Grazie all’Opzione Donna alcune lavoratrici possono contare su un ritiro che scatta ben sette anni prima del termine. Mentre con quota 100 gli uomini ottengono uno sconto di cinque anni. Chi può approfittarne davvero?
di Roberta Castellarin e Paola Valentini
Il 2019 ha portato una raffica di novità sul fronte della previdenza. Il cantiere è stato riaperto con l’introduzione di Quota 100 contenuta nel decreto legge approvato il 17 gennaio, che ha introdotto anche il reddito di cittadinanza. La riforma Fornero non scompare anche perché la misura è sperimentale. Durerà per il triennio 2019 al 2021 con una platea di lavoratori interessati che il governo stima siano 1 milione circa per una spesa attorno ai 22 miliardi di euro.
Ora la manovra complessiva, che contiene anche la cosiddetta opzione donna, dovrà passare al vaglio del Parlamento. Ma intanto i lavoratori iniziano a fare i conti con la riforma e le opportunità che offre per uscire prima dal lavoro. Proprio per capire le novità MF-Milano Finanza ha chiesto alla società di consulenza Progetica un’elaborazione sulle nuove età di pensionamento con quota 100 e l’opzione donna Rispetto alle ipotesi circolate prima di Natale, quando è stata varata la legge di bilancio 2019, ci sono state alcune modifiche.
Nel confronto con le precedenti elaborazioni, basate sulle vecchie bozze di decreto, oggi sono non si parla più di quota 41, e l’aumento per la speranza di vita è stato bloccato per le pensioni anticipate solo fino al 2026 e dal 2027 ricomincia. Non solo. L’aumento per la speranza di vita è congelato per quota 100, che però è temporanea dal 2019 al 2021 (con la clausola di salvaguardia). Ritorna, inoltre, l’opzione donna, per le dipendenti nate entro il 1960 e le autonome entro il 1959, a patto di avere 35 anni di contribuzione. Si tratta di un provvedimento che permette alle lavoratrici di andare in pensione prima: entro il 31 dicembre 2018 devono aver compiuto 58 anni se dipendenti e a 59 anni se autonome, con un monte anzianità pari a 35 anni.
Si aprono le finestre. Da segnalare anche che per contenere i costi della riforma sono state introdotte finestre sia per quota 100, sia per la pensione anticipata, sia per opzione donna. Il prepensionamento per la quota 100 partirà nel mese aprile 2019, e riguarderà coloro i quali abbiano almeno 62 anni d’età con 38 di contributi.
In particolare chi ha maturato i requisiti entro il 2018, potrà accedere dal 1° aprile 2019 se lavora nel settore privato, dal 1° agosto 2019 per i dipendenti nel settore pubblico (per questi ultimi la data di maturazione dei requisiti deve avvenire entro l’entrata in vigore del decreto che scatta con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ancora non avvenuta) e dal 1° settembre per il personale della scuola (per allineare l’uscita all’inizio dell’anno scolastico e non lasciare in corso d’anno le cattedre scoperte).
I lavoratori del settore privato che invece matureranno i requisiti a partire dal 1° gennaio 2019 andranno in pensione tre mesi dopo, quelli del settore pubblico che li raggiungono dopo l’entrata in vigore del decreto si potranno ritirare dopo sei mesi, e sempre dal inizio settembre lo potranno fare i dipendenti scolastici. Il provvedimento copre i lavoratori che toccheranno quota 100 entro fine 2021.
In sostanza la fatidica soglia si deve raggiungere con un’età minima di 62 anni, a quell’età bisogna poi aver accumulato almeno 38 anni di contributi. Questo è l’unico caso in cui si può uscire se la somma tra le due variabili fa 100. In tutte le altre combinazioni di ritiro anticipato anche se matematicamente si tocca (o si supera) quota 100 non è permesso andare via. Si potrà andare via dal lavoro a 63 anni e 39 di contributi, ma non anticipare a 61 anni e 39 (o 40-41) di contributi. Chi non rispetta questi parametri dovrà quindi attendere i requisiti standard, ovvero il canale della pensione di vecchiaia dei 67 anni di età con almeno 20 di contributi oppure quello della cosiddetta pensione anticipata cui si può accedere con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi per le donne) e una finestra di tre mesi. Con un’avvertenza: mentre il primo requisito (età a 67 anni) salirà nei prossimi anni perché resta agganciato alla speranza di vita, il secondo, l’anzianità contributiva, è stata congelato dal decreto fino al 2026. Per opzione donna le finestre sono le più ampie: 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.
Chi rientra nella flessibilità. La tabella elaborata da Progetica, che incrocia anno di nascita ed età di inizio contribuzione, include le finestre. Ed evidenzia tramite i colori la distribuzione dei requisiti: in rosso quota 100 per i nati e le nate negli anni 50, in azzurro opzione donna per le nate sempre negli anni 50, in verde la pensione anticipata per chi ha iniziato a lavorare entro i 24-25 anni, con continuità lavorativa, e in giallo pensione di vecchiaia per tutti gli altri (per i quali la riforma di questo inizio 2019 non ha modificato nulla). Ma ovviamente l’anticipo ha un costo che nel caso della previdenza è rappresentato dal taglio dell’assegno.
Il prezzo dell’anticipo. Anche se le generazioni che ricadono nella possibilità di utilizzare quota 100 il sistema di calcolo delle pensioni è prevalentemente retributivo, va detto che comunque una quota di contributivo è prevista dato che quest’ultimo sistema è stato esteso a tutti i lavoratori dalla riforma Fornero a partire dal 2012. E, come noto, nel contributivo il montato è legato all’entità di versamenti effettuati durante tutto l’arco della carriera. Quindi meno si versa meno si otterrà. C’è anche da considerare l’anticipo prevede un coefficiente di conversione del montante accumulato in rendita più sfavorevole rispetto a quello applicato a chi va in pensione con i requisiti standard (quindi a 67 anni) perché lo Stato, sulla base delle attese di vita, gli dovrà pagare l’assegno per un numero maggiore di anni.
«A fronte del beneficio di poter anticipare rispetto alla riforma Fornero, per quota 100 fino a oltre cinque anni, per opzione donna fino a quasi sette anni, il rovescio della medaglia è il calo dell’assegno pensionistico e della ricchezza a vita media», afferma Andrea Carbone di Progetica.
Secondo le elaborazioni «per quota 100 le riduzioni dell’assegno possono arrivare fino al 15%, mentre se si considera la perdita a vita media si supera il 20%. Per opzione donna, complice il ricalcolo contributivo, la situazione peggiora: il taglio dell’assegno può arrivare fino al 33%, mentre la ricchezza a vita media può calare anche del 40%. Come sempre, prima di approfittare di una delle nuove possibilità messe a disposizione per anticipare il momento della pensione, bisogna fare bene i conti, valutando la propria situazione lavorativa, familiare, di salute e i propri progetti di vita», avverte Carbone.
Obiettivo 38 o 35. Un altro tema in campo oltre a quello dell’analisi costi/benefici è quello di accumulare abbastanza anni contributivi per poter accedere al provvedimento. Infatti per usufruire di Quota 100 i lavoratori dovranno avere almeno 38 anni di contributi quando si presenta la domanda, mentre per l’opzione donna sono richiesti 35 anni di contributi a fine 2018.
Per gli uomini il primo punto da verificare è se si è chiesto l’accredito del servizio militare. Mentre per chi ha una laurea si può ipotizzare il riscatto degli anni di università. Questa strada comporta, però, degli oneri e quindi il costo del riscatto va tenuto in conto quando di confrontano oneri e benefici. Le agevolazioni previste infatti in manovra per recuperare gli anni dell’università riguardano infatti soltanto i lavoratori più giovani, quelli che cadono interamente nel sistema contributivo.
È poi importante considerare tutta la propria storia contributiva e chiedere il cumulo contributivo, collegando i periodi di versamento nei diversi tipi di gestione assicurativa Inps, ex Inpdap, Enpals, Artigiani e Commercianti, inclusa la gestione separata. Non vale, però, il caso in cui si sia versato in più casse contemporaneamente, i periodi devono essere distinti. Se questa strada è gratuita non è così per quella della ricongiunzione con altri tipi di casse. Chi ha dei periodi maturati all’Inps e altri in casse professionali per cumulare gli anni dovrà ricorrere alla ricongiunzione delle posizioni nell’Inps e questa operazione ha un costo.
L’Inps spiega che «l’onere viene determinato in relazione alla collocazione temporale dei periodi ricongiunti e alla loro valutazione ai fini pensionistici. L’importo da pagare viene notificato dall’Inps con il provvedimento di accoglimento della domanda di ricongiunzione». Sempre l’Inps ricorda inoltre che: «La ricongiunzione dei contributi provenienti dalle gestioni speciali dei lavoratori autonomi avviene sempre con pagamento di un onere da parte del richiedente. In questo caso, la facoltà di ricongiunzione può essere esercitata a condizione che l’interessato possa far valere, successivamente alla cessazione dell’attività come lavoratore autonomo, almeno cinque anni di contribuzione in qualità di lavoratore dipendente, in una o più gestioni pensionistiche obbligatorie». (riproduzione riservata)
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