di Leonardo Comegna
Nel biennio 2019-2020 i requisiti richiesti per la pensione saliranno di 5 mesi. A ufficializzarlo è il decreto del 5 dicembre del Ragioniere Generale dello Stato, di concerto con il direttore generale delle Politiche previdenziali e assicurative del Ministero del Lavoro, pubblicato nella GU del 12 dicembre. La variazione della speranza di vita all’età di 65 anni e relativa alla media della popolazione residente in Italia, tra il 2013 e il 2016, si legge nel provvedimento, è pari a 0,4 decimi di anno; il predetto dato, trasformato in dodicesimi di anno, equivale ad una variazione di 0,5 che, a sua volta arrotondato in mesi, corrisponde ad una variazione pari a 5 mesi.
L’adeguamento demografico. La pensione di vecchiaia per la quale oggi si richiedono 66 anni e 7 mesi agli uomini e 65 e 7 mesi alle donne, varierà, limitatamente alle donne, già dall’anno prossimo: nel 2018 infatti le lavoratrici raggiungeranno la soglia anagrafica maschile. Tutti quindi a 66 anni e 7 mesi, come del resto previsto nel processo di equiparazione già scritto nella riforma Fornero. Come accennato, l’effetto dell’innalzamento di 5 mesi farà sentire i suoi effetti nel biennio 2019-2020, dove saranno richiesti 67 anni e 2 mesi per la vecchiaia e 43 e 3 mesi (42 e 3 mesi le donne) per la pensione anticipata.
L’età sul tetto del mondo. L’Italia vanta davvero il primato internazionale in termini di età di pensionamento, come si sente spesso dire quando si parla di pensioni? Partiamo dalle regole in vigore: dal prossimo gennaio scatta l’unificazione dell’età per la pensione di vecchiaia tra uomini e donne a 66 anni e 7 mesi, con un incremento di un anno per le dipendenti private e di 6 mesi per le lavoratrici autonome. Se, da una parte, è vero che il requisito anagrafico per l’accesso alla pensione di vecchiaia sarà il più alto d’Europa e che il divario aumenterà nei prossimi anni, all’altra è pur vero che, guardando all’età effettiva di pensionamento, l’Italia non vanta alcun primato. Guardando alle statistiche recentemente pubblicate dall’Ocse, infatti, si scopre che tra il 2009 e il 2014 (ultimo dato disponibile per il confronto internazionale) le lavoratrici italiane sono andate in pensione a un’età media effettiva di 61 anni e un mese, contro una media Ocse di 63 anni e 2 mesi, posizionandosi alle spalle di Paesi come il Regno Unito (62,4), la Germania (62,7), la Spagna (63,1) e la Svezia (64,2). Mentre per quanto riguarda gli uomini, ci posizioniamo addirittura al quart’ultimo posto: vanno in pensione prima solo i lavoratori di Francia, Belgio e Slovacchia, con un’età media effettiva di 61 anni e 4 mesi, a fronte di una media Ocse pari a 64 anni e 6 mesi.
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