A novembre il ceo presenterà la nuova strategia al 2022 che confermerà l’attenzione verso il wealth management. Più pmi per il Cib. I soci? Mustier per ora resta, ma c’è l’incognita di Bolloré
di Luca Gualtieri
I prossimi mesi saranno particolarmente intensi per il management di Mediobanca . Se il 1° agosto verrà approvato il consuntivo di esercizio (che chiude al 30 giugno), già da qualche tempo l’amministratore delegato Alberto Nagel e la sua squadra sono al lavoro per definire il nuovo piano industriale, che sarà presentato alla comunità finanziaria a novembre. Un appuntamento atteso per il ruolo che la merchant di Piazzetta Cuccia ancora riveste nella city milanese, ma dal quale sarebbe incongruo attendersi brusche inversioni di rotta. Non solo perché il modello di business ha finora dato risultati soddisfacenti, ma anche perché, piano dopo piano, Nagel ha plasmato un’idea di banca sempre più coerente, che ha corrispettivi solo a livello internazionale.
La pars destruens di questa strategia era contenuta nel piano industriale 2014-2016 con il quale la merchant liquidava gran parte delle partecipazioni societarie, conservando solo quel 13% di Generali da cui deriva ancora una significativa quota di profitti. Il piano ora in scadenza ha invece rappresentato la pars construens con la progressiva diversificazione delle fonti di ricavo. In sostanza, il contributo all’utile operativo lordo da partecipazioni (a partire da quella in Generali ) avrebbe dovuto scendere per lasciare spazio alle altre aree di business, dal corporate & investment banking (Cib) al wealth management, senza dimenticare il contributo del consumer banking. Abbandonato l’assetto di holding, insomma, l’obiettivo era stabilizzare le commissioni, agganciandole ad attività tradizionalmente meno volatili dell’investment banking.
A tre anni di distanza si può fare un bilancio dei risultati raggiunti. Per alcune partecipate si è scelta la strada della piena continuità, a conferma della fiducia che il top management ripone nel loro attuale posizionamento di mercato. È questo il caso di Compass, la storica società di credito al consumo oggi guidata da Gian Luca Sichel (che è anche amministratore delegato di CheBanca!): i nove mesi si sono chiusi con un utile netto di 256,1 milioni (+6,8% rispetto allo scorso anno) dopo ricavi per 769,9 milioni (+3,5%), oltre il 40% del fatturato di gruppo. Tra le prossime iniziative, a luglio Compass lancerà una nuova rete di agenti specializzata nella cessione del quinto, denominata Compass Quinto, con punti vendita dedicati che si aggiungeranno alle 200 filiali a marchio Compass presenti oggi sul territorio nazionale. Il progetto prevede l’apertura di almeno 80 punti vendita gestiti da 50 agenti e 150 collaboratori.
Se insomma nel consumer banking le strategie non sono cambiate, profonde trasformazioni nell’arco del piano hanno interessato private banking e risparmio gestito, attività raggruppate nella divisione wealth management. L’obiettivo è stato integrare questi business con l’investment banking per creare benefici reciproci: da un lato infatti la rete serve per intercettare clientela mid corporate e coinvolgerla in iniziative di finanza straordinaria come quotazioni o acquisizioni; dall’altro lato la liquidità derivante da questi deal viene convogliata verso le gestioni in un circolo virtuoso già in parte rodato. Molte sono state le iniziative messe in campo per potenziare queste aree. Sul fronte della clientela affluent e premier, ad esempio, CheBanca! ha integrato la rete Barclays (acquisita nell’agosto 2016), mentre nel private da fine 2017 è efficace la fusione di Banca Esperia in Mediobanca e il lancio del brand Mediobanca Private Banking, che segna la nascita della prima private & investment bank in Italia. Risulta invece in stand by il dossier Kairos, che Piazzetta Cuccia aveva aperto nei mesi scorsi. Un contributo importante è arrivato anche dall’estero, come testimoniano le ultime operazioni straordinarie: dopo l’acquisto del 69% della società svizzera di asset management Ram Active Investment, nell’estate scorsa Compass ha comprato il 19,9% di Bfi Finance, operatore indonesiano di credito al consumo.
Anche se oggi wealth management, affluent & premiere, private banking e credito al consumo rappresentano oltre la metà dei ricavi, il corporate & investment banking (dove è al lavoro il co-head Francesco Canzonieri) resta una componente fondamentale della strategia. I risultati dei nove mesi del resto testimoniano una robusta attività di advisory (+68%) e di capital market solutions con la clientela (+70%) che compensano il rallentamento europeo del segmento capital market. Non a caso la banca si è collocata al vertice della classifica semestrale Thomson Reuters per deal di m&a annunciati con operazioni come l’integrazione tra Sias e Astm , la fusione tra Mediaset e Mediaset España, il merger Ima -Gima , l’acquisizione di Unipol Banca da parte di Bper e la cessione del gruppo Laminam al fondo Alpha Private Equity. Nei mesi scorsi inoltre il Cib è stato ulteriormente rafforzato attraverso la partnership strategica con Messier Maris & Associés (una delle tre principali boutique di corporate finance francesi) e una riorganizzazione volta a valorizzare l’esperienza dei banker dell’istituto.
Se questo è il punto di arrivo del vecchio piano industriale, la nuova strategia si muoverà in continuità con queste premesse, cercando soprattutto di potenziare la presenza nel wealth management e di indirizzare sempre di più il cib verso nicchie di valore nel mid corporate. Oggi del resto la diversificazione del business rimane uno degli aspetti più apprezzati dagli analisti: «Mediobanca spicca nel sistema bancario italiano per la stabile generazione di ricavi da un’ampia varietà di business, per la forte dotazione di capitale, la liquidità robusta e la solida qualità dell’attivo che la distingue dagli altri istituti», spiega un recente report del Bbva .
A favore dei progetti industriali del management gioca anche la stabilità ritrovata dalla base azionaria dopo la ridefinizione degli accordi parasociali. Il patto light scritto alla fine dello scorso anno garantisce infatti l’indipendenza e la centralità del consiglio di amministrazione e accompagnerà gradualmente il passaggio alla public company. Al momento non sembrano esserci cambiamenti in vista, tanto meno dalle parti di Unicredit che non avrebbe intenzione di dismettere il suo 8,4%. Una posizione giustificata non solo da considerazioni di carattere finanziario, ma soprattutto dalla volontà di presidiare Generali , di cui Mediobanca è ancora vigile custode con il 12,92% del capitale. Anche Vincent Bolloré, uscito dal patto nel settembre scorso ma ancora azionista al 7,9% attraverso la sua Financière du Perguet, non sembra intenzionato a muoversi. Almeno fino a quando valori di carico e di borsa della partecipazione non si saranno allineati.
Quanto alla quota in Generali , nel nuovo piano la questione potrebbe essere impostata in modo molto pragmatico: prima di avviare la discesa verso il 10%, Mediobanca dovrà individuare un asset che le consenta di ottenere il 17% di rendimento oggi offerto da Trieste. Il problema non è di facile soluzione, ma Nagel non ha alcuna fretta. (riproduzione riservata)
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