Alcuni studi legali hanno dato corso al reclutamento online di pazienti Covid-19 offrendo valutazioni gratuite delle cartelle cliniche ai fini della proposizione di cause di responsabilità medica. La vicenda pone all’attenzione il tema del contenzioso da responsabilità medica nell’emergenza, che con ogni probabilità affollerà le aule giudiziarie nel prossimo lustro. Nell’ultimo mese il dibattito politico si è soffermato sull’opportunità di un intervento legislativo volto per limitare le ipotesi di responsabilità sanitaria nei casi di Covid-19. Si tratta di valutare se la disciplina vigente offra strumenti idonei a contemperare le esigenze di tutela dei danneggiati senza aprire la strada al proliferare di contestazioni velleitarie. Quanto ai sanitari, l’eccezionalità e imprevedibilità dell’epidemia e l’inesistenza di protocolli terapeutici condivisi sembrerebbe in astratto integrare la soluzione di un problema tecnico di speciale difficoltà, in presenza della quale l’art. 2236 c.c. limita la responsabilità del prestatore d’opera ai casi di dolo o colpa grave. Per giurisprudenza concorde tale disposizione si applica quale che sia il titolo della responsabilità del sanitario e limitatamente alle ipotesi di imperizia: sulla base di tali principi la responsabilità del sanitario per danni legati al virus dovrebbe ragionevolmente essere esclusa in caso di errore terapeutico, salvo ricorra una negligenza o imprudenza. Tale limitazione di responsabilità non troverà applicazione quando l’attività del sanitario non involga un problema tecnico di speciale difficoltà, come per gli errori diagnostici, in presenza di protocolli condivisi di accertamento del contagio. In questi casi anche l’accertamento di una colpa lieve da imperizia comporterebbe l’accoglimento della domanda di risarcimento. Il tutto ferma la necessità di una valutazione in concreto, nella quale assumerà rilievo l’individuazione del livello di diligenza esigibile rispetto alla situazione, spesso disastrata, in cui il sanitario si è trovato ad operare. Diverso il caso della responsabilità diretta delle strutture sanitarie, che in base alla legge Gelli-Bianco ha sempre natura contrattuale.
Con ogni probabilità rispetto a tali enti le pretese risarcitorie si fonderanno su carenze organizzative e gestionali estranee all’ambito di applicazione dell’art. 2236 c.c., quali l’infezione nosocomiale o l’indisponibilità di posti di terapia intensiva. Per andare esente da responsabilità la struttura dovrà provare che l’evento lesivo è conseguito a una circostanza eccezionale, non prevedibile o rimediabile con l’impiego della diligenza professionale. Anche qui sarà decisiva la valutazione del livello di esigibilità della condotta astrattamente idonea a evitare il danno rispetto alle contingenze del caso concreto: il pensiero corre all’indisponibilità di respiratori nei giorni di eccezionale afflusso di pazienti negli ospedali o all’infezione nosocomiale determinata da condotte colpose dei pazienti in violazione dei protocolli di contenimento adottati dalla struttura. Una disciplina speciale della responsabilità medica per Covid-19 potrebbe avere la funzione di semplificare e contenere il contenzioso, a condizione di individuare in maniera chiara il perimetro delle condotte esigibili da parte degli operatori coinvolti senza trascendere in un’aprioristica impunità ma neppure in un miope giustizialismo.
Leonardo Gregoroni
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