Nell’istantanea scattata dal mensile curato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Istituto, Dati Inail, viene fatto il punto della situazione sull’emergenza da Covid-19 e sulle sue ripercussioni senza precedenti a livello economico e sanitario
La pandemia Covid-19 e il conseguente lockdown hanno prodotto effetti inimmaginabili sulle economie mondiali e, in modo particolare, su quella italiana, che era già caratterizzata da segnali di debolezza (la variazione congiunturale del Pil nel quarto trimestre 2019 era pari a -0,3%). È arduo quantificare le ripercussioni di un simile evento e il contraccolpo sull’economia reale sarà pesante e prolungato.
L’emergenza che si è affrontata è stata resa evidente dalle file davanti ai banchi dei pegni, da sempre un ottimo termometro per misurare le crisi: Affide – la più grande società attiva nel settore del credito su pegno autorizzata dalla Banca d’Italia – stima che nel periodo di costrizione in casa della popolazione, le richieste di credito hanno avuto un aumento del 30%. Famiglie di pensionati e lavoratori costretti all’immobilismo hanno iniziato a frequentare le mense sociali e per sostenersi hanno impegnato i beni di famiglia. Un quadro a tinte fosche che ha dato vita ad una concorrenza sleale aumentando il tasso di irregolarità (26,3% nel solo settore dei servizi alla persona).
Il blocco delle attività ha avuto effetti immediati sulla produzione: secondo i dati Istat di contabilità nazionale, nel primo trimestre dell’anno il Pil ha registrato una contrazione del 4,7%. Inoltre, da una rilevazione condotta sempre dall’istituto di statistica che ha interessato un campione1 di circa 90 mila imprese appartenenti ai settori dell’industria, del commercio e dei servizi, che producono quasi il 90% del valore aggiunto nazionale, è emerso che nella fase di lockdown il 45% delle imprese ha interrotto la propria attività senza riprenderla prima del 4 maggio.
Del 67,7% delle imprese che hanno interrotto la propria attività, il 21,4% lo ha fatto a prescindere dai vincoli imposti dai decreti o per rispettare le raccomandazioni del Ministero della sanità, o per non essere in grado di adottare le misure di contenimento del virus. Dall’analisi per settore, emerge che sono soprattutto le imprese delle costruzioni e dei servizi ad aver sospeso l’attività (rispettivamente 58,9% e 53,3%) rispetto all’industria in senso stretto (36,0%) e al commercio (30,3%). Proprio il commercio è il comparto rimasto più attivo nel corso del lockdown in particolare, quello al dettaglio presenta la quota più elevata di imprese sempre attive (52,4%).
Oltre il 70% delle imprese intervistate in questo studio, dichiara una riduzione del
fatturato nel bimestre marzo-aprile 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019: il
41,4% asserisce che il proprio fatturato si è più che dimezzato e il 14,6% delle imprese
dichiara di non avere registrato alcun fatturato, con motivazioni che spaziano dalla
riduzione delle settimane lavorate, al calo della domanda, alle difficoltà di
approvvigionamento fino al calo della produttività dovuta alle nuove condizioni
lavorative.
La chiusura delle attività economiche predisposte dall’avvicendarsi dei decreti, ha
penalizzato in misura maggiore le imprese micro (3-9 addetti) e piccole (10-49 addetti)
che da sole rappresentano più del 70% del totale delle chiusure; anche se il 29,4% delle piccole imprese hanno riaperto prima del 4 maggio.
Questa è stata una crisi che ha influenzato pesantemente la salute, il benessere e il lavoro delle persone, e ha creato un’incertezza senza precedenti. Questo è il motivo per il quale si vuole prevedere un’uscita dalla crisi che passi attraverso la gestione di politiche di crescita economica coraggiose, lo snellimento della burocrazia, la revisione dei modelli organizzativi delle imprese, l’investimento nell’innovazione e politiche che rispettino l’ambiente.