La compagnia si candida a rappresentare il vero arbitro dell’operazione Db-Commerz puntando ad acquisire Dws, che opera nell’asset management. Ma senza trascurare le ambizioni di Unicredit
di Vincenzo Beltrani
Se lasciato libero di scegliere avrebbe come sempre preferito defilarsi e rinchiudersi nella sua proverbiale riservatezza. Ma questa volta non è stato possibile. E così Allianz , il gruppo assicurativo più grande del mondo, guidato da Oliver Bate, è dovuto scendere in campo direttamente nella partita che si sta giocando in questo periodo per cercare di portare fuori dalle secche il malconcio sistema bancario tedesco. I tempi della crescita organica passo dopo passo, lontano dai riflettori della ribalta finanziaria, sembrano definitivamente tramontati per il colosso assicurativo di Monaco di Baviera. Allianz , in qualità di modello quasi unico di una finanza germanica funzionante e internazionale, questa volta è dovuta venir meno alla sua indole naturalmente riservata, diretta conseguenza del suo essere prima di tutto un grande assicuratore globale. Del resto, emergere agli onori della cronaca, pronta per un ruolo da protagonista, non è stato per Allianz mai facile come in questo momento. I numeri sono lì a dimostrarlo. Nel 2018 ha realizzato i suoi più alti profitti operativi di sempre in 129 anni di storia, decidendo di distribuire agli azionisti un dividendo maggiorato da 8 a 9 euro e varando il quarto piano di buy back da 1,5 miliardi. I profitti operativi di gruppo sono cresciuti del 3,7% su base annua attestandosi a 11,5 miliardi di euro. E soprattutto, a dimostrazione di una consistenza patrimoniale inscalfibile, c’è il dato tecnico di Solvency 2, immutato anche quest’anno al 229% contro un obiettivo minimo richiesto pari al 180%. Numeri che raccontano una forza innegabile e una salute robusta.
Ma il colosso assicurativo bavarese è anche molto altro nell’immaginario globale. Se Allianz con la fortunata sponsorizzazione dell’Allianz Arena, lo stadio casalingo del Bayer Munich, rappresenta presso il vasto pubblico l’immagine di una Germania vincente, il suo controllo totalitario su Pimco, il gigante californiano con 1,77 triliardi di dollari in gestione rappresenta da anni una spina nel fianco dello strapotere globale finanziario a stelle e strisce. Forte della sua storia e conscia del suo potere, non c’è da stupirsi quindi che oggi Allianz riscopra la verve prussiana delle origini (la società fu fondata a Berlino per poi emigrare a Monaco) e si erga a momento d’ordine di stampo bismarckiano nella più controversa, discussa e criticata operazione di fusione tra due banche dell’ultimo ventennio: quella tra Deutsche Bank e Commerzbank . Un ruolo, seppure informale, di indirizzo nella finanza ed economia tedesca che il colosso assicurativo bavarese svolge non solo con spirito da servitore dello Stato, ma sapendo che il ritorno può essere estremamente vantaggioso: la possibilità di acquisire il controllo di Dws, la società di gestione Deutsche Bank e controllata da quest’ultima per il 78% del capitale. La notizia, partita da un’anticipazione di Bloomberg e circolata con insistenza nelle principali piazza finanziarie del mondo è stata, per il momento, solo parzialmente smentita da Allianz . E secondo il codice linguistico vigente in ambiente finanziario, una mezza smentita se non è proprio una conferma rappresenta comunque una possibilità che potrebbe verificarsi in un futuro neppure troppo lontano.
Del resto, in un’intervista rilasciata al Financial Times, il cfo del gruppo bavarese, Giulio Terzariol, ha confermato che Allianz è a caccia di prede nel settore dell’asset management, a condizione naturalmente che il business si riveli profittevole. E Dws ha tutte le carte in ordine per rivelarsi un proficuo affare per Allianz . Innanzitutto, il dato della massa gestita: la società di gestione del gruppo Deutsche Bank gestisce la considerevole cifra di 662 miliardi di euro. Non una bazzecola in valore assoluto, considerando che Pimco e Allianz Global Investor, il braccio di gestione direttamente controllato dal gruppo, già controllano insieme qualcosa come 2 trilioni (6 mila miliardi) di dollari di massa gestita. E non è tutto. Perché di questi 662 miliardi di euro, un terzo è rappresentato dal reddito fisso, ma 112 miliardi sono investiti in fondi passivi e altri 79 in asset alternativi, tra cui fondi di private equity, hedge fund e real estate. Si tratta di una considerevole massa d’urto, capace di condurre Allianz nei territori ancora inesplorati, ma tendenzialmente molto profittevoli, delle gestioni azionarie e alternative, finora neglette dal gruppo che, nel solco della tradizione gestionale iperconservativa di stampo germanico, vede la quasi totalità dei suoi asset concentrata in strumenti di reddito fisso. Ma di certo, l’eventuale acquisizione di Dws, sebbene per il momento pura speculazione di ambienti bene informati, potrebbe non rivelarsi una passeggiata di salute.
Allianz, chiamata a giocare un ruolo di equilibrio nell’intricata partita bancaria tedesca proprio per l’approccio da sempre cauto e riservato, in piena sintonia con la tradizione della finanza germanica, potrebbe avere la strada non proprio agevolmente spianata. Da superare, ad esempio, le neppure troppo velate resistenze del ceo di DB, Christian Sewing, che ha fatto trapelare nelle scorse settimane più di una perplessità riguardo alla svolta nazional-dirigista impressa sulla fusione tra la banca da lui diretta e Commerzbank . Nel caso si dovesse concretizzare l’ipotesi di M&A da parte di Allianz su Dws, Sewing si troverebbe in un’oggettiva posizione di imbarazzo, avendo più volte pubblicamente espresso di puntare sugli incrementi dei ricavi del segmento AM per puntellare i fragili numeri che da almeno due lustri affliggono il gruppo Deutsche Bank . Inoltre, e non è poca cosa, c’è da considerare che il mercato, segnatamente gli investitori anglosassoni, che hanno già accolto con freddezza la fusione tra le due debilitate banche tedesche, potrebbero mal digerire un’ulteriore cessione dei pochi asset profittevoli del nascente gruppo bancario. E rispondere a eventuali operazioni percepite come di sistema attraverso un progressivo disimpegno azionario dalla nuova entità. Ma Allianz , chiamata dai tempi e dalle circostanze dell’economia tedesca a recitare una nuova parte, conosce i tempi lunghi dei decisori politici quando si occupano di tematiche nevralgiche quale è in primis la rimodulazione del sistema bancario del Paese. I suoi manager di estrazione assicurativa sono cresciuti alla scuola dell’attesa e della prudenza e fanno della pazienza nel business un’arma vincente. Basti pensare che il gruppo bavarese, con un fatturato di gruppo pari a 126,1 miliardi (2017), ha impiegato in operazioni di M&A dal 2016 solo 4 miliardi di euro. Molto pochi, fanno notare gli operatori, per un gruppo proiettato sulla scena internazionale.
I segnali di un rinato attivismo non mancano. Ha destato una certa curiosità per esempio, la notizia, riportata da MF, dell’intervento di Allianz in Unicredit dove, forte di una quota storica benché minima del capitale della banca pari a 0,997% detenuta da una sua finanziaria lussemburghese, il gruppo bavarese ha voluto dire la sua sulla nomina del prossimo collegio sindacale. Un atto puramente formale probabilmente, anche se potrebbe non essere stato secondario in questa decisione il fatto che Pimco sia stato l’unico acquirente del bond da 3 miliardi emesso proprio da Unicredit . Comprensibile e legittimo desiderio di controllo? Forse no. Ma di certo il segnale di un’Allianz più attiva nella difesa dei suoi interessi strategici in giro per il mondo. (riproduzione riservata)
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