di Luca Gualtieri
Per il momento resta sul piano delle dichiarazioni il confronto tra i soci storici di Ubi Banca e Intesa Sanpaolo, che la scorsa settimana ha presentato un’offerta pubblica di scambio sull’istituto lombardo. Due dei tre patti di sindacato del gruppo hanno respinto l’ops, mentre la formazione bresciana dovrebbe esprimersi a breve. A quel punto per il fronte del no si porrà il problema di passare dalle parole ai fatti e la prima data utile per farlo sarà quella dell’assemblea di bilancio di Ubi, convocata per il prossimo 8 aprile. Se infatti il prospetto verrà presentato a Consob entro il 7 marzo, è legittimo aspettarsi la pubblicazione del documento per la fine del mese. A quel punto il cda di Ubi potrà esprimersi formalmente sull’offerta attraverso il comunicato dell’emittente, atteso cinque giorni dopo la pubblicazione del prospetto. Un documento non vincolante per gli azionisti, ma certamente in grado di orientarne le scelte. Gli amministratori peraltro non potranno fare molto di più perché la passivity rule di fatto legherà loro le mani per tutta la durata dell’offerta. A meno che le eventuali manovre difensive non vengano approvate dall’assemblea di Ubi. Il via libera degli azionisti vale infatti come deroga alla passivity rule e consentirebbe così di erigere barriere per rallentare l’avanzata di Intesa.
Ammesso che il board alzi una palla del genere, come si muoverebbero i soci storici di Ubi? La risposta non è banale. Se il fronte del no si muovesse compatto, Consob potrebbe contestare l’esistenza di un patto non dichiarato al mercato e, ove mai fosse superata la soglia del 25%, chiedere l’opa sull’intero istituto. Aspetto tanto più delicato se si pensa che proprio su un’ipotesi di patto occulto nell’ambito dell’assemblea Ubi del 2013 la procura di Bergamo ha costruito il teorema del processo in corso. L’uovo di Colombo, su cui proprio in questi giorni qualcuno avrebbe iniziato a ragionare, potrebbe essere una convenzione di voto che consenta ai diversi patti di esprimersi congiuntamente. La convenzione farebbe riferimento a uno specifico punto dell’ordine del giorno, permettendo così ai soci di muoversi alla luce del sole e nel pieno rispetto della normativa.
Sarà peraltro interessante capire quale sarà l’orientamento dei fondi, che oggi sono stakeholder molto significativi di Ubi. Vero è però che diverse istituzioni internazionali hanno finora mostrato apprezzamento per la proposta di Intesa. Lunedì Fitch, dopo Moody’s e S&P, ha messo sotto osservazione i rating di Ubi in vista di un possibile rialzo. Il rating watch positivo, si legge in una nota, è collegato al lancio dell’ops di Intesa e riflette, secondo l’agenzia di rating, «l’accresciuta probabilità che Ubi diventi parte di un gruppo più forte e possa perciò beneficiare del supporto istituzionale di Intesa, che ha un rating più alto, come suo principale azionista in caso di bisogno». Intanto i soci storici continuano a comprare. Ieri è stato reso noto che la Fondazione Cr Cuneo ha acquistato un pacchetto di un milione di azioni, mentre i Radici sono cresciuti di ulteriori 100 mila titoli. (riproduzione riservata)
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