La formulazione dell’articolo 2051 c.c. (ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito) evidenzia chiaramente che:
– la responsabilità ex articolo 2051 c.c., postula la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa;
– a integrare la responsabilità è necessario (e sufficiente) che il danno sia stato cagionato dalla cosa in custodia, assumendo rilevanza il solo dato oggettivo della derivazione causale del danno dalla cosa, mentre non occorre accertare se il custode sia stato o meno diligente nell’esercizio del suo potere sul bene, giacché il profilo della condotta del custode è del tutto estraneo al paradigma della responsabilità delineata dall’articolo 2051 c.c.;
– ne consegue che il danneggiato ha il solo onere di provare l’esistenza di un idoneo nesso causale tra la cosa e il danno, mentre al custode spetta di provare che il danno non è stato causato dalla cosa, ma dal caso fortuito, nel cui ambito possono essere compresi, oltre al fatto naturale, anche quello del terzo e quello dello stesso danneggiato;
– si tratta, dunque, di un’ipotesi di responsabilità oggettiva con possibilità di prova liberatoria, nel cui ambito il caso fortuito interviene come elemento idoneo a elidere il nesso causale altrimenti esistente fra la cosa e il danno;
– resta dunque fermo che, prospettato e provato dal danneggiato il nesso causale tra cosa custodita ed evento dannoso, la colpa o l’assenza di colpa del custode rimane del tutto irrilevante ai fini dell’affermazione della sua responsabilità ai sensi dell’articolo 2051 c.c.;
– quanto ai criteri di accertamento del nesso causale, va richiamato il consolidato orientamento di legittimità secondo cui:
– ai fini dell’apprezzamento della causalità materiale nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, va fatta applicazione dei principi penalistici di cui agli articoli 40 e 41 cp., sicché un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (cd. teoria della condicio sine qua non);
– tuttavia, il rigore del principio dell’equivalenza delle cause, posto dall’articolo 41 c.p. (in base al quale, se la produzione di un evento dannoso è riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi a ognuna di esse efficienza causale), trova il suo temperamento nel principio di causalità efficiente – desumibile dal capoverso della medesima disposizione – in base al quale l’evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all’autore della condotta sopravvenuta ove questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto;
– al contempo, neppure è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all’interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che appaiano idonee a determinare l’evento secondo il principio della cd. causalità adeguata o quello similare della cd. regolarità causale, che individua come conseguenza normale imputabile quella che – in base alla regolarità statistica o ad una probabilità apprezzabile ex ante (ancorché riscontrata con una prognosi postuma) – integra gli estremi di una sequenza costante dello stato di cose originatosi da un evento iniziale (sia esso una condotta umana oppure no), che ne costituisce l’antecedente necessario.
Tutto ciò che non è prevedibile oggettivamente ovvero tutto ciò che rappresenta un’eccezione alla normale sequenza causale, integra il caso fortuito, quale fattore estraneo alla sequenza originaria, avente idoneità causale assorbente e tale da interrompere il nesso con quella precedente, sovrapponendosi a essa ed elidendone l’efficacia condizionante.
E’ pacifico che il caso fortuito può essere integrato dalla stessa condotta del danneggiato (che abbia usato un bene senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo) quando essa si sovrapponga alla cosa al punto da farla recedere a mera occasione o teatro della vicenda produttiva di danno, assumendo efficacia causale autonoma e sufficiente per la determinazione dell’evento lesivo, così da escludere qualunque rilevanza alla situazione preesistente.
Quando, poi, la condotta del danneggiato non assuma i caratteri del fortuito, così da elidere il rapporto causale fra cosa e danno, residua comunque la possibilità di configurare un concorso causale colposo, ai sensi del primo comma dell’articolo 1227 c.c. (applicabile anche in ambito di responsabilità extracontrattuale, in virtù del richiamo compiuto dall’articolo 2056 c.c.), che potrà essere apprezzato – al pari del fortuito – anche sulla base di una valutazione officiosa.
Quanto più la situazione di possibile pericolo sia suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso.
Se è vero, infatti, che il riconoscimento della natura oggettiva del criterio di imputazione della responsabilità custodiale si fonda sul dovere di precauzione imposto al titolare della signoria sulla cosa custodita, in funzione di prevenzione dei danni che da essa possono derivare, è altrettanto vero che l’imposizione di un dovere di cautela in capo a chi entri in contatto con la cosa risponde a un principio di solidarietà (ex articolo 2 Cost.), che comporta la necessità di adottare condotte idonee a limitare entro limiti di ragionevolezza gli aggravi per i terzi, in nome della reciprocità degli obblighi derivanti dalla convivenza civile.
Tanto premesso, deve rilevarsi come la Corte territoriale abbia negato la responsabilità del custode dopo avere escluso la sussistenza di un nesso di causa e dopo avere individuato nella incauta condotta della danneggiata la causa da sola idonea a produrre l’evento e a interrompere qualunque rapporto con la condizione della strada, integrando pertanto gli estremi del caso fortuito.
La Corte territoriale, per quanto detto, ha valorizzato la concreta possibilità per l’utente di percepire e prevedere con la ordinaria diligenza la situazione di pericolo che risultava evidente e che escludeva la configurabilità dell’insidia.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, 30 ottobre 2018 n. 27724