La Corte di cassazione scende in campo a difesa di una maestra definita «un mostro»
di Giuseppe Mantica
Il genitore che si permette di offendere il docente del figlio paga per i danni provocati. Deciso monito contro i maldicenti scolastici da parte della Corte di cassazione che ha accolto il ricorso di una professoressa presa di mira dal padre di un alunno, spalleggiato da alcuni genitori, riconoscendole il diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali (morali, esistenziali) con l’ordinanza n. 9059 assunta dalla terza sezione il 14 febbraio 2018 e pubblicata il 12 aprile scorso.
Gli avvenimenti risalgono a molti anni fa in terra toscana e le accuse mosse contro la docente comportarono, anche, un processo penale per lesioni personali e maltrattamenti che tuttavia si risolse con piena assoluzione dell’insegnante per insussistenza dei fatti. Un mostro: con questa qualificazione il genitore aveva imputato alla professoressa del figlio una serie di comportamenti contrari di doveri di ufficio e di gravi atteggiamenti nei confronti degli allievi. Tanto era avvenuto durante una riunione con altri genitori, alcuni dei quali avevano seguito le teorie dell’accusatore e altri invece se ne erano contrapposti.
Non solo, ma il genitore che definiva l’insegnante anche come «soggetto poco raccomandabile» inviava una serie di lettere al preside della scuola e perfino un fax, apparentemente proveniente dal figlio, nel quale denunciava di avergli dato del pazzo e di averlo umiliato davanti alla classe, di dire parolacce e di essere lei maestra una bugiarda.
Tutte queste accuse, pur sfociate nel procedimento penale, condussero la scuola a adottare una serie di misure, anche gravi, nei confronti della maestra: la richiesta e l’esecuzione di una valutazione psichiatrica medico-legale sulla docente, la sospensione dal servizio e il trasferimento d’ufficio ad altra sede. Conseguenze tutte derivanti dai ripetuti attacchi del genitore, che poi si dimostrarono completamente infondati e inventati, ma che ebbero, sulla salute e sulla esistenza personale e professionale della docente, effetti dannosi. Atti che, i giudici di Piazza Cavour, senza esitazione definiscono come «comportamenti univocamente e pervicacemente intesi a ledere l’onore, il prestigio e la stessa dignità dell’insegnante» e che vanno intesi in via diacronica (ossia nel loro svolgersi durante i tempi di attuazione) sì da intuire il progetto persecutorio messo in atto.
La funzione giurisdizionale ha il dovere, nel seguire la legge, di sorveglianza sull’attualità così da cogliere, vigilare e intervenire su quegli elementi che manifestano distorsioni nel percorso storico, non assistite e non conformi ai valori etico-costituzionali.
Il giudice «non può e non deve ignorare il preoccupante clima di intolleranza e di violenza, non soltanto verbale, nel quale vivono oggi coloro cui è demandato il processo educativo e formativo delle giovani e giovanissime generazioni». Un riconoscimento che fa onore, da un verso, alla classe docente alla quale è affidato il futuro della società, e dall’altro alla magistratura che, più degli altri poteri, dà significativo esempio di voler riconoscere la nobiltà del ruolo dell’insegnamento.
Sulla scorta di queste complessive analisi l’ordinanza rimette la valutazione equitativa del danno da risarcire alla Corte di appello di Firenze che dovrà ritenere come le circostanze di causa hanno cagionato un grave e duraturo sentimento (emotivo e relazionale) di disistima, di vergogna e di sofferenza nella maestra.
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