RC
Autore: Domenico Caiafa
ASSINEWS 292 – dicembre 2017
I danni punitivi (punitive damages), secondo una tradizionale lettura, sono disconosciuti dal nostro ordinamento giuridico in quanto il risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo viene contenuto nell’effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso, essendo indifferente, sul punto, la valutazione della condotta del danneggiante; l’arricchimento non è previsto se non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto all’altro.
Un orientamento giurisprudenziale consolidato ha ritenuto incompatibile la figura del danno punitivo con il nostro ordine pubblico configurato come “complesso dei principi fondamentali che caratterizzano la struttura etico – sociale della comunità nazionale e nei principi inderogabili immanenti dei più importanti istituti giuridici (Cass. III Sez. 19.1.2007 n. 1183 e Cass. I Sez. 8.2.2012 n. 1781: “punizione e sanzione sono estranee al risarcimento del danno visto che alla responsabilità civile è assegnato il compito precipuo di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione mediante il pagamento di una somma di denaro che tenda ad eliminare le conseguenze del danno arrecato”).
Secondo un nostro palinsesto giuridico, il danno deve essere allegato e provato in quanto “danno– conseguenza” e non può essere oggetto di una valutazione in re ipsa: la materia è disciplinata dagli artt. 1223, 1226 e 1227c.c. che si applicano al fatto illecito per richiamo all’art. 2056 che disciplina compiutamente la materia precisando (art. 1223 c.c.) che il risarcimento del danno riguarda esclusivamente le conseguenze immediate e dirette mentre il potere equitativo del Giudice (art. 1226 c.c.)– contrariamente all’ampia discrezionalità del diritto anglosassone – è, comunque, soggetto a specifiche condizioni.
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