L’analisi sui Pir di Antonio Lafiosca (BorsadelCredito.it)
Far confluire i risparmi verso l’economia reale. Da qui passa lo sviluppo futuro del paese. A esserne convinto è Antonio Lafiosca, Chief operating officer di BorsadelCredito.it (operatore italiano di peer to peer lending per le Pmi), secondo cui «gli imprenditori stanno iniziando ad approcciare e apprezzare la finanza alternativa, che è una fonte fondamentale per lo sviluppo finanziario. Siamo ancora lontani dagli altri paesi sviluppati, ma il percorso è tracciato ed esiste una consapevolezza degli strumenti alternativi che puntano sull’economia reale che resta il traino principale del sistema paese.
Allo stesso modo gli investitori devono approcciare in maniera consapevole e senza pregiudizi asset class alternative. Dal nostro punto di vista bisogna diversificare in tante asset class e spostarsi sempre più su strumenti a bassa volatilità legati all’economia reale. Fondi chiusi di direct lending, private debt, i neonati Eltif devono entrare in maniera stabile e con maggior peso nei portafogli degli italiani per un corretto bilanciamento della volatilità».
«La asset class dei Pir, accolta all’inizio del 2017 come un’architettura finanziaria senza precedenti in termini di innovazione e dal futuro certamente luminoso, è stata senza dubbio sopravvalutata», racconta a ItaliaOggi Sette il coo di BorsadelCredito.it, tra i principali operatori di P2P lending, sigla con cui si intende il prestito erogato da privati ad altri privati (o a imprese) attraverso piattaforme online.
Tra i limiti dei Piani individuali di risparmio, prosegue Lafiosca, «c’è il bacino investibile, che è solo una minima frazione della nostra economia reale. Spieghiamo meglio: pur potendo il Pir investire in società non quotate, e pur avendo il vincolo di destinare un 21% del paniere ai titoli fuori dal Ftse/Mib, era prevedibile che si limitasse alle azioni o ai bond più liquidi; parliamo cioè di quelli emessi da società comunque quotate su Star o Aim, in modo che le case d’affari potessero bypassare i costi della ricerca. Dunque, se ci limitiamo alla Borsa, parliamo di 380 aziende su un panorama complessivo che ne conta 4 milioni. Un modo per ampliare questo bacino sarebbe includere il FinTech. A differenza degli Ifisa britannici, sul cui modello pure sono stati creati, i nostri Pir infatti non consentono di investire nel P2P lending.
Anche nell’ultima revisione della normativa», aggiunge Lafiosca, «che ha visto l’ingresso del Venture capital nel comparto, il P2P lending è rimasto una Cenerentola. Nel frattempo tra costi eccessivi dei prodotti e la Borsa in crollo, i piani individuali di risparmio hanno mostrato il loro lato fragile, ovvero come di fatto il beneficio fiscale (la totale esenzione dalle tasse se lo strumento viene detenuto per almeno cinque anni) possa essere completamente eroso da questi effetti collaterali. Il che non toglie che comunque si perda meno che investendo in un fondo tradizionale che non goda del beneficio fiscale: ma tant’è, tra il perdere poco o perdere di più, il risparmiatore sicuramente non ha nulla da festeggiare».
C’è poi un problema legato alla revisione dello strumento, come previsto nella manovra di bilancio: «Sui Pir», spiega Lafiosca, «che hanno masse in gestione di 15 miliardi di euro, grazie alla domanda fortissima delle famiglie italiane, pende una spada di Damocle che rischia di ingessarli completamente. Con le modifiche previste nel testo della legge di Bilancio 2019, infatti, i piani individuali avranno l’obbligo di investire il 3,5% del totale sul mercato quotato dell’Aim e il 3,5% su azioni o fondi di venture capital. Novità che hanno generato opinioni discordanti tra gli operatori del settore.
Alcuni chiarimenti dovranno arrivare con i decreti attuativi previsti entro 120 giorni. Ma nel corso di questi mesi, gli investitori sono orfani di un mercato di prodotti conformi alla nuova normativa. E le case d’affari hanno iniziato a bloccare la sottoscrizione».
Proprio alla luce delle novità contenute nella legge di Bilancio, «nelle intenzioni ci potrebbe essere un buon impatto su alcune asset class alternative, sperando che presto si trovi il giusto compromesso tra liquidità e possibilità di deployment dei capitali raccolti. Dal nostro punto di vista pensiamo che si possa ancora migliorare includendo una quota parte dei fondi alternativi che investono direttamente nei bilanci delle imprese italiane, cioè il direct lending.
Bisogna diversificare in tante asset class e spostarsi sempre più su strumenti a bassa volatilità legati all’economia reale» dice ancora Lafiosca, «Comprendiamo l’intenzione del legislatore e la apprezziamo, perché riconosciamo il tentativo di favorire la crescita del segmento delle pmi e delle start-up, ma», conclude Lafiosca, «come al solito, si rischia di fare un nuovo errore nell’attuazione. Sia perché, ancora una volta, si esclude il cuore pulsante dell’economia fatta delle micro imprese, ignorando il P2P lending, sia perché si sottovaluta che, mentre le banche continuano a stringere le maglie del credito, c’è un esercito di innovazione che avanza e che sostiene le imprese che necessitano di liquidità».
© Riproduzione riservata
Fonte: