di Bernadette Dessalvi e Luciana Camizzi, membri commissione di studio Ungdcec «gli organismi
Il contratto di finanziamento comunemente noto come «cessione del quinto» è un contratto a formazione complessa che riunisce in contemporanea un atto di cessione del credito e un rapporto di prestito. L’istituto rappresenta una particolare tipologia di prestito personale da estinguersi attraverso la cessione di quote dello stipendio o della pensione fino al quinto dell’ammontare dei medesimi valutati al netto di ritenute. L’espressione cessione del quinto discende dalla circostanza che l’importo massimo della rata di rimborso del prestito non può superare il valore di 1/5 dello stipendio mensile netto. Il termine massimo della durata contrattuale non può comunque oltrepassare il termine naturale del rapporto di lavoro. Nella sostanza il contratto di cessione del quinto è un rapporto avente ad oggetto la cessione di crediti futuri ovvero di crediti che si trasferiranno a titolo definitivo nella sfera patrimoniale del cessionario solamente nel momento in cui verranno a esistenza; in altre parole fino all’effettivo realizzarsi del credito, la cessione non produrrà tra le parti l’effetto traslativo del contratto. Ciò premesso, un aspetto rilevante con riferimento a tali contratti riguarda la loro sorte in seno alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento ex legge 3/2012. È tutt’altro che rara infatti la presenza di una società cessionaria del credito futuro all’interno del piano di composizione della crisi e ci si domanda, pertanto, quale debba essere il trattamento riservato a tale tipologia di credito in funzione della natura concorsuale del procedimento e del rispetto del principio della par condicio creditorum. Partendo da tali presupposti sembrerebbe naturale conseguenza dell’assoggettamento al principio di parità di trattamento dei creditori sottoporre il cessionario del quinto alla stessa falcidia prevista per i crediti di natura chirografaria. La questione però non risulta automatica e scevra da interpretazioni contrastanti. In ordine alla efficacia ed opponibilità delle cessioni di credito stipulate dal sovraindebitato si è determinata una divergenza di opinioni, in giurisprudenza.
Alcune pronunce (tribunale di Pistoia, 27/12/2013 e 23/2/2015, tribunale di Livorno, 20/2/2017, tribunale di Lucca 26/2/2018) hanno sottolineato che la cessione del quinto dello stipendio o della pensione ha per oggetto un credito futuro, che sorge solo nel momento in cui diviene esigibile il rateo; pertanto, finché il credito non viene ad esistere, la cessione ha efficacia meramente obbligatoria e la titolarità di quanto ceduto rimane nella disponibilità del cedente ed è lecitamente utilizzabile nelle procedure di composizione della crisi, le quali sospendono l’efficacia della cessione con effetto risolutivo al momento dell’omologa del piano (tribunale di Siracusa 17/6/2017, tribunale di Torino 8/6/2016). Stesso orientamento, il tribunale di Grosseto, 9/5/2017, per cui «la natura concorsuale del procedimento e la necessità di applicare la par condicio creditorum renderebbe incoerente, dal punto di vista sistematico, non assoggettare anche il cessionario del quinto ad una eventuale riformulazione dell’adempimento al pari degli altri creditori chirografari». Posizione diversa per il tribunale di Monza (26/7/2017) il quale considera la cessione, validamente stipulata, vincolante per le parti, mentre l’art. 169 l.f., norma speciale, non può essere applicato, essendo il contratto non pendente; richiamando l’art. 2918 c.c., equipara il decreto di omologa all’atto di pignoramento e conclude che «la cessione di crediti futuri e la conseguente sottrazione di tali risorse alla disponibilità del debitore ai fini della ristrutturazione del proprio debito, sia tutelabile nel termine di tre anni dall’omologa, dovendo poi lasciare il passo all’efficacia conformativa del piano». In merito alla qualifica del credito, il tribunale di Monza riconosce il rango privilegiato in forza della cessione. Il tribunale. di Lucca individua due componenti nel finanziamento:
1) una del debitore nei confronti della finanziaria, di natura chirografaria;
2) una della finanziaria nei confronti del datore di lavoro, di natura privilegiata.
Il dibattito giurisprudenziale dovrebbe essere risolto con l’approvazione della prospettata «Riforma Rordorf», che, allo stato, parrebbe definire in maniera univoca la «cessione» del quinto, superando l’indirizzo più restrittivo di taluni tribunali. Poiché l’operazione rappresenta un mandato all’incasso a scopo di garanzia, e non un titolo di prelazione che possa essere fatto valere dal creditore, dovrebbero quindi essere liberamente acquisibili, a beneficio della massa dei creditori, i quinti futuri di stipendio, tfr o pensione, mentre il debito per finanziamento dovrebbe confluire tra le passività con rango chirografario.
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