fattore umano preoccupa i dirigenti delle aziende. Proprio la “resistenza” dei dipendenti o una loro mentalità restia ad accettare un cambio di mentalità per il 74% degli intervistati rappresenta un ostacolo per l’integrità dell’azienda e del suo successo; mentre il 76% considera la leadership come uno strumento fondamentale per guadagnare la fiducia dei consumatori.

“Leadership” che occupa il secondo posto nella classifica degli elementi più importanti individuati dai manager per guidare al successo la propria azienda nei prossimi cinque anni: business purpose (28%); leadership (27%); sicurezza dei dati (21%); governance ambientale(17%); cultura (7%). Per una crescita non solo economica, ma in grado di affrontare nuove sfide sociali e cambiamenti repentini.

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