Il segretario al Tesoro Mnuchin: Amazon ha distrutto l’industria retail e ridotto la concorrenza. I Faang limitano le perdite a Wall Street. Rischioso indebolirli di fronte alla concorrenza cinese
di Francesco Bertolino
Gli Stati Uniti reclamano la giurisdizione sulle Big Tech americane. Poche settimane fa il presidente Donald Trump aveva criticato il crescente attivismo antitrust dell’Ue, suggerendo che la competenza a indagare sui colossi tecnologici spettasse alle autorità Usa. E ieri il dipartimento di Giustizia americano ha annunciato di aver avviato un’ampia inchiesta per accertare se i campioni dell’economia digitale abbiano illecitamente limitato la concorrenza, soffocato l’innovazione o altrimenti danneggiato i consumatori. L’indagine riguarderà «i comportamenti delle piattaforme online che dominano l’attività di ricerca su internet, i social media e i servizi retail», ha comunicato l’autorità senza specificare le società oggetto di scrutinio. Dai settori citati, però, è parso subito evidente che l’approfondimento antitrust riguarderà i soliti noti: Facebook , Google, Amazon e Apple .
L’indiziato principale, al momento, pare però il gigante dell’e-commerce fondato da Jeff Bezos, attaccato a stretto giro di posta anche dal segretario al Tesoro, Steve Mnuchin. «Al netto di innegabili benefici, Amazon ha distrutto l’industria retail negli Stati Uniti, non c’è quindi dubbio che abbia limitato la concorrenza», ha sottolineato Mnuchin in un’intervista a Cnbc. Inaugurato dall’Ue, lo scrutinio sulle big tech si va intensificando anche negli Usa, dove la competenza antitrust è divisa fra la Federal Trade Commission e il dipartimento di Giustizia. Nei mesi scorsi le due autorità avevano raggiunto un accordo per spartirsi le società da indagare: alla prima sarebbero spettate Facebook e Amazon , al secondo Google e Apple . L’inchiesta a tutto campo annunciata ieri dal dipartimento di Giustizia sembra però segnalare la volontà di rendere la questione in certo modo «più politica»: mentre la Ftc è un’autorità indipendente, infatti, il dipartimento di Giustizia fa parte del governo federale ed è guidato da un procuratore generale di nomina presidenziale. Non è chiaro al momento come questa iniziativa si coordinerà con le indagini della Ftc né tantomeno tempi e possibili esiti. Di recente, il dipartimento di Giustizia ha organizzato un’audizione privata con alcuni accademici critici nei confronti di Facebook , che fra l’altro hanno suggerito uno spezzatino dell’ecosistema creato da Mark Zuckerberg. Per anni le Big Tech americane hanno potuto crescere indisturbate, conquistando quote di mercato negli Usa e all’estero e annichilendo la concorrenza a suon di acquisizioni.
Le autorità antitrust mondiali sono rimaste a lungo silenti anche perché raramente il tecnopolio si traduce in un danno diretto al consumatore, perlomeno in termini di aumento dei prezzi (presupposto negli Usa per un’azione antitrust). D’altra parte, gli scandali sulla gestione dei dati e le prassi commerciali tese ad avvantaggiare i propri servizi a danno di terzi hanno spinto di recente la Commissione europea ad aprire inchieste sui colossi tech Usa, spesso concluse con ingenti sanzioni. Ora anche le autorità americane vogliono vederci chiaro. La mossa sembra però più difensiva che offensiva, anche perché difficilmente in epoca di guerra tecnologica con la Cina gli Usa vorranno indebolire i propri campioni digitali. O almeno questa sembra l’interpretazione prevalente nel mercato, che non ha penalizzato eccessivamente i titoli in borsa. A un’ora dalla chiusura di Wall Street, Amazon cedeva lo 0,2%, Facebook lo 0,1%, Apple lo 0,7% e Google l’1%. (riproduzione riservata)
Facebook paga 5 miliardi di multa per violazione della privacy
di Carlo Brustia
Stangata per Facebook. Il social network pagherà 5 miliardi di dollari per risolvere la disputa sulle violazioni della privacy. Si tratta di una «sanzione senza precedenti», ha sottolineato il repubblicano Joseph Simmons, presidente Federal Trade Commission, l’organo che ha comminato la multa. L’accordo raggiunto fra l’autorità e il colosso di Menlo Park prevede anche la creazione di un comitato indipendente per la privacy. A Facebook viene inoltre richiesto di non usare a scopi pubblicitari i numeri di telefono ottenuti dai suoi utenti per motivi di sicurezza. L’accordo è stato approvato dalla Federal Trade Commission con tre voti a favore, quelli repubblicani, e due contrari, quelli dei due membri democratici. «L’obiettivo non è solo quello di punire ma soprattutto di cambiare l’intera cultura della privacy di Facebook, facendo così diminuire il rischio di violazioni»,
ha aggiunto Simmons. Rohit Chopra, uno dei due membri democratici della Federal Trade Commission, non si è invece detto soddisfatto, lamentando che la maxi-sanzione è un buffetto a Facebook e obbligherà la società soltanto ad aumentare gli accantonamenti senza nulla cambiare al suo modello di business. Intanto, la Federal Trade Commissione ha fatto causa a Cambridge Analytica, la società al centro dello scandalo privacy. Le autorità americane accusano Cambridge Analytica di aver usato tattiche ingannevoli per raccogliere informazioni personali di decine di milioni di utenti Facebook tramite l’app sviluppata da un ricercatore esterno, Aleksandr Kogan. Proprio Kogan e Alexander
Nix, l’ex ad di Cambridge Analytica, hanno patteggiato con la Ftc accettando i limiti imposti nelle loro future attività. Il patteggiamento richiede inoltre che cancellino o distraggano tutte le informazioni personali raccolte. Sempre ieri, negli Stati Uniti Google è stata condannata a pagare una multa di 13 milioni di dollari per il cosiddetto caso Wi-Spy risalente al 2010. All’epoca Google si è servita delle auto utilizzate per mappare le strade (Street View) per carpire dati sensibili dalle reti wi-fi aperte (non protette da password) di ignari cittadini. In questo modo il colosso di Mountain View ha ottenuto informazioni private (password, email, carte di credito…) in oltre 30 Paesi. (riproduzione riservata)
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