di Nicola Berti

Un’iniziativa come quella annunciata a sorpresa l’altra notte da Intesa Sanpaolo su Ubi banca può essere osservata da diverse angolature. Si può mettere a fuoco la reazione della borsa (che è stata subito positiva per entrambi i titoli direttamente coinvolti). Può essere illuminato il ridisegno della geografia del credito in Italia: se l’operazione maturerà, il gruppo guidato da Carlo Messina confermerà il suo ruolo di campione nazionale mentre Bper (con l’acquisto di 500 filiali) diventerà il terzo polo nazionale.
È possibile collocare la ripresa del risiko italiano in una prospettiva europea: nel 1999, per esempio, il primo grande riassetto bancario dell’era euro iniziò in Spagna e si propagò rapidamente in Francia e poi in Italia (non in Germania). E maturò lungo la stessa direttrice indicata più di vent’anni dopo dal piano Intesa-Ubi: priorità al consolidamento sul mercato nazionale (le aggregazioni crossborder, anzitutto la lunga strategia perseguita da Unicredit fra Italia e Germania e poi nell’Est europeo, non hanno mai dato risultati soddisfacenti).
Fin da lunedì notte, comunque, la zampata di Intesa ha registrato analisi e commenti di taglio squisitamente politico. Dietro e attorno all’offerta su Ubi ci sono rilevanti «poteri finanziari» del Nord e solo del Nord. I grandi azionisti di Intesa sono le due maggiori Fondazioni bancarie italiane (Cariplo e Compagnia San Paolo) oltre ad altre di dimensione medio-grande (Padova-Rovigo, Bologna, Firenze). Entrambe sono ancora presidiate da figure come Giovanni Fosti (direttamente designato alla successione dal leader storico dell’Acri, Giuseppe Guzzetti) oppure l’ex ministro Francesco Profumo, attuale presidente dell’Acri: quest’ultimo sotto pressione politica a Torino da parte del sindaco Chiara Appendino (ora candidata alla guida M5s), che vorrebbe cambiare guida a una grande cassaforte settentrionale.
Se Ubi (com’è prevedibile) dirà sì all’offerta, altre due Fondazioni non piccole (CariCuneo e Monte di Lombardia) andranno a infoltire il nucleo degli enti in quella che sempre più si potrà fregiare del titolo di «banca di sistema».
A questo ruolo Intesa Sanpaolo è stata preconizzata dal suo presidente storico, Giovanni Bazoli, che mai ha mancato di far sentire il suo peso anche nella finanza bresciana. Anche se Bazoli si è subito premurato di precisare la sua estraneità all’operazione annunciata, è naturale vedervi la continuità progressiva di una lunga «storia italiana» (è il titolo di un volume riepilogativo dell’«era Bazoli» dal salvataggio del Banco Ambrosiano fino a Intesa Sanpaolo).
Ancora: il ruolo di advisor unico affidato da Messina a Mediobanca non appare affatto di routine, anzi. Piazzetta Cuccia è reduce da una lunga fase di stasi e declino: tanto che è delle ultime settimane il pressing di Leonardo Del Vecchio in direzione di un cambiamento di assetti proprietari e di governance.
Ora è difficile non vedere, nel particolare snodo, uno specifico momento di «arrocco» del Ceo Alberto Nagel a ridosso di un polo bancario a lungo rivale (anche recentemente con l’Opa Cairo su Rcs). Ed è difficile d’altronde non ricordare che Mediobanca resta azionista di riferimento delle Generali, su cui appena tre anni fa Messina tentò senza successo un’Opas.
Se il grande slam bancassicurativo Intesa-Ubi-Mediobanca-Generali torna d’attualità nel gossip di Piazza Affari, una operazione di grande rilievo va invece concretizzando fra Modena e Bologna. Con l’acquisto di una vasta rete da Intesa-Ubi, Bper non solo diventerà un pivot bancario nazionale, ma prevedibilmente vedrà rafforzato a monte il ruolo di azionista di riferimento di Unipol: attraverso un aumento di capitale da 1 miliardo.
Il Grande Arrocco del Nord prende forma (non per coincidenza) in una fase di crescente vuoto politico, anzi: all’inizio presumibile di un periodo di vuoto pilotato che potrebbe culminare in un voto anticipato in autunno. Poco importa se il Conte 2 potrà continuare il suo cammino stentatissimo (magari in una possibile «versione 3») oppure se il Quirinale assumerà un ruolo più pronunciato di garante con l’insediamento di un governo tecnico (per esempio affidato al ministro dell’interno Luciana Lamorgese).
Quel che è certo è che fasi come questa portano con sé grandi opportunità (il first move di Intesa è significativo anche su questo piano) o grandi rischi. Ma su quale «politica» poggia (o almeno si rispecchia) il Grande Arrocco?
Bazoli, Guzzetti, Profumo sono tutti cognomi di sicura relazione con il presidente Sergio Mattarella, a loro volta punti di riferimento per manager come Messina, Nagel, l’Ad di Unipol Carlo Cimbri. Tutte sono figure di un calibro rapportabile a quello dell’attuale «convitato di pietra» a cavallo fra finanza e politica in Italia: l’ex presidente della Bce Mario Draghi. Senza però dimenticare Romano Prodi oppure, guardando al futuro, due politici «resistenti» del centrosinistra al Nord: il sindaco di Milano Giuseppe Sala e il presidente appena riconfermato della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini. Questi ultimi sempre meno esponenti del Pd e sempre più alla ricerca di percorsi politici innovativi di contrasto e controffensiva nei confronti della Lega.
Chissà, forse attorno al cantiere Intesa-Ubi potrebbe mettere radici anche una futura Cosa Verde Italiana: non quella presto marcita nel movimentismo antagonista grillino, ma quella che già entro l’anno potrebbe formare in Germania una nuova coalizione di governo post Merkel.
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