Nei bilanci semestrali delle compagnie la tensione sui Btp ha provocato tagli del Solvency II che hanno superato i 90 punti La volatilità dei bond continua e ora le imprese chiedono uno scudo
di Anna Messia.
C’è chi ha visto scendere il proprio indice di solvibilità di oltre 90 punti percentuali in un colpo solo. Le tensioni sullo spread Btp-Bund hanno già lasciato un evidente segno sugli ultimi bilanci presentati dalle compagnie di assicurazione italiane. Gli effetti sono stati ovviamente più pesanti per chi nei titoli del debito pubblico italiano ha messo una fetta ampia dei propri investimenti, come Poste Italiane (94 punti), il cui portafoglio è per il 60% occupato da Btp. E un taglio netto è stato registrato anche da chi ha scadenze obbligazionarie più lunghe, tipicamente operatori più esposti nel ramo Vita (come Cattolica Assicurazioni ) rispetto a chi ha un peso maggiore nel ramo Danni. È il caso per esempio di UnipolSai , che a parità di esposizione in Btp rispetto a Cattolica (37% del portafoglio) ha visto scendere il suo Solvency II di soli 9 punti rispetto ai 39 della compagnia di Verona. In ogni caso per tutte le assicurazioni italiane ci sono state evidenti ricadute negative legate allo spread, che da fine 2017 allo scorso giugno è passato da 128 a 238 punti, con un incremento di 110 punti conseguente al momento di incertezza legato all’insediamento del nuovo governo a guida M5S-Lega. Va poi considerato che le nuove tensioni che si stanno registrando in attesa del nuovo quadro dei conti pubblici e della legge di Bilancio del prossimo autunno hanno avuto l’effetto di alzare ulteriormente l’allarme. Da giugno ad oggi c’è stato un aumento di altri 50 punti, con il differenziale dei Btp rispetto ai titoli tedeschi che venerdì 31 agosto, in attesa del verdetto di Fitch sul rating dell’Italia, ha rotto la soglia dei 290 punti. Quei tagli agli indici di solvibilità registrati dalle imprese di assicurazione nella prima parte dell’anno sono quindi evidentemente destinati a proseguire e ad emergere nel prossimo bilancio trimestrale. Ad alzare l’allarme prima dell’estate sull’effetto spread erano state proprio le assicurazioni; la presidente di Ania, Maria Bianca Farina, durante l’assemblea annuale dell’associazione aveva chiesto al regolatore uno scudo per difendersi meglio dalle fluttuazioni dello differenziale. «Il rischio è che a farne le spese siano i rendimenti corrisposti ai nostri 20 milioni di clienti», aveva detto Farina.
Il dialogo a livello europeo sembra aperto. Sul tavolo, come ha spiegato di recente il presidente dell’Ivass e direttore generale di Banca d’Italia Salvatore Rossi, c’è la revisione dello strumento «dell’aggiustamento della volatilità» (volatility adjustment) previsto dalla normativa europea Solvency II, che serve appunto a limitare i danni legati a crisi momentanee ma che ha finora penalizzato le imprese italiane con meccanismi non lineari. In Europa si stanno ridiscutendo quelle norme e Ivass è pronta a lavorare per correggere le disparità tra i Paesi, ha fatto sapere Rossi. «Ci aspettiamo e lavoreremo per ottenere correttivi che incidano sull’obiettiva complessità del sistema, sulle eccessive oscillazioni misurate nella solvibilità di una compagnia a causa della volatilità dei mercati finanziari, sul fatto che il campo da gioco non è livellato, cioè che le norme scritte per tutti non vengono applicate in modo uniforme nei vari Paesi europei», ha detto Rossi durante l’ultima relazione Ivass.
Le richieste dell’Ania, in verità, andrebbero oltre la revisione dell’aggiustamento della volatilità. In ballo c’è anche una ridefinizione delle regole sui bilanci nazionali, quelli su cui le imprese pagano i dividendi e le cui regole in Italia sembrano decisamente più stringenti rispetto per esempio a quelle di Francia o Germania, sostengono le imprese. L’idea sarebbe in particolare quella di rimettere in campo misure per sterilizzare gli effetti delle volatilità, adattandole al nuovo scenario. Si tratta di misure che erano state introdotte per la prima volta nel 2008, all’inizio della Grande Crisi, ma che non sono poi state rinnovate con l’arrivo di Solvency II, entrata in vigore nel 2016. Ora l’industria vorrebbe rispolverarle, ovviamente solo per i bilanci locali visto che per quelli di gruppo ci sono appunto le normative europee.
Intanto però c’è da fare i conti con il nuovo scenario di volatilità, cercando di prendere le contromisure. Una strategia da perseguire potrebbe essere quella di ridurre l’esposizione delle assicurazioni italiane ai titoli pubblici del Paese, che in Italia resta decisamente più alta rispetto al resto d’Europa: oggi degli 850 miliardi di investimenti complessivi del settore oltre 300 sono in titoli di Stato italiani, ovvero più del 15% dello stock in circolazione, e, come visto, ci sono diverse imprese che superano il 50%. «Ma si tratta di una manovra che richiede tempi lunghi», osserva Stefano Carlino, founding partner di Carlino, Costanzo & Associati, società di consulenza specializzata nel settore assicurativo. «Le imprese devono continuare nel percorso di gestione attiva del Solvency Ratio, non limitandosi a misurarlo periodicamente ma comprendendone dinamiche e sensitività nel business di tutti i giorni».
In ogni caso non sembrano esserci rischi per la stabilità del settore. Anche dopo i tagli agli indici Solvency II provocati dalla ripresa dello spread le compagnie continuano ad avere risorse adeguate, ben al di sopra del 100% che rappresenta il minimo richiesto dal regolatore. A monitorare la situazione caso per caso sarà Ivass, come ha ribadito in più occasioni lo stesso Rossi. Ma la sensazione è che i tagli agli indici della solvibilità potrebbero avere piuttosto ripercussione sulla strategia e sui piani industriali delle assicurazioni. Il nuovo sistema che nel 2016 ha sostituito Solvency I ha avuto la fortuna di prendere avvio in un momento positivo per i mercati, ma ora «con la crescita dello spread si sta toccando con mano quanto quegli indici possano rivelarsi volatili», continua Carlino. In altri termini, la volatilità potrebbe mettere a rischio la crescita organica delle compagnie perché i manager «al momento della messa a punto dei piani industriali devono mettere in conto il buffer di capitale erodibile in caso di volatilità, che non potrà di conseguenza essere messo al servizio della crescita dei premi». In pratica si tratta di un costo implicito per le imprese che gli assicuratori devono riuscire a calcolare con precisione per redigere i business plan.
Eppure il settore assicurativo potrebbe anche ottenere qualche vantaggio dalla ripresa dello spread e dei rendimenti dei titoli di Stato. Tassi più alti sui Btp potrebbero riportare appeal sulle polizze tradizionali che negli ultimi tempi, proprio a causa dei bassi rendimenti, hanno dovuto lasciare la scena alle unit. (riproduzione riservata)
Fonte: