Secondo la larga maggioranza della comunità scientifica l’aumento delle temperature medie del pianeta di 2°C rappresenterebbe il “tipping point” climatico, ovvero il punto di non ritorno che andrebbe ad accelerare una serie di eventi che andrebbero a compromettere l’equilibrio climatico.
Lo scenario legato al global warming parla di scioglimento delle calotte glaciali, collasso della circolazione oceanica nordatlantica, fino al possibile rilascio del metano attualmente ben custodito nel permafrost siberiano.
Le prime avvisaglie dell’aumento delle temperature si sono già fatte sentire. Secondo l’ESAC, il consiglio delle accademie scientifiche d’Europa, le alluvioni e gli eventi piovosi estremi sono aumentati di oltre il 50% negli ultimi 10 anni e il loro ritmo è quattro volte superiore rispetto al 1980. Raddoppiati negli ultimi 30 anni anche le ondate di caldo e i casi di siccità, con un forte picco negli ultimi cinque anni. Non si salva nessuno, neanche nel nostro Paese. L’’Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale (Ispra) ha infatti rilevato un aumento tendenziale delle anomalie climatiche in tutte le regioni italiane e la persistenza di condizioni di siccità in diverse parti della penisola.
Il Centro Comune di Ricerca (Joint Research Centre – JRC), ovvero il servizio scientifico della Commissione Europea che ha l’obiettivo di fornire un supporto tecnico indipendente e scientifico alle politiche dell’UE al momento della loro definizione, ha cercato di valutare gli effetti sull’Europa del global warming.
L’analisi si è focalizzata su 11 diverse categorie di impatto: inondazioni costiere, inondazioni fluviali, siccità, agricoltura, energia, trasporti, risorse idriche, perdita di habitat, incendi boschivi, produttività del lavoro e mortalità correlata al calore.
Dallo studio emerge subito una netta separazione tra nord e sud Europa. Saranno infatti i paesi dell’Europa meridionale, soprattutto quelli dell’area mediterranea, compresa l’Italia, a subire maggiormente le conseguenze del riscaldamento climatico rispetto agli Stati del nord Europa.
Ciò significa un crescente numero di decessi legati alle ondate di calore, impatti sulle risorse idriche, perdita di habitat, aumento della domanda di energia per la climatizzazione e un incremento degli incendi boschivi.
Dal punto di vista numerico si stimano 132.000 vittime all’anno e un calo della produttività del lavoro del 10-15% in alcune aree dell’Europa meridionale.
Il settore economico maggiormente in sofferenza è quello dell’agricoltura. L’innalzamento delle temperature medie e massime sommato agli squilibri meteorologici influenzeranno la geografia delle culture e delle tecniche agricole, causando inoltre l’abbandono di crescenti porzioni di territorio, divenute oramai incoltivabili a causa della canicola o della siccità.
Tuttavia, i contraccolpi del riscaldamento globale sui mercati internazionali delle commodities agricole, che prevedibilmente spingeranno le quotazioni di riferimento verso l’alto, offriranno al tessuto produttivo italiano opportunità di mitigare gli effetti sull’ industria agroalimentare nazionale. Non è difficile prevedere, però, che questa opportunità sarà appannaggio esclusivo dei grandi produttori, capaci di mettere sul piatto le risorse necessarie alla continua riqualificazione del settore, mentre i piccoli produttori rimarranno schiacciati in un mercato sempre più complesso dinamico e competitivo. Sulla base delle proiezioni del Jrc e di Coldiretti, che valuta in 14 miliardi di euro i danni causati nell’ultimo decennio dal cambiamento climatico all’agricoltura italiana, è possibile stimare costi per l’economia nazionale compresi tra 20 e 30 miliardi di euro entro il 2030.
Tra i settori economici che subiranno i maggiori contraccolpi, infine, non si può non menzionare quello turistico e soprattutto il segmento invernale, che vale circa 10 miliardi di euro l’anno. L’aumento delle temperature e la drastica riduzione delle precipitazioni nevose stanno già mettendo in crisi numerosi impianti sciistici e minacciano di colpire anche il segmento balneare, a causa dell’eccesivo innalzamento delle temperature. Complessivamente, perciò, è possibile prevedere che già nel corso del prossimo decennio le conseguenze del cambiamento climatico costeranno all’economia italiana diverse decine di miliardi di euro. Riuscire a mitigare questi contraccolpi non è solo un dovere morale nei confronti delle future generazioni, ma anche una priorità strategica per l’economia nazionale.
Secondo gli scienziati i livelli del mare cresceranno lungo le coste europee, con un conseguente aumento di 5 volte dei danni provocati dalle alluvioni costiere; sempre più persone, inoltre, saranno esposte al rischio delle inondazioni i cui danni verrebbero a costare fino a 17,5 miliardi di euro l’anno.