Classificando come infortunio sul lavoro il contagio da Coronavirus avvenuto in azienda, il recente decreto legge n. 18 del 2020 apre nuove prospettive cariche di insidiosi interrogativi per i datori di lavoro e le rispettive compagnie assicurative. Soprattutto perché l’INAIL può rivalersi delle somme erogate, laddove sia accertata una responsabilità civile del datore di lavoro.

Per capire l’esatto tenore giuridico di questa norma e prevedere quale impatto potrà avere sui datori di lavoro e sulle loro compagnie di assicurazione rispetto l’RCO, la polizza che garantisce la responsabilità civile operai a favore dei dipendenti, abbiamo intervistato l’Avv. Matteo Schiavone del foro di Milano. Anticipiamo di seguito qualche stralcio dell’intervista, che potrà essere letta integralmente nel prossimo numero di ASSINEWS.

di MR. OLIVIERO

COSA PREVEDE ESATTAMENTE LA NORMA?

Il comma 2 dell’art. 42 dispone espressamente: «Nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato.  Le prestazioni INAIL nei casi accertati di infezioni da coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato con la conseguente astensione dal lavoro. I predetti eventi infortunistici gravano sulla gestione assicurativa e non sono computati ai fini della determinazione dell’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico di cui agli articoli 19 e seguenti del decreto interministeriale 27 febbraio 2019.   La presente disposizione si applica ai datori di lavoro pubblici e privati».

L’ART. 42 COMMA 2 DEL DL 18/2020 COSTITUISCE UNA NOVITA’ NEL PANORAMA DELLA DISCIPLINA RELATIVA ALLA DIFFERENZA TRA INFORTUNI SUL LAVORO E MALATTIE PROFESSIONALI?

In realtà qualificando il contagio da COVID-2019 come infortunio, la norma non costituisce una novità nel panorama della disciplina relativa agli infortuni/malattie professionali. Premesso che sin dalla fine del XIX secolo l’Italia possiede una legislazione a tutela dei lavoratori in caso di infortunio e precisato che il T.U. N.51/1904 ha indicato per la prima volta l’evento coperto dall’assicurazione sociale con la formula «…l’infortunio che avvenga per causa violenta in occasione del lavoro», ricordiamo che già nel 1935, alcune malattie virali o batteriche quali ad esempio il Carbonchio (infezione acuta causata da un batterio), venivano considerate ai fini assicurativi alla stregua di infortuni sul lavoro, laddove le malattie fossero state contratte sul posto di lavoro.

Con il d.p.r. n. 482 del 9 giugno 1975, stabilita una classificazione tra le malattie a seconda del legame più o meno stretto tra la loro origine ed il lavoro, il legislatore predisponeva un elenco di malattie (c.d. tabellate) assimilabili agli infortuni (oggi contenuto nell’allegato 4 del testo unico INAIL).

Tale classificazione può essere così riassunta: 1° GRUPPO: Infezioni nei riguardi delle quali il contagio avveniva, se non esclusivamente, in gran prevalenza per ragioni di lavoro; 2° GRUPPO: Infezioni il cui contagio, di regola generico, in determinate circostanze poteva essere facilitato o aggravato dal lavoro; 3° GRUPPO: Infezioni generalmente decorrenti sotto forma epidemica ma i cui focolai in determinate circostanze risultavano localizzati soltanto in luoghi ove solo un lavoratore per ragioni professionali le avrebbe potute contrarre.

Anche la Corte Costituzionale ha già da tempo ricompreso, nell’ambito della copertura INAIL, anche malattie non tabellate (Corte Cost. n.179/1988). A tale pronuncia si è conformata la giurisprudenza di legittimità che, ovviamente, in tema di infortunio sul lavoro, ha equiparato alla causa violenta d’infortunio anche l’azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell’organismo umano, ne determinino l’alterazione dell’equilibrio anatomico-fisiologico (cfr. Cass. civ., sez. Lav., 12 maggio 2005, n. 99689). Tale tesi è stata da tempo accolta dai giudici di merito al fine di garantire la copertura assicurativa anche nei casi in cui il lavoratore contragga una malattia non compresa tra quelle c.d. tabellate (ovvero quelle non ricomprese nell’allagato 4 del testo unico INAIL).

QUALE CONSEGUENZE COMPORTA L’ASSIMILAZIONE DELLE MALATTIE PROFESSIONALI AGLI INFORTUNI SUL LAVORO DAL PUNTO DI VISTA DEL DATORE DI LAVORO E DELL’ASSICURAZIONE RCO CONTRATTA DALLO STESSO?

Il datore di lavoro è sempre ritenuto responsabile dell’infortunio, sia ove ometta di adottare idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto uso da parte del dipendente. Poiché la malattia professionale, pur non possedendo quei caratteri di esteriorità e violenza che sono tipici dell’infortunio, è ad esso assimilata, il datore di lavoro risponderà anche delle conseguenze della malattia. Pertanto, INAIL, dopo aver riconosciuto la prestazione previdenziale in favore del lavoratore, potrà agire in rivalsa nei confronti del responsabile civile al fine di recuperare l’importo erogato.

In conclusione, vi è la concreta possibilità che la compagnia di assicurazione per la RCO, anche nell’ipotesi in cui questa garantisca la responsabilità del datore di lavoro per i soli infortuni del dipendente, venga chiamata a tenere indenne l’assicurato in caso di domanda di risarcimento del lavoratore o di azione di regresso da parte di INAIL.

QUINDI, LA QUALIFICAZIONE DEL CONTAGIO DA COVID19 QUALE INFORTUNIO SUL LAVORO, ESPONE IL DATORE DI LAVORO E LA COMPAGNIA DI ASSICURAZIONE DELLA RCO DELLO STESSO ALLA RIVALSA INAIL?
Il seguito dell’intervista può essere letto integralmente nel prossimo numero di ASSINEWS.
Contagio da Coronavirus