Più il lavoro è precario, più bisognerebbe versare per costruirsi una pensione di scorta. Un trentenne con carriera continua dovrebbe versare 44 euro al mese; un suo coetaneo, con periodi di inoccupazione, dovrebbe salire a 81 al mese: quasi il doppio. Può sembrare paradossale, ma è una conseguenza del sistema di calcolo contributivo, che non prevede un paracadute quando si verificano momenti di inoccupazione o di diminuzione del reddito.
Più si versa, maggiore sarà la pensione, meno si versa, minore sarà la pensione. Un criterio lineare, che però rischia di complicare ulteriormente le cose per giovani e precari: facciamo qualche esempio. Le simulazioni confrontano cosa dovrebbero fare un trentenne e un quarantenne per poter avere una pensione pari all’80% del proprio reddito: una parte è coperta dall’assegno pubblico e la rimanente da un fondo pensione. Un trentenne dipendente che avesse appena iniziato a lavorare potrebbe prudenzialmente contare su un assegno pensionistico, in ipotesi di continuità lavorativa, pari a circa due terzi — il 66% — del proprio reddito. Per ottenere l’ulteriore 14% potrebbe versare ogni mese 140 in una linea a basso rischio, che scendono a 90 facendosi aiutare da una linea di investimento a rischio medio-alto. Le cose cambiano se si ipotizza una carriera non continua: la pensione pubblica scenderebbe al 61% del reddito e per compensarne il calo bisognerebbe aumentare il versamento mensile a 183 euro o a 118 rispettivamente con un rischio basso o medio-alto. Su un reddito di 1.200 euro netti al mese, un trentenne dipendente dovrebbe quindi accantonare una cifra compresa tra 44 e 140 euro al mese, a seconda del profilo di rischio e della stabilità lavorativa.
Un lavoratore autonomo quarantenne che avesse iniziato a lavorare a 25 anni, con un reddito netto mensile di 1.800 euro, dovrebbe versare una cifra compresa tra 170 euro, necessari in caso di carriera continua e di investimento in un rischio medio-alto, e 321 euro, che permettono di raggiungere l’80% del proprio reddito nonostante una carriera discontinua ed una linea di investimento a basso rischio. Le elaborazioni hanno ipotizzato un buco contributivo ogni decade, a 30, 40 e 50 anni: una situazione non così rara in un mercato del lavoro discontinuo. Mentre si lavora e si può contare su uno stipendio, l’ideale sarebbe accantonarne una parte in una forma di previdenza integrativa.
Gli alleati e le agevolazioni non mancano, sapendo che prima si inizia, meglio è, senza rimandare la propria scelta; il rischio poi, in previdenza, è un prezioso aiuto, soprattutto per chi ha meno risorse da investire. Anche l’organo di vigilanza sui fondi pensione, la Covip ricordava qualche anno fa nella sua relazione annuale che, all’aumentare degli anni di permanenza in un fondo pensione, la probabilità che una linea ad alto rischio faccia meglio di una a basso rischio sfiora il 100% dei casi.
Iniziare presto dunque, scegliendo una linea di investimento coerente con il tempo mancante alla pensione. Senza dimenticare che la normativa fiscale agevola da tanti punti di vista: i versamenti volontari sono deducibili fino a 5.164 euro annui, mentre la tassazione della rivalutazione dei rendimenti e quella finale sulla rendita o il capitale sono agevolate. La minor tassazione finale si ha dopo 35 anni di iscrizione ad un fondo pensione: ecco perché iscrivere i neonati può essere un’ottima idea. Per coloro che infine sono preoccupati dal pensiero di poter aver bisogno anzitempo dei denari versati in un fondo pensione, oltre ai tradizionali anticipi per spese mediche e acquisto o ristrutturazione della casa, esiste la Rita — Rendita integrativa temporanea anticipata — che consente quando mancano cinque anni alla pensione — dieci se si è inoccupati — di prelevare l’intero capitale maturato mantenendo le agevolazioni fiscali. Da qualunque punto la si guardi, tutti, neonati inclusi, dovrebbero iniziare a spostare risorse dall’oggi al domani, al fine di migliorare la propria serenità economica al tempo della pensione. Auguriamoci che dopo aver tanto discusso di quota 100, si ricominci a parlare della necessità di costruirsi una pensione integrativa.
Andrea Carbone
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