Conta il luogo di consumazione del reato presupposto
di Christina Feriozzi

Per l’applicabilità della normativa 231 vale il luogo di consumazione del reato presupposto. Se questo è commesso in Italia sussiste, per il principio di territorialità, la giurisdizione italiana anche per l’illecito amministrativo dell’ente. Ciò a prescindere dall’esistenza o meno nel paese di appartenenza di norme analoghe o dalla presenza di sedi societarie in Italia. È quanto si evince dal «Caso» Assonime n.2/2018 recante: La responsabilità da reato degli enti con sede all’estero.

Il caso di specie. Il documento Assonime ha preso le mosse dalla pronuncia del Tribunale di Lucca del 31/7/17, n.222 che ha esaminato la vicenda, accaduta nel 2009, quando un treno merci deragliò presso la stazione di Viareggio ed a causa della fuoriuscita da uno dei carri cisterna di gas di petrolio, causò un incendio e l’esplosione di tre palazzine, provocando la morte di trentatré persone. Nel processo, oltre alla posizione delle società italiane Trenitalia e Ferrovie dello Stato, i giudici hanno esaminato anche il ruolo assunto da altre società estere che, pur non avendo né una sede né uno stabilimento nel nostro Paese, hanno operato indirettamente in Italia, dando in locazione i carri cisterna e occupandosi della manutenzione degli stessi. Il punto all’attenzione dei giudici era di accertare se sussistesse per queste società, con sede all’estero, la responsabilità amministrativa derivante dall’applicazione dell’articolo 25 septies del dlgs 231/01, che estende agli enti la responsabilità per il reato di omicidio colposo e lesioni gravi derivanti da violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro. A riguardo, rileva Assonime, i giudici si chiedono se sia possibile assoggettare alla nostra giurisdizione società estere che in Italia non hanno alcuna sede, né principale né secondaria. Ciò in quanto l’art. 4 del dlgs 231/01 prevede le ipotesi di responsabilità degli enti con sede principale nel territorio nazionale in relazione ai reati commessi all’estero, senza fare alcun riferimento all’ipotesi inversa.

L’attribuzione di responsabilità. Le condotte negligenti erano accertate a carico degli imputati che operavano all’interno delle società «in ruoli diversi ma comunque idonei ad impegnarle»ai sensi del dlgs. 231/01, con ciò integrando il profilo richiesto dall’art, 5 del dlgs. 231/01, di carattere soggettivo ossia che uno dei reati presupposto sia commesso da un soggetto apicale o da un suo dipendente. Riguardo, poi, la sussistenza del criterio di imputazione dell’illecito, di carattere oggettivo, viene rinvenuto l’interesse o il vantaggio dell’ente consistente nel fatto che le condotte violatrici della normativa antinfortunistica abbiano determinato un vantaggio economico per le imprese estere coinvolte nella forma del «risparmio di spesa» derivato dall’omissione degli interventi di carattere tecnico. In pratica era accertata la presenza di tutti i presupposti richiesti dalla legge per affermare la responsabilità penale dell’ente ossia: il reato è commesso da apicali delle società coinvolte nell’illecito; sussiste l’interesse e il vantaggio dell’ente; non è predisposto un modello organizzativo adeguato alla prevenzione di reati; non è nominato un Organismo di Vigilanza, deputato al controllo sul rispetto del modello organizzativo.

La soluzione. La decisione dei giudici si fonda sull’imperatività della norma penale, in virtù della quale il semplice fatto che l’ente svolga attività in Italia comporta l’obbligo di rispettarne la legge a prescindere dal luogo in cui si è verificata la lacuna organizzativa. Da ciò deriva che sia le persone fisiche, sia quelle giuridiche, nel momento in cui operano in Italia hanno il dovere di osservare e rispettare la legge italiana e quindi anche il d.lgs.231/01, indipendentemente dall’esistenza o meno nel Paese di appartenenza di norme che regolino in modo analogo la medesima materia; ogni volta che sussiste la giurisdizione del giudice italiano per il reato presupposto, essa si estende automaticamente anche all’illecito da esso dipendente a prescindere dalla nazionalità dell’ente che ne deve rispondere.

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