di Elena Dal Maso
Continuano le indiscrezioni su una combinazione fra Banco Bpm e gli asset italiani di Crédit Agricole. Ieri il titolo del gruppo milanese ha ceduto il 2,1% a 1,62 euro a Piazza Affari per 2,45 miliardi di capitalizzazione di mercato dopo aver corso tanto nel corso dell’ultimo mese. Secondo quanto riportato dal Il Corriere Economia, i contatti per un’aggregazione fra l’istituto e Credit Agricole Italia sarebbero giunti ai temi di governance, che vedrebbe il primo diventare ceo della nuova realtà e il secondo presidente. L’operazione prevedrebbe la chiusura di 300 filiali, circa l’11% del totale, «opzione che sarebbe in ogni caso prevista anche nel nuovo piano stand alone di Banco Bpm», ricorda Equita sim, peraltro in via di definizione. Il nuovo gruppo sarebbe il secondo in Italia dopo Intesa Sanpaolo, con una quota di mercato dell’11%, allo stesso livello di Unicredit, per una copertura del 15% nel Nord Italia. Secondo la sim milanese uno dei principali rischi di esecuzione dell’operazione risiede nella necessità di ottenere il via libera da parte dell’assemblea straordinaria di Banco Bpm, con i soci «che non vedrebbero concretizzarsi alcun premio esplicito visto che la creazione di valore, nell’immediato, deriva dalle valutazioni relative degli asset», con la banca milanese che tratta a un multiplo p/te di 0,24 volte o 0,18 se considerato al netto del valore delle partecipazioni quotate, della quota in Agos Ducato e senza considerare gli oltre 700 milioni di capital gain impliciti nel portafoglio Btp che non figurano nel Cet, l’indice di solidità patrimoniale.
Secondo la sim un punto fondamentale per rendere l’operazione più interessante per i soci della banca milanese, oltre alla valutazione relativa, «riguarda l’inclusione nel perimetro dell’operazione della quota in Agos-Ducato (61%) detenuta da Crédit Agricole». Ieri Mediobanca Securities ha svolto alcune considerazioni sull’operazione con un focus su Anima Holding, tra i cui soci spiccano Banco Bpm al 19,4% e Poste al 10,4%. Gli analisti vedono diverse opzioni per gestire l’integrazione delle attività di asset management in entrambe le banche. La prima è continuare a distribuire sia fondi Anima sia Amundi attraverso le due reti. «Sebbene semplice, è tutt’altro che efficiente», notano gli specialisti. E per questa ragione passano ad altre tre opzioni. La prima è la risoluzione anticipata del contratto di distribuzione con Banco Bpm. La seconda riguarda lo scorporo (carve-out) degli asset in gestione di Cariparma (controllata da Crédit Agricole) gestiti da Amundi e la loro cessione ad Anima. La terza sarebbe una fusione di Anima in Amundi.
Lo scorporo degli asset distribuiti da Cariparma e la loro vendita ad Anima «potrebbe essere il modo più semplice e diretto per snellire le case prodotto della nuova rete Banco Bpm-Cariparma». Secondo il ceo di Anima, Alessandro Melzi D’Eril, la società ha 300-400 milioni di liquidità da usare in caso di m&a, con cui si potrebbero rilevare i 17 miliardi di asset in gestione di Cariparma. Questa opzione sarebbe «accettabile a livello politico, dal momento che rimarrebbero in mani italiane i 92 miliardi in Btp gestiti da Anima per conto di Poste». Però, aggiunge Mediobanca, questo «non si adatterebbe alla strategia di Agricole e Amundi di un’economia di scala». Ed ecco perché si fa avanti la terza possibilità: Amundi, controllata da Crédit Agricole per il 69,8% (12,52 miliardi di market cap) rileva Anima, che ieri è balzata del 6,27% a 3,558 euro e 1,23 miliardi di market cap. Nel frattempo la trattativa è finita sotto la lente dei sindacati del credito che seguono con attenzione la partita. «Sto seguendo con attenzione l’evolversi delle situazioni del settore bancario italiano, sia in termini di aggregazioni sia rispetto alla tenuta occupazionale del settore», ha dichiarato ieri il segretario della Fabi Lando Sileoni. «Ribadisco che a fronte di eventuali esuberi, da gestire su base volontaria attraverso pensionamenti e prepensionamenti, la metà dovranno essere compensate da assunzioni. Ogni aggregazione non potrà prescindere da questo in un momento in cui le banche devono svolgere amche a livellio sociale il proprio ruolo», ha concluso Sileoni. (riproduzione riservata)
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