La pandemia di Covid-19 e le necessario misure di restrizione conseguenti al lockdown hanno avuto un impatto devastante sull’economia italiana (e mondiale). Ma il rischio pandemia può essere previsto e soprattutto cosa possono fare le aziende per una migliore gestione dell’emergenza? Sul tema si esprime il dott. Alessandro De Felice, Presidente ANRA che sarà tra i relatori del Seminario web di ASSINEWS “Covid-19 e Assicurazioni. La responsabilità del datore di lavoro per i danni da contagio e la tutela di chi si ammala“, in programma domani 11 giugno 2020.
di Elio Marchetti
Il banco di prova che ha rappresentato l’emergenza sanitaria conferma che non si fa mai abbastanza per prevedere, prevenire e gestire i rischi
Non esattamente: il rischio pandemia come evento dirompente era stato riportato sin dal 2007 nel Global Risk Report edito dal World Economic Forum, nel corso degli anni ne è però gradualmente diminuita la valutazione sulla scala delle probabilità. Il vero limite di un piano di Enterprise Risk Management non è tanto sulla prevedibilità, prevenzione e gestione dei rischi ma sulla percezione e consapevolezza del loro potenziale da parte del management e degli organi di controllo aziendali, solo in questo modo è possibile ottenere un sistema virtuoso e resiliente. In base ad una recente survey condotta da ANRA ad aprile il 40% delle aziende disponeva di un piano di gestione della crisi, di queste solo il 14% contemplava anche uno scenario di pandemia. Tuttavia le aziende che comunque disponevano di un piano di gestione della crisi e di un quadro di riferimento ERM sono state nella stragrande maggioranza anche quelle che sono state più capaci di reagire alla crisi.
Quale impatto avrà la pandemia sulla diffusione della cultura del Risk Management?
Se è vero che la percezione di un rischio determina il comportamento rispetto al rischio stesso determinando dunque una cultura del rischio, soprattutto nelle PMI italiane ci si rende conto che diventa strategico prima ancora che gestire e mitigare i rischi, determinare quale sia il livello di tolleranza al rischio in chiave strategica. In altre parole rispondere alla domanda se l’azienda stia assumendo troppi rischi oppure ne stia assumendo troppo pochi, di quale sia l’effettivo ritorno della componente rischio sul business di come fare a ridurne gli impatti e prendere decisioni che ne tengano conto. Molti imprenditori capiranno che il Risk Management è uno strumento manageriale che crea valore e che non è materia riservata ai soli risk manager.
Un altro importante aspetto sarà che non potranno essere più trascurati i segnali prodromici del cambiamento climatico e del progressivo incremento della temperatura media, non potremmo più aspettare e tollerare che in un non lontano futuro la prossima crisi ci colga impreparati avendone avuto i segnali oggi. Questo è già di fatto un considerevole acceleratore alla sensibilità sui temi di sostenibilità e gestione dei rischi ESG (Enviromental, Social, Governamental).
Ritiene che l’ANRA potrà fornire un contributo culturale e formativo al settore pubblico?
Assolutamente si, nel corso degli ultimi anni alcuni esponenti del settore pubblico si sono avvicinati alla nostra associazione per meglio comprendere la materia del Risk Management e formarsi, alcune regioni ed enti locali stanno studiando ed adottando piani di gestione che recepiscono procedure e principi tipici del risk management in particolare su tremi di sostenibilità e catastrofi naturali. Tuttavia per la formazione di cui avrebbero bisogno molti manager pubblici lamentano le carenze strutturali di budget che ne limitano la partecipazione.